Koinonia Giugno 2017


LA CONVERSIONE PASTORALE COME OBIETTIVO

 

Vangelo, missione e rinnovamento della Chiesa

 

La conversione pastorale è il dono-appello che il Signore ha fatto alla Chiesa con il Concilio Vaticano II, che, oggi più che mai, continua a dare i suoi frutti e necessita di una piena comprensione nel segno della comunione e dell’unità della Chiesa. “Quanto al tempo presente - diceva san Giovanni XXIII - la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando” (Gaudet Mater Ecclesia, 4.2)

Sulla stessa lunghezza d’onda, papa Francesco, lo scorso 27 luglio, incontrando l’episcopato latino-americano, ha detto: “Sulla conversione pastorale vorrei ricordare che «pastorale» non è altra cosa che l’esercizio della maternità della Chiesa. Essa genera, allatta, fa crescere, corregge, alimenta, conduce per mano. Serve, allora, una Chiesa capace di riscoprire le viscere materne della misericordia. Senza la misericordia c’è poco da fare oggi per inserirsi in un mondo di «feriti», che hanno bisogno di comprensione, di perdono, di amore” (Discorso all’episcopato brasiliano, 27 luglio 2013).

Rinnovamento, aggiornamento, riforma: sono tanti anni che se ne parla. Purtroppo, non pochi sono caduti nella tentazione di credere che i problemi della Chiesa derivino addirittura dall’evento conciliare, senza comprendere a fondo la portata del cambiamento epocale che stiamo vivendo. Si tratta di quei «profeti di sventura che nelle attuali condizioni della società umana (...) non sono capaci di vedere altro che rovine e guai», diceva san Giovanni XXIII.

Papa Francesco, invece, innestandosi nel solco del Concilio Vaticano li, ha tracciato un cammino che si basa sul binomio evangelizzazione/Chiesa missionaria. È ora e adesso, infatti, che il vescovo di Roma invita tutta la Chiesa a mettersi in movimento e ad uscire dalle proprie sicurezze. La Chiesa, infatti, per sua natura non può non essere missionaria e deve avere «le porte aperte» per «uscire verso gli altri» e «giungere alle periferie umane». Solamente da questo dinamismo, scrive il Papa, può scaturire «un improrogabile rinnovamento ecclesiale».

Un rinnovamento che è, dunque, prima di tutto, un invito alla purificazione dei cuori, ad alzare senza indugi gli occhi al cielo verso la Gerusalemme celeste, ad affrontare con coraggio le «sfide del mondo attuale», a superare tutte le «tentazioni degli operatori spirituali» e, soprattutto, ad approfondire, vivere ed annunciare il Vangelo di risurrezione. Una Chiesa che non annuncia il Vangelo è una Chiesa ritirata nelle stanze vuote di una mondanità spirituale che non produce frutto, anzi rischia di produrre danno.

Il continuo rinnovamento della Chiesa è dunque strettamente necessario all’adempimento del comandamento del Signore di annunciare il Vangelo fino agli estremi confini di una terra in continuo cambiamento.

La necessità di riforma della Chiesa, infatti, non è data solo dal bisogno di purificarla dai suoi peccati, atto che, giustamente, san Giovanni Paolo Il ha posto come sigillo a chiusura dei primi due millenni di vita cristiana e che Benedetto XVI ha richiesto con fermezza nella sua predicazione e nelle sue decisioni. Il dovere della riforma nasce per la Chiesa anche dall’obbligo permanente di incarnarsi nella storia degli uomini. <…>

 

La sinodalità

 

Sinodale è una Chiesa in cui ciascun membro si scopre ed è valorizzato quale pietra viva, scelta e preziosa; è una Chiesa in cui ciascuno porta il peso dell’altro e in cui si gareggia nello stimarsi a vicenda. Sinodale è una Chiesa che pratica, nella sua vita quotidiana e ordinaria, il discernimento comunitario e che rifugge dal clericalismo esasperato: che sa distinguere tra ministerialità e clericalismo, sia dei preti che dei laici. Si tratta della via da percorrere per una più profonda ricezione del Concilio Vaticano Il e quindi per assecondare i doni della Divina Provvidenza. Dal discernimento comunitario trova impulso, infatti, la conversione pastorale della Chiesa.

Chiedo quindi che il discernimento comunitario sia promosso a tutti i livelli della vita della nostra Chiesa, dai gruppi e consigli delle unità pastorali e delle parrocchie alle associazioni, ai movimenti, alle comunità religiose. Andiamo avanti con coraggio: la celebrazione solenne del sinodo deve diventare vita e occorre quindi che il camminare insieme permei ogni realtà ecclesiale attraverso la pratica costante del dialogo per discernere le priorità e di conseguenza il nostro agire.

La nostra comunità vive una dinamica vocazionale, cioè di chiamata fuori da sé verso Dio e gli uomini, oppure è convinta di possedere se stessa ed è autoreferenziale? L’autoreferenzialità è il peccato della Chiesa di Laodicea Apocalisse 3, 14-22),  è il peccato che colpisce le chiese che si sentono arrivate, che non hanno bisogno di niente e hanno rinunciato alla dinamica del discepolato missionario. Purtroppo è un virus dilagante per il quale mancano spesso, soprattutto ai preti e ai vescovi, gli anticorpi, ma è un virus che colpisce anche intere comunità cristiane. Si tratta di comunità che trovano senso e compiacimento solo al loro interno, magari «specializzandosi» in ciò che più piace a chi le guida, senza discernimento, senza mai mettersi in questione e di fatto escludendo chi in certe caratteristiche non si riconosce.

Infine, siamo disposti a rinunciare al clericalismo? Il clericalismo è quella sorta di paternalismo che non permette ai battezzati di crescere ed esclude quelli che non sono in sintonia con il responsabile della comunità. È quella presunzione da monarca che sembra autorizzare a forgiare la comunità cristiana a nostra immagine e somiglianza e a disprezzare il cammino fatto prima del nostro arrivo e il ministero di chi ci ha preceduto. È per rinunciare al clericalismo che dobbiamo avere il coraggio di rivedere - a partire dal vescovo - le modalità con cui esercitiamo il governo nella Chiesa.

 

Gualtiero Bassetti

 

In La gioia della carità, Marcianum Press, 2015, pp.25-27;32-34

.