Koinonia Febbraio 2017


Da Frammenti di un cammino di Maurizio Valleri

 

La mia  fede

 

«Donde se cruza el camino del viento con el de las estrellas» (Dove si incrocia il cammino del vento con quello delle stelle), recita la frase incisa su una delle figure stilizzate dell’Alto del Perdon. Quando ci arrivi, dopo una bella salita, capisci perché su questo crinale vi hanno sistemato una fila lunghissima di pale eoliche. Il vento è quasi continuo. Il cammino del vento è qualcosa che riguarda la terra, la luce delle stelle arriva dal cielo. Facile fermarsi un attimo a riflettere sul significato, potenzialmente nascosto, da questo incrocio.

Credere o non credere? Sono o non sono credente? Quando ero ragazzo, sono andato regolarmente in chiesa. Tutti i sacramenti regolarmente fatti. Devo ammettere che ero inizialmente spinto dalla tradizione, per la verità più affine al ramo femminile della famiglia, ma senza particolare affanno, difficoltà o fatica. In questo ero aiutato anche dal fatto che molti miei amici frequentavano la parrocchia ma anche da alcuni sacerdoti illuminati che sapevano come lavorare con i ragazzi, quali, negli anni: Don Mario, Don Tullio e Don Adriano (quello che mi ha sposato). Così ho fatto parte del coro, qualche volta ho fatto anche il chierichetto. Una fede da ragazzo, dunque, senza troppe domande, fatta della semplicità di seguire le regole scritte e dettate.

Così è continuato tranquillamente anche da adulto. Sentivo che era giusto, ma erano pochi gli interrogativi che mi ponevo. Non mi piaceva arrivare tardi alla messa e ancora meno non andare. Non che temessi ritorsioni particolari o chissà quale anatema, ma lo sentivo come mancanza di rispetto verso la comunità che partecipava. Anche al matrimonio sono arrivato vergine, più per convenzione che per convinzione. Mi sono posto domande sulla mia fede quando mi sono separato, in piena crisi personale e ho cominciato a frequentare Alberto, il mio amico domenicano. Ne è derivata l’apertura a un nuovo mondo, in termini di conoscenze e di pensiero.

Con Rita abbiamo condiviso la difficoltà iniziale di essere “fuori dalla chiesa”,  ma poi è cresciuta in noi la consapevolezza che valeva più la coerenza che la fedeltà a qualcosa che si segue solo per convenzione. Credo, sempre più, che la fede si dimostri con la propria disponibilità verso gli altri, non come dovere, ma come spirito che sgorga dal profondo. Se così è, come credo, sono ancora lontano. La mia disponibilità esiste, ma è ancora molto condizionata. Sono io che decido di darla e, spesso, mi pesa quella richiesta che può, in qualche modo, mettere in crisi il mio quotidiano.

Faccio volontariato ormai da trentacinque anni e, anche qui, ho impostato il servizio di cambio ai malati, sulle mie esigenze. Mi domando, quindi: sono credente? Rimane una risposta difficile, sfumata. Sento forte, giusto e concreto il messaggio evangelico e vedo, anche nel presente, la sua realizzazione da parte di chi l’ha abbracciato in pieno e non solo nel mondo cristiano. Faccio però fatica a metterlo completamente in pratica, ancora troppo assoggettato ai richiami dell’ego e del mondo. C’è poi tutta la parte del mistero e, in primis, la resurrezione o se volete, il dopo morte. Mi sembra impossibile che tutto debba finire, che ricordi, emozioni, esperienze di vita, le persone che abbiamo amato, che tutto svanisca nel nulla, «perduti nel tempo come lacrime nella pioggia», avrebbe detto Roy in Blade Runner. Ma credere nell’aldilà è frutto di una convinzione o di un desiderio? Davvero un bel mistero. Fatto sta che quando ci penso non sono così certo di poter affrontare il momento con leggerezza e serenità come ci si aspetterebbe da un credente. Avrei bisogno di qualcuno che mi tenesse la mano, come ai bambini quando devono attraversare la strada. Cosa che non sono riuscito a fare, finora, con le persone che ho amato. Mi consola una bella immagine di Charles Brent: Me ne sto sulla riva del mare: una nave apre le vele alla brezza del mattino e parte per l’oceano. È uno spettacolo di rara bellezza e io rimango ad osservarla fino a che svanisce all’orizzonte. Nel momento in cui qualcuno accanto a me dice “È andata!”, ci sono altri che stanno scrutando il suo arrivo, e altre voci levano un grido di gioia:”Eccola che arriva!” e questo è il morire.

Mi sembra sempre più netta la separazione, che prima non facevo, fra essere “religioso” ed essere credente’. Lo stesso vangelo mi richiama dall’«intima presunzione di essere giusto e dalla tentazione del giudizio verso gli altri». Spesso dividiamo il mondo in due: da una parte i “cattivi” dall’altra i “giusti”.  Nel nostro intimo pensiamo che la verità sia sempre dalla parte nostra e pensiamo di «non essere come gli altri». Credo, perché è nella mia natura, che la mia sia una fede “ragionata” che cerca, per quanto possibile, “di portare alla ragione il mistero”. Lo so che non è possibile. Mi piace però parlare e discutere di questi temi. Grazie agli incontri della vita, soprattutto in questi ultimi venti anni, penso di aver fatto qualche passettino in avanti nella comprensione e di essere più dubbioso e tollerante, che certo e intransigente.

Mi hanno aiutato e mi aiutano in questo percorso così arduo e indefinito, alcune”guide”, incrociate casualmente, conosciute e mai più lasciate: Luigi Verdi, “Gigi”, della fraternità di Romena, Andrea Bigalli, Alberto Maggi, biblista, Andrea Santoro, della comunità delle Piagge, Raniero La Valle, intellettuale, e alcuni teologi come Molari e Mancuso. Tutte persone, ognuna con il suo stile, che non ti rendono la vita facile, ma interrogano la tua vita. Ognuno ha i suoi percorsi e, fondamentalmente, quello in cui credo è che se “qualcuno” si è preso la briga di venire sulla terra 2000 anni fa, per lavare i piedi stanchi di uomini in cammino, l’ha fatto per renderci più umani e quindi più simili a lui.

 

Maurizio Valleri

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