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L’occasione per un “ritorno a Sergio Quinzio” l’ha data il Convegno di studi alla Certosa di Firenze il 3-4 maggio scorsi, a lui dedicato sul tema “Verità e profezia nel tempo dell’eclissi di Dio”. Ma è chiaro che il fuoco sotto la cenere già c’era, e se fino ad ora la vicenda umana e cristiana di questo testimone è stata ignorata e lasciata ai margini, abbiamo preso coscienza che questa voce profetica fuori del coro è quella di cui abbiamo bisogno come riferimento costante.
Ci troviamo davanti ad una figura di credente che va oltre l’esperienza personale per diventare testimonianza viva nella chiesa e per il mondo. Per questo non è bene che questa lucerna rimanga sotto il moggio, ma deve essere messa sul candelabro perché faccia luce a quelli che sono nella casa. Stiamo da tempo perseguendo modelli di chiesa delineati dal Vaticano II, ma rimanendo sempre in ambito istituzionale e in attesa che nasca un nuovo genere di cristiani.
Il richiamo a Sergio Quinzio suggerisce in proposito un opportuno capovolgimento e ci porta a dire che un nuovo modo di essere chiesa può nascere dal nuovo modo di essere cristiani, come lievito nella massa. Perché allora non accoglierlo come compagno di strada nel cammino di ricerca e della fede? In lui, per la verità, sembrano trovare risoluzione ed equilibrio tante aporie in cui ci dibattiamo di continuo: Parola di Dio-ragione, fede-storia, religione-laicità, vangelo-cultura, chiesa-mondo. Egli è uomo di fede e di pietà, uomo del mondo e uomo di chiesa, uomo di pensiero e uomo di compassione…
Forse possiamo rallegraci di avere l’esempio e la guida di un uomo giusto che è vissuto di fede e che parla a noi da credente: uno che spera contro ogni speranza (cfr Rom 4,18).


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