Koinonia Aprile 2017


TRITTICO PASQUALE

 

1 - Messaggio di Massimo Toschi

Ecco la nostra pasqua di mendicanti di Dio

 

La morte del Signore, nella tradizione di Matteo, segna grandi sconvolgimenti e si pone sotto il segno della paura escatologica, che racconta e si incarna nelle nostre paure. Il vangelo a più riprese.

La paura è la cifra di questo tempo. In nome della paura si alzano muri e barriere di ogni tipo, quasi che bastassero i mattoni a dare il coraggio.

Di fronte alla paura sta la fede, la fedeltà alla Parola del Signore. Ricordiamo la tempesta sedata e la  grande alternativa tra fede e paura. Anche il discepolo è chiamato a scegliere ogni giorno, tutti i giorni tra la via della benedizione e la via della maledizione, tra la via della morte e la via della vita.

Gesù, sulla croce, sperimenta l’abbandono di Dio e la paura sta nel cuore di colui che è abbandonato. La paura esiste, quando si percepisce l’assenza dell’altro, quando viene meno la  relazione con l’altro.

Sulla croce Gesù è solo e abbandonato ed è solo perché Dio lo ha abbandonato. Dunque il massimo dell’abbandono. Ecco il mistero di Gesù che si carica di tutte le nostre malattie, le nostre paure, e i nostri bisogni, che si manifestano nelle veglie notturne,per liberarci nella luce della Pasqua .

La fraternità è il dono della pasqua nel vangelo secondo Matteo. La fraternità secondo lo spirito spezza le paure che alimentano l’odio. La fraternità non secondo la carne, ma secondo il mistero  dei piccoli di Dio, unisce il mondo nel segno del perdono e della riconciliazione.

Il cavallo e il cavaliere sono stati rovesciati e il mar Rosso della nostra vita è stato attraversato. Abbandonati in Gesù, abbiamo vissuto e viviamo l’abbandono di Dio e il suo mistero.

Ecco la nostra Pasqua di mendicanti di Dio.

 

Massimo Toschi

 

 

2 - Riceviamo da Sara Rivedi Pasqui la traduzione di questo brano

Un angelo silenzioso

 

Gesù, secondo l’Evangelo di Luca sta pregando sul monte degli Ulivi e supplica il Padre di allontanargli la coppa che sta per bere, tuttavia è la volontà del Padre che vuol fare e non la sua!  Mentre sta pregando intensamente un angelo gli appare dal cielo per fortificarlo.

Dunque la risposta del Padre gli è data immediatamente, senza la minima attesa, senza che la preghiera sia terminata, ma proprio durante la preghiera. Straordinaria immediatezza che neppure è sperata dal Cristo, dunque la risposta del Padre avviene attraverso l’apparizione dell’angelo venuto dal cielo, quindi venuto da Dio. Tra un angelo e Dio c’è un legame particolare, attraverso l’angelo è Dio stesso che si presenta. Un angelo per definizione è un messaggero, è portatore di un messaggio, è la ragione della sua venuta.            

Un angelo era apparso a Zaccaria, a Maria, ai pastori di Betlemme, ma qui l’angelo non è portatore di alcuna parola, non dice niente! Il suo messaggio in effetti è al di là delle parole, è un silenzio, è il silenzio della pietà del Padre verso il Figlio angosciato, della tenerezza del Padre, questo amore al di là di ogni amore non ha parole per dirsi. L’angelo qui è traboccante dell’amore silenzioso del Padre per il Figlio, e questo silenzio è di una forza straordinaria, questo silenzio fortifica il Cristo, non è necessario ascoltare l’angelo, basta vederlo, la sua sola apparizione dice più di qualsiasi parola.

Quale sconvolgimento nella nostra comprensione del silenzio di Dio!

 Quest’angelo è venuto a fortificarlo, è una forza ricevuta dall’esterno, dal cielo, dal Padre e che viene ad abitare il figlio e a mescolarsi con la sua forza così fragile. Una forza in sinergia che moltiplica la sua, l’accresce senza misura perché la sinergia con Dio è al di là di ogni misura. E’ una forza che compensa la forza che viene meno dei discepoli addormentati. Vedere degli addormentati è scoraggiante ma vedere un angelo di Dio ecco ciò che non può che incoraggiare grandemente.
L’angelo non appare prima della preghiera, per dare a Cristo la forza di dire sì alla croce. Questo sì doveva essere detto dal Figlio solo al Padre e non detto dal Figlio con la forza del Padre. Ma appena questo sì è pronunciato dal Figlio in tutta la sua fragilità umana allora il Padre gli dà senza più tardare la forza di assolvere a questo sì, la forza di passare dall’accettazione alla realizzazione, la forza di passare dal desiderio di obbedire all’obbedienza stessa.

Quale meraviglia anche per noi di sapere questo: cioè di sapere che Dio ci ama tanto da darci la forza di compiere il compito che corrisponde alla sua volontà per noi e che noi siamo desiderosi di compierlo per obbedirgli.

Benedetto tu sia o Padre anche per noi così meravigliosamente presente nel tuo silenzio!

