Koinonia Marzo 2017


ELOGIO DEL KAIROS

LUOGO DELLA VERITÀ

 

Il giorno 17 febbraio 2017 il Breviario propone una  lettura dal libro dei Proverbi,  e due versetti in particolare fanno presa sulla mia attenzione: “All’uomo appartengono i progetti della mente, ma dal Signore viene la risposta della lingua... La mente dell’uomo pensa molto alla sua via, ma il Signore dirige i suoi passi” (Prov 16,1.9).

Queste parole non fanno che convalidare quanto viene ripetuto nel detto popolare “L’uomo propone ma Dio dispone”, che ha origine dalla “Imitazione di Cristo”. Ma in questo momento preciso esse mi hanno consentito e quasi costretto a mettere a fuoco pensieri sparsi e riflessioni che vanno maturando.

Sono pensieri e riflessioni che si ritrovano sotto il nome di kairos, che può essere inteso in tanti modi: momento favorevole, opportunità, lampo di genio, colpo di fortuna, stato di grazia, che da una parte riportano al vissuto, al semplice esistere, alla pura presenza, e dall’altra rappresentano l’orizzonte ultimo per ritrovarsi a ridosso del mistero, sul crinale in cui si gioca la nostra vita. Per scoprire che kairos può essere anche dono, sorpresa, gratuità, qualcosa che ci fa sentire considerati e a nostro agio. Qualcuno in cui “viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17,28) come trovarsi nel proprio elemento, a tu per tu con la vita e con noi stessi.

Entriamo così in quella lunghezza d’onda in cui viene modulata l’intera esistenza nel suo proprio essere e nella sua singolarità, ciò che siamo soliti chiamare interiorità, coscienza, cuore e che costituisce la nostra dignità di persone, il nostro spazio vitale, là dove ci ritroviamo con noi stessi e possiamo ospitarci gli uni gli altri. È il piano a cui ci riporta il libro del Proverbi quando dice che “dal Signore viene la risposta” e “il Signore dirige i suoi passi”, là dove si consuma l’incontro, la solidarietà, l’amicizia nella spontaneità e nella sincerità. È come se accogliessimo l’invito di Paolo in 1Cor 5,8 a ritrovare la vena originaria del far festa: “Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità”.

Kairos è il luogo interiore in cui abita la verità, la scintilla dell’amore e della conoscenza per accendere ed illuminare tutta l’esistenza. Il fatto è che questo fuoco viene spesso soffocato dall’esistenza stessa con le sue avversità, ma purtroppo anche da quanto dovrebbe alimentarlo, e cioè dagli eccessi della mente e del pensiero quando sopraffanno il soffio dello spirito, per imporsi come la fonte stessa della vita: infatti “all’uomo appartengono i progetti della mente”, e “la mente dell’uomo pensa molto alla sua via”, ma se poi non c’è l’abbandono e l’affidamento alla risposta del Signore che muove i suoi passi, tutto diventa arido, artefatto, cerebrale, a circuito chiuso come in labirinto.

Forse a suggerire ed orientare simili pensieri è proprio la sensazione di trovarsi dentro un labirinto della esistenza e della comunicazione, che diventa tanto più indecifrabile quanto più si cerca di uscirne per via di ipotesi, di calcoli, di argomentazioni, facendo ricorso a tutto il nostro armamentario mentale e scientifico e pensando di trovare vie di uscita attraverso teoremi o algoritmi, o attraverso verbalismi fine a se stessi. C’è da dire che questo virus è diventato “cultura” e ha infettato tutte le vie di comunicazione umana, anche quelle della “vita spirituale” che ha fatto della interiorità una tecnica per specialisti invece di essere anima di esistenza umana per tutti. Quello che in fondo sarebbe possibile fare col Vangelo rivelato ai piccoli e invito a tornare piccoli!

Dicevo che i versetti del libro dei Proverbi inducevano ad una messa a fuoco di pensieri sparsi in termini di Kairos, e cioè di questa fonte sorgiva che si dirama nei percorsi della propria esistenza. Tra questi pensieri da mettere a fuoco c’erano quelli sulla verità come capacità dell’uomo di armonizzarsi col mondo delle cose e degli altri: in questo senso si tratta della madre stessa di ogni kairos, della fecondità e creatività dello spirito in partecipazione!  Se “il linguaggio è la casa dell’essere e nella sua dimora abita l’uomo” (Heidegger), la verità abita l’uomo e non possiamo ignorarla.

In tempi in cui il prefisso “post” lambisce anche la parola verità - si parla tranquillamente di post-verità, perché non di post-razionalità? - tornerei sommessamente a dire come intendere la verità in quanto DNA di ogni possibile visione del mondo, in quanto capacità stessa di vedere il mondo: non supina accettazione di dati di fatto, né passiva conformità a qualcosa di prestabilito o di aprioristico, qualcosa insomma che cade dall’alto da qualche autorità superiore o che nasce spontaneamente dal basso come convenzione verbale. Quindi qualcosa di subito e senza valore di cui si possa fare a meno, come sembra si possa fare a meno dell’aria fino a quando non ci manca. Ma non si starebbe soffrendo di asfissia spirituale, pensando di farcela agitandoci sempre di più?

