Koinonia Gennaio 2017
PERSONAGGI E VICENDE a cura di Sara Rivedi Pasqui
Padre Christian de Chergé
Christian de Chergé era un monaco cistercense appartenente all’ordine dei trappisti. Uomo di grande spiritualità e comunicabilità con il mondo islamico fu uno dei sette monaci di Tibhirine presi in ostaggio e assassinati dai ribelli algerini nel 1996. Il libro pubblicato recentemente ed intitolato L’Altro,l’Atteso, edito dalle San Paolo nel 2016, è una raccolta di sue omelie comprese tra l’aprile 1980 ed il maggio 1996, pochi mesi prima della sua morte, ma potremmo dire del suo martirio.
Padre Christian era in Algeria dal 1971 nel monastero di Notre Dame de l’Atlas e la sua comunità aveva stabilito di cooperare alla ricostruzione della chiesa cattolica di Algeria in una realtà interamente Islamica, una chiesa povera ed umile, ma con una missione da compiere, praticare la fede, l’amore e la preghiera con il sostegno spirituale del cardinale Duval, arcivescovo di Algeri, convinto che tra la maggioranza musulmana del Paese e i cristiani fosse possibile coadiuvare armoniosamente. Purtroppo questo sogno non si realizzerà perché gli algerini giudicavano la chiesa cattolica fortemente legata al governo francese.
Quando
i
conventi cominciarono a vuotarsi perché il clero cattolico temeva per
la
propria incolumità i monaci di Tibhirine restarono animati dalla
vocazione di
continuare il dialogo iniziato con i musulmani. Erano gli unici monaci
nel
Paese e tutti stranieri, ma sentivano di appartenere all’Algeria, la
sentivano,
anzi l’avevano scelta come loro patria. La missione dei monaci di
Tibhirine
consisteva nel praticare la preghiera, il silenzio, la condivisione,
ma anche
la riconciliazione e la misericordia poiché la società algerina è
stata segnata
da anni di guerra civile ed al tempo stesso da una forte crescita
demografica,
per questo occorreva cooperare alla riconciliazione senza imposizioni,
ma con
umiltà verso i musulmani.
Leggendo le omelie e le preghiere che le completano, raccolte nel
libro L’Altro,l’Atteso
si percepiscono i dolori del mondo non solo musulmano ma anche delle
popolazioni che costituiscono il Terzo Mondo. Christian de Chergé ci
ha
lasciato degli scritti di intensa profondità spirituale, di
ricerca teologica
e culturale, di valore testimoniale, ma al tempo stesso di grande
semplicità ed
insieme ai suoi confratelli nella preghiera ha sempre vegliato sul
mondo
musulmano perché si sentivano parte del popolo algerino e
volevano condividere
il loro destino perché avvertivano quanto fossero fragili i rapporti
con la
società musulmana e volevano dare amicizia e partecipazione, pur
avvertendo il
pericolo che li minacciava ogni giorni di più.
L’unica
loro
difesa è la fede, sono certi che la preghiera li proteggerà. Sono gli
unici cristiani di Medea, non hanno risorse finanziarie e rifiutano la
difesa
militare proposta dai funzionari governativi.
Christian de Chergé non voleva essere al di sopra della comunità
(abate) ma un
fratello tra i fratelli e con le sue omelie mostra una forza
straordinaria.
L’autore della prefazione al libro usa il termine “inspiegabile” non
ricordando
o non pensando alla profonda fede che anima il gruppo dei monaci, da
essa
traggono il coraggio per proseguire la loro missione e praticare la
loro
vocazione.
I monaci di Tibhirine costituivano una comunità povera e semplice,
come ho già
evidenziato, ma spiritualmente forte e la notte di Natale del 1993,
quando dei
guerriglieri fecero irruzione nel monastero con le armi spianate,
Christian de
Chergé impose che le armi fossero lasciate fuori perché il luogo era
una casa
di pace. In quei momenti il priore dimostra tutta la sua autorevolezza
pur
trovandosi di fronte a uomini violenti pronti a tutto per razziare
denaro,
cibo, medicine e soprattutto pretendere che fratello Luc, il medico,
li
seguisse.
Christian
rifiutò
sempre di essere coinvolto nelle violenze che squassavano l’Algeria,
non respinse mai i feriti che bussavano alla porta del monastero ma
difese fino
in fondo la vita dei suoi monaci.
Dunque la minaccia si è fatta reale ma il piccolo gruppo decide di
restare a
Tibhirine in modo da dimostrare “il diritto alla differenza”,
espressione che
serve a ben delineare l’islamismo radicale con il suo carico di
violenza e di
terrorismo. I sette monaci saranno sacrificati sull’altare dell’odio e
del
fanatismo religioso, moriranno dimostrando fino in fondo di essere
uomini di
fede, di preghiera e soprattutto di dialogo.
Sara Rivedi Pasqui
Dall’omelia del Venerdì Santo 1 aprile 1983
A questo punto della nostra celebrazione, impegnarsi diventa urgente. Acclamare la croce come abbiamo appena fatto non basta. La Passione secondo Giovanni ha reso presente, colto sul vivo, il grande conflitto che ha causato la morte di Gesù. Possiamo dichiararci innocenti in questo conflitto ? Che le parole ed i gesti lo provino, per noi come per lui, e per Maria, per le donne, per il discepolo amato. Il conflitto è quello tra la sua parola e la nostra, tra il suo gesto e il nostro.
Dall’omelia di Pentecoste 26 maggio 1981
E Pentecoste è la gioia comunicata, la vita fecondata, le lingue che si sciolgono. Ogni apostolo, abitato da una lingua di fuoco, diventa una torcia vivente. La missione comincia e consiste nel comunicare la gioia di Dio. Quella che ci ha dato Cristo, quella del Padre che si svuota nel Figlio. Goia del Figlio di tornare continuamente nel seno del Padre.
Dall’omelia della Quinta Domenica di Pasqua 27 aprile 1986
“L’inferno è adesso” dice Fadi, il bambino, terrorizzato dalle bombe. “Abuna (padre, con questo termine in arabo viene chiamato un prete ndr) dice che l’inferno è dove non c’è l’amore. Allora siamo all’inferno perché tutto brucia. E anche noi bruceremo!”. “No! – gli urla la sorellina, Jumna – non è vero. Io amo tutti. Il papà, la mamma e Abuna amano tutti. Vedi, da noi non può essere l’inferno, perché ci amiamo tutti!”. E quando tutto è stato distrutto e i genitori morti, i due bambini si sono rifugiati nella chiesa, vicino all’altare. Fadi ha abbracciato la sorellina in lacrime: “Non avere paura. Vedi! Non può essere l’inferno, perché ci amiamo”. “Vedete come si amano!”.
Dall’omelia dell’Epifania 4 gennaio 1987
Preghiera per chiedere la grazia di una buona morte.
“Dio, che ci hai creato a tua immagine, Tu ci vuoi viventi e, affinché la morte non ci distrugga, tuo Figlio è venuto a vincerla morendo. Accordaci la grazia di vegliare con Lui nella preghiera perché, al momento di lasciare il mondo, possiamo essere in pace con Te e con tutti e ritrovare la vita nel più profondo della tua misericordia”.