26 novembre 2023 - XXXIV DOMENICA DEL
TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo
Pietro Cavallini: Il Giudizio universale, part. (1293 c.)
Roma, Basilica di Santa Cecilia in Trastevere
PRIMA LETTURA (Ezechiele 34,11-12.15-17)
Così dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine.
Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia.
A te, mio gregge, così dice il Signore Dio: Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri.
SALMO RESPONSORIALE (Salmo 22)
Rit. Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.
Il
Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare.
Ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia,
mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.
Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.
SECONDA LETTURA (1Corinzi
15,20-26.28)
Fratelli, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita.
Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza.
È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte.
E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.
VANGELO (Matteo 25,31-46)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».
In altre parole…
“Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo”: è solo un titolo di onore da solennizzare periodicamente? Indipendentemente dalle origini e dalle ragioni storiche della festa – a sfondo politico – ciò che conta è che si ripropone “l'adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio, creatore dell'universo” (Ef 3,9), cioè Cristo in noi “speranza della gloria” (cfr. Col 1,27). Questo adempimento è perenne e diversificato nel tempo, fino al compimento finale, finché “in tutto venga glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartiene la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen!” (1Pt 4,1). Ed anche se non siamo più abituati a pensare in termini di secoli, è questa la dimensione vera della regalità di Cristo, al di là di trionfalismi o sentimentalismi!
Se vogliamo precisarla meglio, questa regalità, abbiamo le parole stesse di Gesù in risposta alla domanda di Pilato “Dunque tu sei re?”: “Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità” (Gv 18,37). E cioè essere testimone della effettuazione per mezzo di lui del disegno del Padre nel mondo e nei secoli, ciò in cui siamo coinvolti totalmente e che non può non riguardarci come modo di intendere e di stare al mondo.
A parte il fatto che la regalità di Cristo interessa i secoli, possiamo chiederci come essa venga esercitata nella storia, ciò che dovrebbe animare il nostro instancabile esercizio di scrutare i “segni dei tempi”. Una domanda precisa, suggerita dalla stessa denominazione della solennità, è questa: Cristo re, ma di quale universo? Basta dare un senso generico a questa parola, magari intesa in senso di cosmo, di natura e di creato, tornato all’attenzione per ragioni ecologiche? Ma con quale trasparenza cristologica? Potrebbe anche riguardare l’”universo umano”, più o meno consapevole della sua appartenenza al Verbo fatto carne, ma dimensione reale della storia. Si parla ancora di “universo religioso”, di quanti in un mondo e modo diversificato sono alla ricerca e nell’attesa del Regno, ma in qualche modo avendolo già identificato secondo il proprio sentire. Inevitabile infine parlare di “universo cristiano”, che dovrebbe essere il luogo primario di manifestazione del Regno di Cristo nel mondo, ma sappiamo con quante luci ed ombre.
Su questo scenario possiamo vedere proiettata la luce che viene dalle Scritture, dove - per quanto riguarda il Regno - è primaria l’iniziativa stessa del Signore, che lo dichiara apertamente in veste di pastore che ha un suo gregge di cui si prende cura e che passa in rassegna le pecore dopo che le ha radunate “da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine”. Se ripensiamo a come Gesù presenta se stesso in quanto Buon Pastore, comprendiamo quale sia il suo modo di regnare e di chi in realtà sia re! Con questa sola riserva di giudizio: “A te, mio gregge, così dice il Signore Dio: Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri”.
Sembra anticipata la scena presentata dal vangelo di questa ultima domenica dell’anno liturgico, che vorrebbe riportarci a quando sarà la fine: “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, e siederà sul trono della sua gloria”. E questo per radunare davanti a lui tutti i popoli e operare un discernimento tra i “benedetti” del Padre” e i “maledetti”, quasi che la carta del giudizio fossero le Beatitudini proclamate all’inizio della predicazione del Regno. E in quel “Beati” insistito nel testo possiamo vedere “il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo”; mentre al contrario, in corrispondenza ai “Guai”, c’è il “fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli”.
Ma su che base questo discernimento, questo giudizio, questa separazione e questo diverso destino, che suscita interrogativi sia negli uni che negli altri dei sottoposti a giudizio? Il chiarimento che Gesù offre ci fa capire quale sia la sua signoria e come egli la esercita, e cioè “predicando il vangelo del regno“ (Mt 9,35), perché “ai poveri è annunziata la buona novella” (Lc 7,22). Il gregge dunque è quello dei poveri, chiamati alla partecipazione di questo regno: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno” (Lc 12,32).
Il criterio di giudizio per l’ammissione o l’esclusione al regno del Padre è diventato quasi uno slogan nelle correnti spirituali odierne, non senza ambiguità. È quello che sappiamo bene: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto – o non avete fatto - a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto - o non lo avete fatto - a me”. Qualcosa che aveva avuto questa anticipazione: “Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa” (Mc 9,41). Dove si passa dal bicchiere d’acqua dato “nel mio nome perché siete di Cristo” al farsi carico dell’esistenza del prossimo.
C’è chi ripete le parole di Gesù come un a-priori per sollecitare l’impegno per i poveri, come se fosse un principio etico a sé stante, a prescindere dal Cristo Signore che lo enuncia: l’attenzione primaria è allora alla questione sociale da risolvere pragmaticamente in nome di Cristo, ma senza guardare a lui in persona. C’è poi la spiritualità di chi si ispira alla tradizionale formula “vedere Gesù nell’altro”, nel prossimo, nel povero, dove Gesù rimane un simbolo ideale più che persona reale, con cui vivere un rapporto di fede con tutte le sue conseguenze sia pratiche che spirituali. Il primato regale o la centralità di Cristo rimane sullo sfondo in funzione delle nostre esigenze identitarie, invece di diventare il fulcro e la ragione stessa di vita e di azione, e non semplicemente riferimento esterno al nostro agire.
Le stesse parole che sia i benedetti quanto i maledetti ripeteranno al Signore - “Signore, quando ti abbiamo visto…?” - lasciano pensare a qualcosa di vissuto quasi inconsapevolmente, ma nel profondo del cuore e di rapporti reali, che determinano l’esistenza e il suo destino. Ciò di cui si fa interprete ancora una volta S.Paolo, che vive la sua partecipazione al “mistero di Cristo in noi” nella sua morte e nella sua resurrezione, quando Cristo appare come la “primizia” di quanti in lui riceveranno la vita, fino a “quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza”. Non contentiamoci di un cristianesimo pragmatico e simbolico, ma ricerchiamo come con un radar il nostro rapporto reale con Cristo, sapendo che egli ci porta verso universo di cui è re, “perché Dio sia tutto in tutti”. (ABS)