 

Daniel Bourguet

Le silence de Dieu pendant la Passion Édition Olivétan 2013

 

 

3 - Ricordando P.E.Balducci a 25 anni dalla morte

Il nostro annuncio  del Signore? È un problema di fondo

 

Non possiamo più confessare Gesù Cristo, né predicarlo, e nemmeno personalmente viverlo nella nostra fede senza aver fatto un trapasso qualitativo. Altrimenti si rimane semplicemente in un rapporto devozionale, sentimentale, moralistico con Gesù Cristo, e allora la ricchezza sovrabbondante di luce e di rinnovamento che egli ci porta, rimane come sigillata; egli è come un astro spento, nella nostra vita; le sue luci sono luci riflesse; sono le fosforescenze dei nostri sentimentalismi che si riflettano su di lui, senza che egli sia davvero il Signore della nostra vita, né presieda. alle nostre speranze, alla nostra volontà di rinnovamento del mondo. Bisogna spezzare questa prigionia del Signore. Noi usciamo da un’epoca (e le epoche, come abbiamo visto, non cambiano per capriccio, hanno al loro fondo una spinta che viene dalla stessa logica dell’alleanza) in cui avevamo di Gesù una comprensione religiosa. Il bisogno religioso, insopprimibile negli individui e nelle collettività, per lungo tempo si è servito di Gesù Cristo per addossare a lui le proiezioni di cui è fecondo. La stessa umanità del Cristo è stata sopraffatta dalla divinità, pensata non attraverso la Parola di Gesù ma secondo le esigenze e i suggerimenti della ragione. Il Dio di Gesù Cristo è stato raggiunto attraverso le tradizioni metafisico-religiose, e l’umanità di Gesù Cristo è stata congiunta, nella nostra rappresentazione (perfino nella nostra teologia più qualificata e nella nostra prassi pastorale) alla divinità metafisicamente pensata, rimanendovi come assorbita e annientata, per cui tutta la dinamica dell’uomo-Gesù, che pure il Vangelo ci raffigura, è rimasta priva di senso.

Ad esempio, le tentazioni del deserto, sono, nella rappresentazione che per lo più ne abbiamo dato nelle predicazioni, piuttosto una messa in scena, perché Gesù non può esser tentato. Ci mancherebbe altro! Non ha avuto drammi interiori. Il fatto era esteriore. E così la sofferenza di Gesù nel Getsemani, la sua paura ad affrontare la morte, è sembrata piuttosto una paura destinata a edificarci; ma di fatto era già stabilito che egli vincesse la sua paura. Le dimensioni interiori dell’uomo-Gesù erano scomparse. E il grido sulla croce: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?” era diventato un punto d’appoggio per la retorica delle prediche quaresimali, non appariva in tutta la sua abissale profondità. A un certo punto questa cristologia che partiva dalla teologia razionale ha svuotato il Cristo; il mistero dell’incarnazione, con tutto ciò che esso significa nel disegno di salvezza, diventava inutilizzabile, non più fungibile nella storia. Infatti, la devozione al Cristo e il disinteresse per la storia sembravano andare di pari passo. Gli uomini molto devoti erano molto pigri; gli uomini, invece, dalle grandi speranze storiche si trovavano ipso facto al di fuori a da un rapporto con Gesù Cristo. Eppure egli è la speranza.

Il recupero della dimensione messianica del Cristo è comandato sì dalla situazione, ma è comandato anche da una fedeltà più autentica alla proposta che ci viene dalla Scrittura. Tra le parole straordinarie che Bonhoeffer scrisse durante la sua prigionia, alla vigilia della sua morte, trent’anni fa, c’è anche questa che mi sembra particolarmente scandalosa: “Soltanto quando conoscessimo l’impossibilità di pronunciare il nome  di Dio, possiamo cominciare a pronunciare quello di Gesù Cristo. Soltanto quando amiamo la vita e la terra, al punto che senza di essa ogni cosa pare perduta e finita, possiamo credere alla risurrezione dai morti e a un mondo nuovo. Solo se abbiamo lasciato pesare su di noi la legge di Dio, possiamo un giorno parlare della sua. Grazia”. Gli uomini che più autenticamente e legittimamente aspettano e preparano un mondo diverso possono ascoltare la nostra confessione di fede? Il nostro annuncio  del Signore? È un problema di fondo. Nel trattarlo è naturale che io ci porti la sofferenza, il cumulo di scacchi, di impotenze che esperimentano coloro che hanno appunto il peso e la gloria del ministero della Parola di Dio. Non poter parlare di Gesù significa non poter parlare di ciò che è l’essenza della nostra vita, la ragione del nostro esistere. Eppure sentiamo che spesso non sappiamo come parlare. Perché? È appena finito il lungo periodo, durato circa due secoli e mezzo, nel quale sembrava che la riflessione della Chiesa fosse dominata dalla volontà di confutare gli approcci scientifici alla Scrittura e al mistero di Gesù Cristo. Siamo in grado di costatare, in un consuntivo sereno, che, in fondo, la critica scientifica ha raggiunto, coi suoi risultati - pacificamente accolti ormai, anche dai credenti - quello che le profonde intenzioni della liturgia sempre avevano affermato., Il Cristo della liturgia è infatti il Cristo della Pasqua.

Il Cristo, là dove primariamente va cercato, cioè nella proclamazione ecclesiale, è il Cristo pasquale, il resto è nato dopo: le devozioni, le raffigurazioni agiografiche, le divinizzazioni di tipo sostanzialmente pagano si sono sovrapposte, quali strutture rituali e religiose, sull’essenza del discorso liturgico, cioè il preconio pasquale, l’unico momento santo dell’anno cristiano: Il Cristo della Pasqua è il Cristo della fede.

 

P.Ernesto Balducci 

(in La fede dalla fede,pp.72-74)

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