Koinonia Maggio 2017


 

 

IL VANGELO EVANGELICAMENTE

C’è troppo vangelo senza fede

e c’è troppa fede senza vangelo

 

Dopo aver tracciato a grandi linee il senso del vangelo in estensione, proviamo a coglierne il senso intensivo come potenziali soggetti portatori. Quando infatti si parla di vangelo in senso pieno, la componente di fede personale è d’obbligo: con l’annuncio è in atto l’invito a credere, e cioè a stabilire un rapporto  collaborativo e di alleanza  tra interlocutori così distanti.

La proclamazione del Vangelo è il momento e il luogo in cui si effettua qui e ora quanto la Parola di Dio dice, quando l’opera di Dio per la nostra salvezza si rivela e si annunciano le cose future. È il kairos - o segno e strumento - in cui si annuncia e si realizza l’intima unione con Dio come seme  dell’unità di tutto il genere umano. Vangelo è il Magnificat vissuto e condiviso!

Se in principio, per creare il cielo e la terra, “Dio disse”; e se in principio era il Verbo mediante il quale tutto è stato fatto (cfr Gv 1,3), vangelo è  allora questa  Parola fatta carne e fatta parola umana nella predicazione apostolica: vangelo quindi come “sacro ministero” (Rom 15,16), che non è un vanto ma necessità che si impone (cfr 1Cor 9,16) che va annunciato  gratuitamente (9,18; 2Cor 11,7),  e che è di suo “un mistero” (Ef,6,19) da testimoniare “in mezzo a molte lotte” (1Ts 2,2), e per cui combattere insieme (Cfr  Fil 1,27; 4,3).

Di qui la necessità di farsi servitori e schiavi del vangelo a cui consacrare tutta la propria vita: un compito a cui non ci si può sottrarre e che nasce da un mandato stesso di Cristo, in parallelo con quello di fare memoria di lui nello spezzare il pane e nel bere al calice. È farsi strumento del vangelo come potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede (cfr Rom 1,16): “A quanti l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati” (Gv 1,12-13).

E Paolo aggiunge: “Non ci arroghiamo un’autorità indebita, come se non fossimo arrivati fino a voi, perché anche a voi siamo giunti col vangelo di Cristo” (2Cor 10,14). È il vangelo che conferisce autorità e non è invece qualche autorità costituita a garantire il vangelo! E se il vangelo investe in toto ogni singolo indipendentemente da ruoli supplementari (e Paolo ne è la dimostrazione), esso è ugualmente destinato ai singoli e ad ogni buona coscienza non con formule preordinate di aggregazione ma con la spinta e l’apertura a creare liberamente comunione tra credenti.

Merita leggere le parole di 1Cor 3,10.13 che rimandano alla casa costruita sulla roccia o sulla sabbia di Mt 7: “Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un saggio architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento a come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l’opera di ciascuno sarà ben visibile: infatti quel giorno la farà conoscere, perché con il fuoco si manifesterà, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno”. Siamo avvertiti sulla costruzione di “comunità di fede” che abbiano altri fondamenti, quando appunto c’è troppa fede senza vangelo!

Il discorso ci porta al modo di essere delle comunità ecclesiali di ogni tipo, a proposito delle quali  mi voglio avvalere di alcune parole di Benedetto XVI nella Lettera apostolica Porta fidei (n.2): “Capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato. Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone”. Sarebbe come costruire sul vuoto o sulla sabbia.

Nessuno più si stracci le vesti se siamo portati a ritrovare la vena che ha alimentato il nostro cammino in tutti questi anni, quando appunto nel lontano 1974 dicevamo: “Credere al Vangelo ci porta sempre  più  verso una chiesa che non sia solo di credenti senza essere comunità e non sia solo comunità senza essere di credenti”. Ed è quanto oggi abbiamo sotto gli occhi quando diciamo che c’è troppa fede senza vangelo e troppo vangelo senza fede! La situazione in fondo è sempre la stessa e quello che possiamo dire è che non abbiamo smesso di tenerla presente e prenderla sul serio.

Si converrà che siamo sempre in presenza di una urgenza estremamente attuale e prospettica, che non è possibile relegare in un lontano passato, ma che ci costringe ad una continua verifica di aderenza e di fedeltà. Siamo infatti messi di fronte ad una istanza di evangelizzazione che oggi è diventata di dominio comune (si pensi alla Evangelii gaudium) ma che continua a fare problema, sia che ci si muova in un contesto di residua cristianità, sia che ci si avventuri in quello più diffuso di post-cristianità.

D’altra parte, l’intento di sempre non è quello di attuare un programma predefinito, tanto da  consentire qualche bilancio, quanto quello di impostare una vita di ricerca e di servizio al vangelo che ha attraversato stagioni e ambientazioni diverse, ma che non si è risolta in forme e formule standard, per rimanere aperta alle potenzialità degli eventi e dei segni dei tempi. Siamo sempre in gioco in qualche traversata!

Il vangelo è correlativo al mondo e alla storia e può definirsi in rapporto ai poveri e ad ogni creatura. Ma dentro questa vicenda di annuncio e di salvezza ad extra ha luogo un processo di macerazione e di maturazione ad intra, come per il seme che cade in terreno buono e che morendo porta molto frutto.  E  se “credere al vangelo” dà vita al Popolo di Dio nel mondo, in seno a questo Popolo un nucleo deve farsi carico di una semina sempre nuova. Potremmo dire che è questa la “chiesa in uscita”: uscì il seminatore a seminare… In questo senso si potrebbe parlare di “casa di predicazione”, così come venivano chiamati i primi conventi nella tradizione domenicana. C’è  una preghiera di S.Alberto Magno che è insieme  espressione e programma di vita : “Fa’, o Signore, che sia tempio di predicazione, casa di orazione e di lode a te, per sempre”.

Sembrano necessari soggetti in cui fede e vangelo tornino ad essere in simbiosi catalizzatori umani e comunitari pronti a farsi carico di una evangelizzazione che nasca dall’evangelismo, e cioè da una vita evangelicamente impostata e condivisa. Volendo dire tutto in due parole senza alcuna enfasi: il vangelo evangelicamente!

 

Alberto B.Simoni op

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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