Koinonia Febbraio 2017


DA UNA LETTERA DI ALBERTO SCANDONE A GIORGIO MANACORDA

 

Io sono sicuro di aver fatto bene a non aderire al PSU, a non aver accettato di andare all’Espresso, ad essere viandante spiantato, e te lo dico perché tu ci pensi. Ognuno agisce in condizioni diverse dall’altro, e la mia è solo una testimonianza.[...] Lo dico dopo aver sfiorato da vicino simili scelte, quindi capisci e sai che non c’è nessuna verginale purezza nel mio discorso. Quando stavo per sposare Fiamma vedevo e subivo sollecitazioni di questo genere: con lei probabilmente sarei nel PSU e all’Espresso. Nei miei più recenti passi ogni tanto prevale il pensiero di me. Però sono sicuro che è male. [...] Dimenticarsi e trovare forze, ispirazioni, slanci è la stessa cosa. Ricordarsi e itinerare faticosamente sotto il sole nella pietrosa via del dovere è pure la stessa cosa.

 

[...] Ecco che io ti dico, da amico fragile e fraterno, di pensare a questo aspetto morale delle cose, per non essere poi moralmente infelice. Non si tratta certo di moralismo. C’è la rivoluzione, non c’è la rivoluzione? A questa domanda non si risponde solo guardando alle condizioni economico-sociali d’Italia o d’Europa, ma guardando agli impegni e alle intenzione degli uomini... Io dico che bisogna pensare sempre a quel ragazzo prodigio, prediletto da Gentile, che era Mario Alicata che poteva essere un tranquillo accademico e ha bruciato tutto, fino a morire, perché ha creduto ad una prospettiva di rivoluzione, debole, non sicura, ma ricca di compiti immediati chiamati Agrigento e alluvione. Alla fine non si può ricusare di pensare a morti che ci assomigliano, che abbiamo conosciuto e che fanno parte dei dati sulla rivoluzione almeno quanto altri.

 

[...] Mai come in questi giorni sono stato certo della verità umana dei Vangeli: coraggio, dimenticanza di sé, aprono le porte a soluzioni più ricche sotto ogni profilo: “cercate il Regno di Dio e la sua giustizia e il resto vi sarà dato per sovrappiù”. La rivoluzione, la fedeltà agli ideali originari: siamo giovani, alla fine, e tutto verrà. Non vendere primogeniture per un piatto di lenticchie, ricorda come sono stati belli certi momenti di tensione civile, non credere che la loro ripetibilità dipenda prevalentemente da dati esterni [...].

 

[...] Che fare? Lungo discorso e non ho più carta. In sostanza la politica della guerra di posizione è la politica giusta, e la destra ha ragione, ma il problema è tener desta nei fortini necessariamente attrezzati con tutti i conforts, la volontà di una città futura. Per fare questo bisogna credo uscire da un discorso storicista classico, pensare in modo diverso ai problemi delle persone, riconoscere che è molto più forte del nostro il pensiero di Teilhard. Tornare a pensieri banditi da quello che ci è parso il più alto sistema di pensiero: questa è la strada.

 

Tuo Alberto [teologo post mortem Dei]

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