Koinonia Marzo 2017


Lettera-testimonianza di Ivan Bastoni

Segretario di Mons. Loris Francesco Capovilla

 

Caro Padre Alberto e cari amici di Koinonia, 

grazie per avermi chiesto di ricordare il cardinale Loris Francesco Capovilla in vista del vostro incontro del 26 marzo. Devo a lui molte cose, tra queste anche l’avervi conosciuti e l’esser rimasto in contatto con la vostra bella realtà nel corso di questi sedici anni e più che ho passato accanto a mgr Capovilla. Il 26 maggio ricorrerà il primo anniversario del suo transito in cielo ma sembra davvero passato un giorno.

Per cercare di resistere al distacco ho messo in pratica quanto mi aveva detto lui negli anni precedenti e non nelle fasi finali, nelle quali credeva veramente di tornare a casa: “Fai come ho fatto io dopo la morte di Papa Giovanni, buttati nel lavoro”. E per lavoro intendeva, oltre quello che svolgo per mantenere la mia famiglia, soprattutto la ricerca, la catalogazione, lo studio del patrimonio di carte, e non solo, che mi ha affidato, in qualità di suo erede. Questo me lo diceva perché sicuro che in tal modo avrei avuto la sensazione di esser ancora accanto a lui. Papa  Giovanni gli diceva che per superare un lutto ci vogliono almeno due anni. Non vi nascondo che mi è capitato un paio di volte in questi mesi, per alcuni minuti, di sentire un vuoto e una malinconia quasi incontrollabili, però poi è passato e ho ripreso a lavorare, come sempre facevamo.

Padre Alberto mi ha informato che sarà tra voi il Dottor Renzo Salvi, al quale mando il mio saluto e prendo questa occasione per ringraziarlo della bella pubblicazione che ha fatto Nell’Aurora del Concilio (Cittadella Editrice), ricordando mgr Capovilla. Ha riassunto, a mio avviso, in una riga in maniera mirabile nel suo inizio di introduzione un aspetto dello spirito di mgr Capovilla quando dice: “…episodi di esperienza e di testimonianza comunque caratterizzati da un dialogare franco e aperto sin dal primo incontro”.

Sì, perché il suo essere sempre fedele alla Chiesa non gli ha impedito di essere  sincero nel suo parlare, schietto e anche controcorrente se questo voleva dire esser dalla parte di un povero che aveva subito un’ingiustizia. Troppe volte la gente gira la testa dall’altra parte, magari non per cattiveria, ma solo per quieto vivere. Mgr Capovilla non era così, anzi, per un amico avrebbe fatto qualunque cosa. Questo senso dell’amicizia e della lealtà infatti lo ha ben spiegato lui stesso in una sua omelia radiofonica, la prima che tenne, appena trentenne e disse: “Quanti hanno provato la ‘inesprimibile gioia’ di servire con letizia e amicizia, sanno come non ci sia ostacolo che la possa arrestare, nemmeno la fatica più dura o il rischio».

Uso spesso questa citazione, scusandomi se sono ripetitivo, ma a mio avviso rende perfettamente l’idea di come mgr Capovilla considerasse la lealtà e l’amicizia. Due caratteristiche che la gente comune avverte immediatamente una volta a contatto con lui ma soprattutto le ha applicate a Papa Giovanni. Fedeltà assoluta pagata spesso, come il dottor Salvi e anche voi saprete, a caro prezzo.

Molti gli hanno riconosciuto il merito di aver mantenuta viva la memoria di Papa Giovanni. Lui rimaneva umile, ma non possiamo negare quanto ha fatto per il Santo Pontefice. Lavoratore sino all’ultimo, dormiva pochissimo, mangiava in pochi minuti. Un riposo veloce e poi di nuovo sulle carte a scrivere.  Sino a qualche anno fa lo faceva prima a mano, poi ribatteva il testo con la sua Olivetti lettera 23, e poi  mi passava i fogli per completare e correggere al computer tutto prima della stesura finale.

Concludo con una piccola curiosità e coincidenza che ho ricordato pensando alla Pro Civitate Christiana e facendo riferimento ad una delle letture fatte in ospedale a mgr Capovilla. L’omelia  APPELLO AI SOFFERENTI del 30 maggio 1946 era uno spaccato di quanto mgr Capovilla non avesse cambiato nulla nel modo di parlare e pensare rispetto a quanto ha detto e scritto nella sua vita. Anche questo appello ai malati, che ora vedevano lui dall’altra parete del microfono credo ci dia un’altra idea della coerenza sulla sua sensibilità verso chi soffriva. Quelle parole adesso erano per lui, purtroppo, ma come dirà non si può sfuggire dalla sofferenza se ci chiamiamo cristiani.  In questo discorso cita don Giovanni Rossi e mi piace ricordarlo alla conclusione di questo mio scritto. Don Loris, allora, diceva:

È possibile concepire un aspetto solo della vita escludendovi la sofferenza?

Ad un essere intelligente ciò appare come una utopia;

ad un cristiano, dopo l’esempio di Cristo Signore, una irriverente pretesa.

Non c’è ribellione che tenga: al dolore non si sfugge; né mai

ci accadrà di incontrare un nostro simile il quale affermi: io ne

sono immune. I cristiani sanno bene tutto ciò e considerano la parentesi

terrena una incessante battaglia per superare l’ostacolo

della sofferenza, senza perditempo e inutili querimonie.

Scrive bellamente un moderno autore ascetico: «Il cristiano

supera questa lotta quando, come la turbina trasforma l’acqua del

torrente in moto, luce e calore, così egli nel Cuore del Crocefisso

converte la sua tribolazione in redenzione, la sua disgrazia in grazia

e ama il suo dolore, quale espressione più alta e sincera della sua

fede, della sua speranza e della sua carità soprannaturale (Giovanni Rossi, Breviario cristiano, Pro Civitate Christiana, Assisi 1945 pag. 103).

        

Così mgr Capovilla ha vissuto i suoi ultimi giorni, lavorando accogliendo e senza lamentarsi, scusandosi più e più volte del disturbo che arrecava. Se ne è andato un grande uomo, un grande sacerdote e se permettete un grande amico. Risento la sua voce, lo rivedo nei video, lo sento ancora qui anche se fisicamente non c’è più. Non è la stessa cosa, almeno per quanto mi riguarda, sarei falso se dicessi il contrario, ma spero che lui possa esser più vicino a noi di quanto non lo possiamo percepire. Un caro saluto a tutti i partecipanti e grazie per avermi fatto parte della vostra amicizia e incontro. Con affetto

 

Ivan Bastoni

.