Koinonia Maggio 2017


 

CHIESE HIPSTER, LA FEDE È MERCE

 

Veste vintage o Urban Outfitters, ama rasature e biciclette particolari, mischia libri di teologia pop e romanzi anni Cinquanta, ha l’ultimo iPhone e una vecchia macchina per scrivere, predilige messe in capannoni arredati organic e preghiere in casa di amici a lume di candela. È il cristiano alternativo: il fedele delle Hipster Church. Il fenomeno è emerso negli anni Duemila, con il crescente bisogno delle nuove generazioni di vivere una fede diversa eppure popolare, di un’identità al contempo cristiana e cool . Negli Stati Uniti e anche altrove in Occidente, la risposta è venuta appunto attraverso le Chiese alternative, che un esercito di hipster Christian popola di oggetti, immagini e slogan.

In questi santuari di un individualismo bisognoso dell’abbraccio della folla, il cristianesimo riconcilia i due significati dell’universo hipster, le due anime di chi sceglie quella parola per autodefinirsi. Da un lato l’appartenenza al proprio tempo, la capacità di comunicare con il mondo, la creazione di uno stile da cui gli altri possano trarre ispirazione. Dall’altro lato, la controcultura, la marginalità, l’élite diversa dalla massa; la nostalgia di altre epoche e altri luoghi. Essere cool hipster; e poi, essere cristiano: le Chiese alternative trasformano quest’ambizione in realtà. Non stupisce che il fenomeno abbia attecchito soprattutto in America, il Paese in cui Dio ha inventato l’islam nero e il femminismo cattolico, i mormoni e la scientologia. Il mercato religioso è aperto. La competizione è serrata. La mia Chiesa è competitiva per la sua verità, per la sua spiritualità; ma deve esserlo anche perché ha un parcheggio comodo, perché è buono il rinfresco dopo il servizio domenicale, perché il sermone non annoia. La concorrenza si è fatta particolarmente accanita tra i cristiani, sette americani su dieci. Molti rischiano di finire tra le file dei non affiliati, coloro che non si professano di alcuna Chiesa o religione, ormai più del 20% della popolazione.

Prodotto di questo sistema, gli hipster Christian si ritrovano intorno a due idee guida. Anzitutto, non vogliono autoflagellarsi, aver paura di dichiararsi cristiani, vergognarsi dei peccati commessi dai fratelli nella fede o dalla stessa chiesa. I cristiani hipster amano Cristo e sono amati dal Signore; desiderano che il medesimo amore sia sperimentato dal più ampio numero di persone.

Per questo - è la seconda idea guida - ritengono che la verità del Vangelo abbia bisogno di essere resa visibile per attrarre; conta per essi come la Chiesa appare, come i seguaci di Cristo vengono visti dall’esterno. Evidente sviluppo della soggettività religiosa di matrice protestante, i cristiani hipster si sono formati negli anni del dibattito sulla rilevanza dei cristiani nella società secolarizzata, ma snobbano le «guerre culturali» care ai loro fratelli maggiori progressisti e conservatori.

Divenute sempre più visibili e seguite negli ultimi anni, le Hipster Church hanno tuttavia un futuro incerto. In un articolo di due anni fa sul «Washington Post», Brett McCracken si è mostrato molto scettico in proposito. A un lustro di distanza dal suo libro del 2010 (Hipster Christianity: When Church and Cool Collide , Baker Books) che per la prima volta presentò dall’interno la storia e i principi del movimento, McCracken ha ricordato che alcuni esempi - primo fra tutti quello della Hillsong Church - sembrano testimoniare la vitalità di queste Chiese, ma ha anche elencato il fallimento di alcuni celebri leader e ha soprattutto sottolineato i limiti del progetto.

Sulla stessa lunghezza d’onda si colloca chi critica gli eccessi delle Chiese alternative. In un intervento in rete di pochi mesi fa, Miguel Ruiz ha ironizzato sulle esagerazioni delle Chiese che inseguono il mondo hipster. La Chiesa della velocità, la Chiesa della vista sulla montagna, la Cool Church, e tante altre comunità dai nomi fantasiosi fanno a gara nell’escludere gli over 40, nell’invadere i social, nel ricorrere al linguaggio del business per vendere l’ultimo modello di cristianesimo, e soprattutto nel mettere sul pulpito gente che si atteggia a rock star. Nella loro esagerata energia le Chiese hipster confermano non solo che Dio è sopravvissuto alla modernità, ma che non c’è aspetto della cultura contemporanea che non possa essere colonizzato dai credenti, compresi il minimalismo e il dandysmo hipster.

Nel suo nuovo libro appena uscito in Italia (I molti altari della modernità,  Emi) conferma questo quadro Peter Berger, il sociologo che nel 1999 riconobbe pubblicamente di essersi sbagliato nel predire il declino della religione. Certo, il Dio sopravvissuto è pieno di sorprese; come questo cristianesimo costretto a salire sempre più di quota e a precipitare in paurosi vuoti d’aria.

Nel suo su e giù la curva delle Chiese alternative è simile a quella delle merci. Crescevano anche del 40% annuo, nella prima decade del 2000, American Apparel e Urban Outfitters; ora queste icone dell’hipster trend sembrano in declino. La stessa fluttuazione incombe inesorabile sulle Chiese. Tra i giovani cristiani che hanno rovesciato dollari e sterline su quelle marche e ora voltano loro le spalle è particolarmente amato C.S. Lewis, lo scrittore britannico delle Cronache di Narnia. Il suo Mere Christianity del 1952, tradotto in italiano Il cristianesimo così com’è (Adelphi, 1997), attrae i cristiani hipster proprio perché si contrappone al loro cristianesimo come sembra, come appare, alla loro convinzione che il cristianesimo normale non sia sufficiente, che esso non sia altrettanto importante quanto il cristianesimo per come esso è visto e percepito da fuori. Un questionario online da cui dovrei capire quanto sono un cristiano hipster mi chiede se preferisco comprare abiti vintage oppure di Urban Outfitters. Ci penserò su mentre leggo Il cristianesimo così com’è .

 

 Marco Ventura

in “la Lettura” - Corriere della Sera del 9 aprile 2017

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