Koinonia Marzo 2017


Da  Raniero La Valle (Roma)

 

Caro padre Alberto,

poiché è cominciato l’anno nuovo, anche le parole devono essere nuove e dobbiamo confrontarle tra noi per essere sicuri che diciamo le stesse cose. Cercherò quindi di dirti in breve le mie reazioni alla tua lettera dell’Epifania.

1) Certo che Koinonia deve continuare. Non indugio neanche a motivarlo, tanto è evidente il suo servizio e la sua necessità.

2) Non capisco lo scoramento che traspare dalla lettera. Abbiamo tanto detto che bisognava “forzare l’aurora a nascere” ed ora che è arrivata l’aurora vogliamo essere imbronciati?

3) In che senso la barca di Pietro sembra affondare nonostante il timoniere? E’ in atto una riforma del papato che sta riscattando lo scempio del papato e della Chiesa durato un millennio a partire dal “Dictatus papae” di Gregorio VII; è in atto una riforma del magistero pontificio che dal “deliramentum” della libertà di coscienza della “Mirari Vos” di un altro Gregorio, attraverso la “Pacem in terris” di papa Giovanni,  la “Nostra aetate” del Concilio e la “non ingerenza” e la denuncia del proselitismo di papa Francesco giunge, dopo quasi due secoli, alla “Misericordia et misera” che fonda l’etica non sulla condanna ma sulla coscienza e sull’amore; abbiamo un papa che si proclama gesuita, che si chiama Francesco ma che in vera sostanza è un domenicano, perché tutto, tutto – continuità e riforma, tradizione e “casino” – è affidato alla stoltezza della predicazione del Vangelo, dalle 7 del mattino fino alla notte; e abbiamo un Vangelo che non è chiuso, perché dopo che “sono passati più di duemila anni”, abbiamo ancora da “raccontare” quei “molti altri segni” di Gesù che”non sono stati scritti” (Gv. 20, 30), come dice la “Misericordia et misera”  al n. 18, e che quindi sono nuovi e contemporanei anche per noi; il che vuol dire che la rivelazione non è chiusa, benché definitiva, non sta in un “deposito della fede”, sta nell’umanità in cammino abitata da Dio.

4) In che senso “non c’è da dubitare” che il cristianesimo è finito? È vero che tanti amici ce lo dicono, ma è la sciatta lingua del tempo, e non possiamo in questo dar loro ragione. Altrimenti perché evangelizzare? E perché pubblicheremmo il discorso di La Pira, per il quale invece proprio adesso esso comincia, anzi si attua? È vero che neanche La Pira coglieva il punto della situazione quando identificava il trionfo della Chiesa con la sovranità divina  realizzata sul mondo (pace, unità, abbondanza sulla terra, e Firenze come sua profezia), ma certo La Pira è l’antitesi del post-cristianesimo. Ed è verissimo, come dici, che non si può nemmeno immaginare un ritorno a prima che il cristianesimo esistesse: forse che il Verbo potrebbe disincarnarsi?

4) Invece a me pare che ora le cose siano chiare. Quella che è finita è la cristianità, e ormai questa non è più la verità “dei modernisti”, ma di tutta la Chiesa. Il premio Carlo Magno, con la sua corona, se ne può stare a casa sua. E la fine della cristianità vuol dire tutte le cose che sappiamo (fine del composto tra religione, potere, culture, istituzioni, diritto), ma soprattutto vuol dire ritrovare la dualità (alterità) tra Chiesa e Regno di Dio, del quale la Chiesa non è la miniatura, il bozzetto,  o addirittura il “già” che si è intanto realizzato, ma è il segno, la discepola, l’ “ospedale da campo”. Noi non facciamo altro che parlare interminabilmente della Chiesa, mentre la questione è quella di Dio. Come hanno detto concordemente papa Francesco e il patriarca Bartolomeo le Chiese si sono divise perché si sono dimenticate di essere definite come il “mysterium lunae”, e non hanno fatto che guardare se stesse, invece di rimandare al sole, di cui erano semplice riflesso. E così non solo si sono divise, ma per il mondo sono state una perdita. Quello che oggi accade è che mentre per la Chiesa si è chiuso il regime di cristianità, per il cristianesimo e per tutte le religioni del mondo si è aperta la questione di Dio. Di quale Dio parliamo quando parliamo di lui?

5) Se cade la cristianità non è pensabile che ciò accada senza far rumore e sollevare molta polvere. È quello che tu dici “avere un mondo tutto da decifrare e allo sbando”. Ma con quali risorse affrontarlo?  Mi pare che qui venga il momento della nostra decisione. Non si tratta più di essere solo destinatari della predicazione. Si tratta di decidere il Dio predicato, e di eleggere il nostro Dio tra quelli predicati. Perché  su questo c’è il conflitto. C’è il conflitto nel mondo, che continuamente ci propone una scelta nel politeismo degli idoli (dal denaro al potere), c’è il conflitto nell’Islam, tra il Dio degli islamisti e il Dio degli islamici, e c’è il conflitto nella Chiesa tra il Dio della condanna, che è stato predicato finora (aveva spiegato san Bernardo al papa Eugenio III che il suo potere poggiava non sulle ricchezze, ma sui peccati : “in criminibus, non in possessionibus potestas vestra”) e il Dio della misericordia predicato e testimoniato da papa Francesco: incompatibile con le scomuniche, a cominciare dalle donne! Dove misericordia non è un complimento più accentuato fatto a Dio, ma è l’alternativa,  è “il Vangelo annunziato in modo nuovo” come voleva il Concilio e come Francesco sta eseguendo.  Lo scontro, quello visibile e quello dissimulato che c’è oggi nella Chiesa non è sulla riforma della Chiesa o su singole dottrine, è sulla stessa figura e forma di Dio. Che vuole anche dire tra il Dio violento della tradizione anche biblica (frutto, dice ora la Congregazione del card. Muller, di un “fraintendimento” della fede), e il Dio nonviolento, perché “il Dio di guerra non esiste” (Francesco).

Credo che dovremmo prendere atto che di questo si tratta e che dunque noi, come fedeli (ma anche come potenziali predicatori) oggi siamo chiamati a fare una scelta, un’ “elezione”. Quale Dio vogliamo servire? A Sichem Giosuè propose la scelta tra gli Dei di là del fiume e il Dio di Israele. Il popolo stipulò il patto di servire il Dio di Israele. A Sicar Gesù propose alla samaritana la scelta tra il Dio adorato sul monte Garizim o a Gerusalemme e “il Padre” da adorare in spirito e verità. La samaritana in ciò riconobbe il Messia e, come poi la Chiesa, lo andò a raccontare a tutti, svelò la scelta da fare. L’ipotesi è che ora, dopo molti altri secoli, all’avvento della secolarizzazione e di un mondo indiviso (globalizzato), la scelta esplicita che ci è chiesto di rinnovare è tra il Dio della cristianità e del potere e il Dio della misericordia e dell’unità umana; nella speranza che questa scelta cristiana induca nel tempo ogni religione o cultura a uscire dalla propria forma di “cristianità” per convertirsi al Dio della misericordia e della totalità umana assunta da lui. È questa l’ipotesi su cui mi piacerebbe si potesse lavorare.

Grazie, caro padre Alberto, della tua indefessa fedeltà e dell’aiuto che ci dai per continuare a pensare e ad andare avanti. Un abbraccio

 

Raniero

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