Per capire questo stato di cose potremmo pensare agli “idoli” di Bacone: 1 - Gli “idoli della tribù” (idola tribus), che sono i pregiudizi comuni a tutto il genere umano; 2 - Gli “idoli della spelonca” (idola specus), che  dipendono dall’educazione e dalle abitudini di ciascuno; 3 - Gli “idoli della piazza” (idola fori), quei pregiudizi che derivano dal linguaggio; 4 - Gli “idoli del teatro”(idola theatri), quelli che derivano dalle false filosofie e sono vere e proprie favole messe in scena. Forse oggi potremmo aggiornare questo elenco smascherando altri idoli, magari idolatrati come progresso e come salvezza!

In diversa misura, siamo tutti portatori - magari sani - di questo virus, che potrebbe essere fonte di “leggende metropolitane”. Ma per fortuna rimane intatta in noi la possibilità di “fare verità”, nel senso appunto che la verità è la risultante o il parto del rapporto fecondo tra noi e il mondo: realtà e pensiero sono due principi attivi che si rivelano e si distinguono all’interno di un processo vitale di esperienza e comprensione. Per cui non c’è realtà se non come pensiero così come non c’è pensiero senza realtà e un creativo dinamismo ed equilibrio tra loro genera appunto verità o simbiosi conoscitiva tra principi vitali che si rispecchiano e si differenziano!

So bene che queste possono sembrare, anzi sono, sottigliezze,  che però andrebbero approfondite e tenute presenti per non essere facile preda dei vari “idoli” e per diventare responsabili di quello che si crede, si pensa e si dice. Infatti la verità non è in un iperuranio allo stato separato: o è in noi o non è, e di essa siamo facitori e interpreti e non vittime o arbitri ad libitum, così come nei confronti  del bene e del male. In altre parole, verità non dice concezione assolutista e fissista, ma è piuttosto esercizio vitale sempre in fieri a vasto raggio, come quando Gesù dice che “Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future” (Gv 16,13).

Diciamo che quella della verità è un’avventura continua  e aperta, e questo modo di intenderla ha dei riflessi nella propria impostazione di vita e anche nella propria esperienza di fede, così come ha delle ricadute nello stesso nostro modo di procedere: senza paradigmi di riferimento a  priori e senza neanche obiettivi programmati da realizzare, ma affidandoci a quella che con linguaggio classico viene chiamata  “grazia attuale” come dono del momento. A regolare tutto è quindi il kairos inteso come casualità di incontri, reciprocità di relazione, disponibilità alla partecipazione, gratuità di collaborazione, provvisorietà di soluzioni,  precarietà di mezzi, come fili e punti per tessere la tela della vita. Anche se c’è sempre da pagare un tributo alla rete di rapporti precostituiti in cui siamo immersi, quello che conta e rimane però è la carità (dal latino carus, cioè caro, e dal greco chàris, cioè grazia).

 

Potremmo riconoscerci in un detto programmatico di S.Alberto Magno che dice: “Cercare la verità nella dolcezza della fraternità” (Quaerere veritatem in dulcedine fraternitatis), ben sapendo che la verità è “figlia del tempo” (filia temporis), appunto del kairos. Con la parola latina “commercium” arriviamo a dire che in principio c’è questa reciprocità di scambio, come quando riguardo al mistero della Incarnazione si dice “O admirabile commercium” - o scambio sorprendente. E prima di attenersi alle relazioni formali, bisognerebbe tornare a cogliere i frammenti d’oro umani nascosti nella sabbia del vivere sociale.

È sempre sulla base di un incontro personale di fondo che  nascono e si sviluppano anche relazioni intenzionali e verbali di comunicazione. Un esempio che ho tra le mani a questo proposito è la risposta ad una mia lettera  in Koinonia-forum, di cui  Raniero la Valle ci ha fatto liberamente dono e che riportiamo di seguito, per tenere aperte piste di un pensare collettivo a cui partecipare.

Sempre in tema di kairos, arriva in questi giorni il primo numero di Concilium 2017,  dedicato in gran parte alla verità nel dialogo tra culture e religioni. Vi è riportato un intervento del Maestro Generale dell’Ordine domenicano che entra nel vivo di quanto stiamo cercando di dirci: segno che non siamo fuori strada o tra le nuvole, ma sarebbe come dire di ritrovare aria respirabile in tempo di inquinamento in cui si parla di post-verità. Un discorso che non può rimanere riservato ad élites o addetti!

Scherzando viene da ricordare  che tanti anni fa azzardai tra noi l’ipotesi di lavoro per una “teologia kairotica”: naturalmente la proposta non ha avuto seguito sul piano formale, ma è importante che questa sia stata materialmente  praticata e possa ora diventare un orientamento più consapevole per tutti noi. Qualcuno una volta ci ha detto: “Chi ha orecchi per intendere intenda”!

 

Alberto B. Simoni op

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