Koinonia Gennaio 2017


I POTERI FORTI E LA SOLITUDINE DI PAPA FRANCESCO

 

Fino a ieri, almeno in Occidente, pensavamo ingenuamente che fossero i governi eletti a suffragio universale e quindi, in ultima istanza, tutti noi cittadini, a determinare le scelte politiche, economiche, culturali delle nazioni democratiche. A dire il vero industriali, agrari e finanzieri hanno sempre esercitato la loro influenza, ma mai come oggi questa realtà appare evidente.

Con i processi di globalizzazione che negli ultimi trent’anni hanno sconvolto gli assetti politici del pianeta i poteri forti dell’economia (multinazionali e finanza mondiale) hanno a tal punto determinato le scelte dei governi che questi ultimi sembrano essere diventati i loro passacarte.

 Il mondo si è andato omogeneizzando “al ribasso”. I modelli di società più avanzati  (democrazia, stato sociale, benessere diffuso…) sono stati messi nell’angolo dal “nuovo” che si impone. Le ingiustizie, le vergognose disuguaglianze che parevano sopravvivere solo nel terzo mondo, destinate prima o poi ad estinguersi, secondo il pensiero di sociologi ed economisti che non vedevano più in là del proprio naso, sembrano destinate a diventare patrimonio comune in ogni parte del pianeta.

I trattati di libero scambio (si pensi all’ALCA e al TTIP che gli Stati Uniti vorrebbero rispettivamente stipulare con l’America Latina e con l’Europa) non farebbero che accentuare questo processo.

Le conseguenze di questi cambiamenti, frutto di un mercato senza regole, sono devastanti per la grande maggioranza della popolazione, per cui negli stessi paesi sviluppati una parte sempre più consistente di ceto medio va ad ingrossare la massa dei poveri.

In Italia, ad esempio, in presenza di un radicale indebolimento dei sindacati, si è affermata una nuova legislazione del lavoro, il jobs act, che produce un aumento strutturale del precariato, per cui l’art. 1 della nostra costituzione “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro” potrebbe essere cambiato in: “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul precariato”. Ma le “riforme” non si fermano qui. Vengono incoraggiate le privatizzazioni, dalla gestione dell’acqua al servizio sanitario, allo stesso sistema educativo. E al tempo stesso è in pieno svolgimento la svendita di beni finora di proprietà dello stato o degli enti locali.

La grande vittoria della destra, di là come al di qua dell’Atlantico, è stata quella di riuscire a trasformare il Partito Democratico americano come le socialdemocrazie e le democrazie cristiane europee in forze politiche subalterne ai diktat del neoliberismo. Non fa eccezione, naturalmente, il nostro stesso paese, dove lo smantellamento dello stato sociale non viene solo passivamente subito, ma è addirittura promosso dallo stesso governo che continua spudoratamente a definirsi di centrosinistra. È evidente che ai poteri forti (confindustria, massoneria…) risulta molto più utile, giocando sull’ambiguità, confrontarsi con governi ritenuti riformisti piuttosto che con governi che siano esplicita espressione della destra. In tal modo la resistenza sociale a scelte economiche contrarie agli interessi dei lavoratori risulta oltremodo indebolita. (1)

Di fronte a questi processi che sembrano inarrestabili quale ruolo sta giocando la Chiesa?

Per molti secoli, nel migliore dei casi, l’istituzione ecclesiastica, salvo rare eccezioni, ha avuto la funzione di soccorrere i deboli senza scontrarsi, se non raramente, con i potenti di turno che in realtà erano la causa di ingiustizie e disuguaglianze (2).  Il Concilio Vaticano II  ha messo in crisi questo suo ruolo, che dire ambiguo è dir poco. Oggi però, a più di cinquant’anni da quell’evento storico, papa Francesco, richiamando la prassi del Vangelo, vuole rendere operante il messaggio del Concilio. Questo comporta, ovviamente, cambiamenti profondi (e non certo di sola facciata) della Chiesa di Roma nei rapporti con i potenti della terra, con conseguenze facilmente immaginabili.

A pochi anni di distanza dalla sua elezione, infatti, papa Bergoglio sta vivendo il dramma della solitudine. Quanto sto affermando può apparire paradossale se pensiamo alle speranze suscitate non solo in moltissimi cristiani, ma anche, diciamolo pure, in gran parte dell’umanità, e soprattutto fra i poveri. Francesco fin dall’inizio del suo pontificato, e poi sempre più insistentemente, non solo ha denunciato la situazione di precarietà in cui versano tanti esseri umani, ma in particolare il sistema ingiusto di sfruttamento che li condanna a una vita privata dei beni essenziali (casa, educazione, sanità, persino il cibo), a fronte di una minoranza che si arricchisce alle loro spalle, togliendo loro anche la dignità.

Se parlo della “solitudine” di papa Francesco, dunque, mi riferisco al vuoto che gli viene creato intorno non solo dagli ambienti più conservatori del Vaticano, ma anche dai settori più influenti della società a livello economico, politico e mediatico. Di fronte al suo messaggio dirompente  questi poteri, pur manifestando un ossequio formale, praticano al tempo stesso politiche di segno opposto. Il loro atteggiamento concreto, di fronte alla denuncia del papa, potrebbe essere tradotto in questi termini: “Parla pure, fai il tuo mestiere, ma  il mondo reale è nostro, e ce lo gestiamo come ci pare”.

Riuscirà il popolo cristiano che vede in papa Bergoglio il simbolo di una chiesa liberatrice a fare propria, nei fatti, la sua istanza di radicale rinnovamento? La “solitudine” di Francesco può essere  vinta solo se i cristiani di oggi, e in particolare i laici e le donne che sono rimasti silenziosi per secoli, sapranno intraprendere in prima persona un cammino difficile sulla strada del rinnovamento. È un cammino contro corrente se pensiamo che in questo momento storico, segnato da una crisi profonda di valori, anche le speranze in un mondo diverso, più umano e più giusto, sembrano a molti pura utopia, bella certo, ma non praticabile. E tuttavia dobbiamo tentare, ben sapendo che la nostra volontà di riformare la Chiesa non può limitarsi a un fatto intraecclesiale, ma comporta una lotta faticosa, sempre combattuta a caro prezzo, atta a contrastare le “strutture di peccato”, cioè le ingiustizie sociali, le disuguaglianze, le guerre, che sembrano oggi un dato ineliminabile, insito nella stessa natura umana.

 

NOTE

1) Anni addietro (c’era Berlusconi a capo dell’esecutivo) milioni d cittadini scesero in piazza per difendere l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. E ce l’avevano fatta. Oggi l’attuale governo di “centrosinistra” è riuscito ad imporre il jobs act che rende possibile il licenziamento senza giusta causa.

2) Non parliamo poi delle innumerevoli volte in cui i vertici della Chiesa istituzionale si sono schierati palesemente dalla parte delle classi privilegiate.

                                                                                  

 

Bruno D’Avanzo

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