Koinonia Aprile 2017


NEL VANGELO SI DISVELA LA GIUSTIZIA DI DIO DA FEDE A FEDE

 

Venendo all’analisi dei contenuti della lettera, si rileva anzitutto che essa, almeno nella parte dottrinale (capitoli 1-11), è condensata e incentrata nella tesi espressa in 1,16-17: «Io infatti non mi vergogno del Vangelo, perché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, per il Giudeo prima e poi per il Greco. Sì, perché nel vangelo si disvela la giustizia di Dio, da fede a fede, come dice la Scrittura: Chi è giusto per fede avrà la vita».

Era tradizionale specificare il vangelo con il genitivo soggettivo «di Dio», annuncio cioè da lui proveniente. Paolo chiarisce leggendovi il fatto che nell’annuncio evangelico è all’opera la potenza salvifica divina. Sarebbe errato vedervi una pura comunicazione verbale che rende noto qualcosa. In realtà, quando viene proclamato, è Dio stesso che lo proclama, ma la sua è una parola che fa ciò che dice, è creativa di salvezza.

Soprattutto, del vangelo Paolo fa emergere la destinazione universale o ecumenica: è rivolto parimenti, senza discriminazione, alle due componenti religiose del mondo: ai giudei e ai gentili. Non pochi erano gli steccati che dividevano allora il mondo antico. La prima e decisiva linea di demarcazione passava sul terreno culturale: da una parte i greci, dall’altra i barbari, quanti non parlavano greco ed erano privi della formazione greca (paideia). Ma per gli ebrei la linea divisoria era soprattutto di carattere etnico, storico-culturale e religioso.

Da una parte vi erano i giudei, fieri della loro superiorità morale - quali adoratori di un unico Dio e privilegiati possessori della legge divina del Sinai - e sprezzanti nei confronti dei pagani. Lo stesso Paolo ne è portavoce in Gal 2,15: «Noi siamo giudei per nascita e non peccatori del mondo dei gentili», e nel nostro contesto di Rm si fa portavoce, sia pure per contestarlo, di un vero e proprio complesso di superiorità del mondo giudaico: «Ma se tu porti con fierezza il nome di giudeo, fai affidamento sulla legge e ti vanti di Dio, conosci la sua volontà, istruito dalla legge sai discernere il meglio, tu che pure sei convinto di essere guida dei ciechi, luce di quelli che vivono nelle tenebre, educatore degli insensati, maestro dei semplici, avendo nella legge l’espressione della conoscenza e della verità... » (2,17-20).

Da parte loro i pagani non erano teneri con gli ebrei. Numerose testimonianze letterarie non lasciano dubbio sul diffuso antigiudaismo del mondo antico. Cicerone chiama la religione ebraica «superstizione barbara» (Pro Fiacco 28,67) e con disprezzo afferma che i giudei, al pari dei siriani, sono nati per essere schiavi (De prov. cons. 5,10). Per non parlare di Tacito, il più caustico nel riferire le diffuse calunnie antigiudaiche: i giudei rendono culto all’asino che li aveva guidati nel deserto e sottratti alla sete; disprezzano gli dèi, disdegnano la patria, i genitori, i figli, guardano ai fratelli come a qualcosa di vile.

Ora Paolo annuncia che nel vangelo si realizza il radicale superamento di questa frattura, perché l’iniziativa di grazia del Dio di Gesù Cristo si volge indiscriminatamente a tutti gli uomini, giudei e gentili, parificati quanto al loro destino ultimo di vita e di morte. Ogni privilegio e handicap religioso è abolito: tutti sono parimenti bisognosi di salvezza e a tutti questa è offerta in dono da Dio in Cristo.

Nella tesi di Rm 1,16-17 Paolo precisa ancora che l’efficacia salvifica del vangelo, in cui opera la potenza divina, si colloca nello spazio della fede, cioè nella sua accoglienza da parte degli uomini, spinti però a credere da Dio stesso, meglio dalla sua parola che li convince dell’affidabilità del Padre di Gesù Cristo e li porta ad affidarvisi. Anche questo dato era più che scontato nella tradizione protocristiana, ma Paolo ne fa risaltare l’esclusività: sono messe fuori gioco la circoncisione e la legge mosaica. Altrimenti non ci sarebbe parità tra giudei e gentili e Dio sarebbe un Dio di parte: «Dio è forse solo dei giudei? Non lo è forse anche dei gentili? Sì anche dei gentili. In realtà c’è un solo Dio che giustifica i circoncisi per la fede e parimenti gli incirconcisi mediante la fede» (3,28-30).

In 1,17 Paolo presenta un’altra specificazione del vangelo, che avrà un peso determinante nella riflessione teologica della lettera: l’annuncio evangelico è luogo di apocalisse, dunque evento escatologico anticipato nella storia, della «giustizia di Dio», cioè della sua azione di fedeltà alle promesse salvifiche da lui giurate, di cui le Scritture sono ampia testimonianza. E come stralcio significativo egli cita espressamente Ab 2,4, come abbiamo visto sopra, in cui sono coordinate strettamente la giustizia dell’uomo, la sua fede e la promessa della vita escatologica.

 

Giuseppe Barbaglio

Il Vangelo di Dio nelle lettere di Paolo, San Paolo, 2002, pp. 32-34

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