Koinonia Febbraio 2017


La voce di Frei Betto

“UTOPIA”, 500 ANNI

 

Nel dicembre del 1516 la casa editrice belga di Dirk Martens, a Lovanio, pubblicò “Utopia”, opera dell’inglese Thomas More (1478-1535). Il titolo deriva dal greco “utopos”, che significa “nessun luogo” o, comunemente, “luogo dei sogni, fuori dalla realtà”.

Si tratta di un’isola paradisiaca, nella quale si è realizzata la società repubblicana ideale. Lì non si lavora più di sei ore al giorno; non circola il denaro; non esiste né proprietà privata né ambizione; i suoi abitanti si dividono i frutti dell’attività agricola. More era una persona importante nella corte inglese. Fu membro del Parlamento, rivestì l’importante carica di Lord Cancelliere ed ebbe la fiducia del re Enrico VIII. Il monarca si innamorò di Anna Bolena nel 1553 e decise di ripudiare Caterina di Aragona, e di contrarre un nuovo matrimonio religioso con la Bolena. Questo fatto andava contro tutti i precetti della Chiesa Cattolica, che non ammetteva il divorzio e men che meno un nuovo matrimonio religioso. Di fronte all’opposizione del Papa, Enrico VIII ruppe i rapporti con Roma e fondò la sua propria Chiesa, chiamata Anglicana. Thomas More, che era cattolico praticante, si oppose alla sua decisione e lo denunciò come eretico. Il re lo fece arrestare. Processato, fu condannato a morte tramite decapitazione. Nel 1935 la Chiesa Cattolica lo canonizzò come martire e nel 2000 papa Giovanni Paolo II lo proclamò patrono dei governanti e dei politici.

Il cinema lo ha celebrato nel film “Un uomo per tutte le stagioni”, diretto da Fred Zinnemann,  che nel 1966 vinse sei Oscar.

“Utopia” è una critica all’ambiente politico dell’Inghilterra del XVI secolo, in cui dominavano l’ambizione per il potere, la corruzione e l’incompetenza. Nell’isola di Utopia regnano la giustizia e la buona amministrazione. Tutti i suoi abitanti sono felici in questa terra ecologicamente sostenibile.

Secondo un’espressione di Michelet, “ogni epoca sogna il suo futuro”.  L’antichità concepì l’Arcadia, e Platone la Repubblica ideale. L’opera di More ispirò “I viaggi di Gulliver” di Swift, e “Robinson Crusoe” di Defoe. Più tardi ispirerà anche le antiutopie come “Il mondo nuovo” di Huxley; “1984” di Orwell e “Farenheit 451” di Bradbury.

Marx considerava More un protocomunista del XVI secolo per aver abolito, nella sua isola immaginaria, la proprietà privata.

Nei paesi capitalisti il potere è antiutopico o distopico per natura. E tanti governi progressisti che un tempo alzarono la loro voce contro lo sfruttamento operato dal  capitale e inalberavano bandiere progressiste, da fieri leoni si sono trasformati in docili agnellini del gregge neoliberista.

Il potere, a causa delle urgenze del presente, fa perdere la visione del futuro. E siccome il potente tende a perpetuare la sua posizione (si vedano le vecchie volpi della politica brasiliana), cerca di ridurre il processo storico ad un suo momento personale. Si ritiene principio e fine, senza essere consapevole che non passa attraverso un mandato popolare. Da lì il fatto di trasformarsi in una figura ridicola, con una vita senza valore, mera caricatura delle sue ambizioni smisurate. Chiusi nella loro meschina realtà, molti politici nemmeno riconoscono la utopia.

 

Frei Betto

 

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