Koinonia Marzo 2017


 

Papa Francesco

nell’incontro con l’Unione superiori maggiori (25/11/16)

 

Santo Padre, la vita religiosa non è in funzione di se stessa, ma della sua missione nel mondo. Lei ci ha invitato ad essere una Chiesa in uscita. Dal suo punto di osservazione, la vita religiosa nelle diverse parti del modo sta operando questa conversione? 

La Chiesa è nata in uscita. Era chiusa nel Cenacolo e poi è uscita. E deve rimanere in uscita. Non deve tornare a chiudersi nel Cenacolo. Gesù ha voluto che fosse così. E «fuori» significa quelle che io chiamo periferie, esistenziali e sociali. I poveri esistenziali e i poveri sociali spingono la Chiesa fuori di sé. Pensiamo a una forma di povertà, quella legata al problema dei migranti e dei rifugiati: più importante degli accordi internazionali è la vita di quelle persone! E proprio nel servizio della carità è pure possibile trovare un ottimo terreno per il dialogo ecumenico: sono i poveri che uniscono i cristiani divisi! Queste sono tutte sfide aperte per i religiosi di una Chiesa in uscita. L’Evangelii gaudium vuole comunicare questa necessità: uscire. Vorrei che si tornasse a quella Esortazione apostolica con la riflessione e la preghiera. Essa è maturata alla luce dell’Evangelii nuntiandi e del lavoro fatto ad Aparecida, contiene un’ampia riflessione ecclesiale. E infine ricordiamolo sempre: la misericordia è Dio in uscita. E Dio è sempre misericordioso. Anche voi uscite!

 

 

        

Dalla Lettera del Santo Padre Francesco al Card. M.Quellet

Presidente della pontificia commissione per l’America latina

 

Guardare al Santo Popolo fedele di Dio e sentirci parte integrale dello stesso ci posiziona nella vita, e pertanto nei temi che trattiamo, in maniera diversa. Questo ci aiuta a non cadere in riflessioni che possono, di per sé, esser molto buone, ma che finiscono con l’omologare la vita della nostra gente o con il teorizzare a tal punto che la speculazione finisce coll’uccidere l’azione. Guardare continuamente al Popolo di Dio ci salva da certi nominalismi dichiarazionisti (slogan) che sono belle frasi ma che non riescono a sostenere la vita delle nostre comunità. Per esempio, ricordo ora la famosa frase: “è l’ora dei laici”ma sembra che l’orologio si sia fermato.

Guardare al Popolo di Dio è ricordare che tutti facciamo il nostro ingresso nella Chiesa come laici. Il primo sacramento, quello che sugella per sempre la nostra identità, e di cui dovremmo essere sempre orgogliosi, è il battesimo. Attraverso di esso e con l’unzione dello Spirito Santo, (i fedeli) “vengono consacrati per formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo”(Lumen gentium, n. 10). La nostra prima e fondamentale consacrazione affonda le sue radici nel nostro battesimo. Nessuno è stato battezzato prete né vescovo. Ci hanno battezzati laici ed è il segno indelebile che nessuno potrà mai cancellare. Ci fa bene ricordare che la Chiesa non è una élite dei sacerdoti, dei consacrati, dei vescovi, ma che tutti formano il Santo Popolo fedele di Dio. Dimenticarci di ciò comporta vari rischi e deformazioni nella nostra stessa esperienza, sia personale sia comunitaria, del ministero che la Chiesa ci ha affidato. Siamo, come sottolinea bene il Concilio Vaticano II, il Popolo di Dio, la cui identità è “la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo Spirito Santo come in un tempio”(Lumen gentium, n. 9).  Il Santo Popolo fedele di Dio è unto con la grazia dello Spirito Santo, e perciò, al momento di riflettere, pensare, valutare, discernere, dobbiamo essere molto attenti a questa unzione.

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