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L’immagine è di Raffaello, ed è l'allegoria della Teologia, intesa significativamente come “DIVINARUM RERUM NOTITIA”: conoscenza delle cose divine! Se poi lanciamo l’appello “teologi di tutto il mondo, unitevi”, non è per la presunzione di mobilitare gli addetti ai lavori, ma perché avvertiamo l'urgenza di un ruolo teologico convergente per una maturazione della coscienza profetica del Popolo di Dio. Perché tanti teologi e tanta teologia, ma anche tanta immaturità di fede?
Non possiamo nasconderci di avere “praticanti” devoti, pietisti, celebrativi, cultuali, impegnati, attivisti, protagonisti, “parrocchialisti” e clericali. Dove sono credenti che facciano massa in senso teologico, e cioè consapevoli del loro sensus fidei come prerogativa comunitaria di consapevolezza e responsabilità di fede? Magari cresce e si moltiplica la “ecclesia docens” sul piano tecnico, ma è assente una “ecclesia discens” attiva e propositiva.
Una delle parole d’ordine nel dopo-concilio è stata “riappropriazione”: della Bibbia, dei ministeri, della parola, della gestione comunitaria, ecc... Mai però che qualcuno abbia detto di riappropriarsi della teologia o del pensare e dire la fede come "ragione" di vita, esercizio ritenuto quasi un lusso e riserva di qualcuno; una teologia peraltro screditata da voci autorevoli e "profetiche" in quanto irrilevante ai fini degli sviluppi conciliari, di ordine prevalentemente pratico. Un Concilio che si dice fatto da teologi, veniva praticamente a mancare di un pensiero teologico unitario guida, salvo problematiche particolari su questo o quel punto di dottrina: quanto Giovanni XXIII voleva evitare, per portarci a guardare al tutto e all’insieme.
Dopo tanti approfondimenti settoriali, in un presunto orizzonte comune di riforma, forse ora è tempo di riportare in primo piano l'orizzonte stesso della fede, per esplorarlo e ritrovare una visione unitaria di riferimento. E questo è possibile grazie al sensus fidei del Popolo di Dio da far evolvere in pensiero teologico condiviso. Non basta aver riconosciuto il primato di onore del Popolo di Dio, se questo di fatto rimane inerte e muto nella celebrazione della Parola e della Eucarestia e incapace di intendere i "segni dei tempi".



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