Koinonia Aprile 2017


VIOLETA PARRA

Una vita troppo breve

Una vita troppo intensa

Un dono prezioso per tutti noi

 

L’undici marzo scorso, presso il Circolo Vie Nuove di Firenze, si è tenuta una manifestazione in ricordo di Violeta Parra, promossa dal Centro Studi e Iniziative America Latina (1).

La doppia ricorrenza, i cento anni dalla nascita (1917) e i cinquanta anni dalla morte (1967) quasi simbolicamente ricorda l’intreccio fra gioia e dolore, tra vita e morte (2), che ha caratterizzato l’esistenza di questa donna straordinaria: la Viola amante della vita, ma al tempo stesso la “ Viola funebris “, come la definisce il poeta Nicanor Parra, suo fratello.

Raramente, durante tutto il corso del ‘900, possiamo trovare un’artista così completa. Violeta compone canzoni, decime, musica strumentale, ma al tempo stesso è pittrice, ricamatrice, ceramista, passando da una tecnica o da un genere creativo all’altro. Nel 1964 è la prima donna latinoamericana a esporre le proprie opere  in una mostra personale al Museo del Louvre di Parigi.

Violeta nasce a San Carlos de Chillan, nel sud del Cile. Nel 1937 si trasferisce a Santiago, dove lavora suonando nelle sale da ballo e talvolta per piccole stazioni radio.

Sposa Luis Cereceda e da questo matrimonio, finito nel 1948, nascono Isabel e Angel, coi quali realizzerà più tardi gran parte del suo lavoro musicale.

A partire dal 1952 Violeta, spinta dal fratello Nicanor, comincia a percorrere zone rurali del paese alla ricerca delle tradizioni musicali del suo popolo. Al tempo stesso intrattiene rapporti di amicizia con alcuni dei più importanti letterati latinoamericani, tra cui Pablo Neruda. “Il suo obiettivo - come ricorda Adriana Langtry - è quello di raccogliere direttamente dalle voci dei vecchi contadini le miriadi di canzoni popolari che stavano per scomparire dalla memoria collettiva. Il suo sarà un appassionato lavoro di ricerca antropologica durante il quale riuscirà a recuperare le antiche tradizioni della sua terra. Eredità che diventerà essenza e materia del suo divenire artistico ed esistenziale“.

Ma Violeta non intendeva semplicemente “salvare” la musica e la cultura popolare. Il suo intento era quello di “rivitalizzare e usare materiale e forme del folclore”, come nota Argudas, nel modo più lucido e aggressivo “per creare qualcosa di originale che parlasse a tutti, uscisse dal ghetto in cui si voleva rinchiuderlo e creasse contaminazioni continue tra mondo contadino e urbano, tra ‘alto’ e ‘basso’, tra vecchio e nuovo, in modo da evitare che ogni diversità venisse cancellata dall’imposizione di un modello culturale unico” (3).

I temi affrontati da Violeta nelle sue composizioni musicali non hanno confini. Nelle sue canzoni d’amore, intime, personali, la dimensione della gioia e quella della tristezza convivono in un intreccio insolubile. La sua immortale “Gracias a la vida”, musicata nel 1967, precede di pochi mesi la drammatica decisione di darsi la morte. Ma Violeta è anche la cantora della propria gente, specialmente di quella più povera, più sfruttata, più emarginata. È colei che in “Al centro de la injusticia” (Al centro dell’ingiustizia), che sembra un trattato di geografia economica tradotto in versi, mette in luce le contraddizioni del suo paese, dove il conflitto tra estrema ricchezza e drammatica povertà genera  un profondo dolore nella maggioranza della popolazione, costretta a comprare da altre nazioni anche la patata, un prodotto tipico del sud del Cile. E sempre Violeta è l’autrice di “Y arriba, quemando el sol” (E il sole arde nel cielo) un canto che esprime il dolore dei minatori cileni sfruttati, che ignorano persino quanto vale la loro fatica, mentre le loro donne sono in fila alla fontana col proprio secchio dell’acqua (niente acqua potabile nelle loro case) perché coloro che detengono il potere “enterraron la justicia, enterraron la razon”  (4). È ancora Violeta che in “Arauco tiene una pena” (Arauco ha un dolore) affronta un tema particolarmente scottante  e tuttora irrisolto del suo paese: la storia e la vita dei Mapuche (gli Araucani del titolo), popoli originari del Cile, che per trecento anni difesero la loro terra dagli invasori spagnoli e che solo i cileni bianchi, nel corso dell’800, riuscirono a piegare definitivamente. Di questo popolo, tuttora disprezzato ed emarginato, Violeta canta l’orgoglio e il coraggio, esaltando il panteon dei suoi eroi, da Lautaro a Caupolicàn.

Questa poesia impegnata, con la sua denuncia implacabile dell’ingiustizia e dell’oppressione, costò cara a Violeta, che subì l’ostracismo del potere per tutta la vita, e anche oltre.

Ma l’arroganza dei potenti non riuscì a piegarla. I semi dei suoi canti hanno fruttato una messe matura. Le è debitrice, e quanto, la Nueva Cancion Chilena di cui i suoi stessi figli Isabel e Angel, Victor Jara (5), gli Inti Illimani e i Quilapayun (6) furono tra i massimi rappresentanti. Interprete della volontà di riscatto degli sfruttati contro ogni forma di oppressione, il messaggio della Nueva Cancion diventa grido del popolo, non del solo Cile, ma dell’intera America Latina: una voce di liberazione per l’umanità che risulta tuttora attuale.

A tanti anni di distanza Violeta Parra, questa indimenticabile artista cilena, continua a raccontarci il suo amore per la vita. Una luce dell’anima in questi anni segnati da scetticismo e paura del domani. Un grido di speranza in un mondo più giusto, più bello e solidale.

Gracias a la vida, gracias Violeta.

 

Bruno D’Avanzo

 

 

Note

1) L’iniziativa, durante la quale si sono alternate proiezioni di video, testimonianze, letture poetiche e canzoni, con la presenza di una quindicina di artisti latinoamericani di varie nazionalità, ha avuto un successo ben superiore alle più rosee aspettative, grazie soprattutto all’impegno di numerosi cileni, membri o amici del gruppo promotore.

2) Il 5 febbraio 1967, colpita da una grave forma di depressione, pochi mesi dopo aver composto “Gracias a la vida”, la più famosa delle sue canzoni, Violeta Parra mette fine ai suoi giorni. Non aveva ancora compiuto cinquanta anni.

3) Francesca Lazzarato, “ Il Manifesto “, 20-10-16.

4) “Han sepolto la giustizia, han sepolto la ragione”.

5) Cantautore, musicista e regista teatrale cileno, Victor Jara fu martire della libertà. Militante comunista e sostenitore del governo di Unidad Popular guidato da Salvador Allende, nel 1973, allo scoppio del golpe militare promosso dal generale Pinochet, venne tradotto allo stadio di Santiago assieme a migliaia di altri prigionieri, torturato a lungo e poi ucciso.

6) Questi complessi musicali, esuli a seguito del golpe, resero celebre in Europa e nel mondo la Nueva Canciòn Chilena, che divenne ovunque un punto di riferimento artistico, culturale e politico. È grazie a loro se si sono potute tramandare le canzoni di Victor Jara, dato che la dittatura militare, volendo operare una vera “damnatio memoriae” nei confronti dell’eroico cantautore, aveva fatto distruggere anche le matrici dei suoi dischi.

.