21 maggio 2023 - ASCENSIONE DEL SIGNORE (ANNO A)

Pietro Perugino: Ascensione di Cristo (1510 ca.)

Sansepolcro, Duomo

 

 

PRIMA LETTURA (Atti 1,1-11)

Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.

Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo».

Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra».

Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».

 

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 46)

Rit. Ascende il Signore tra canti di gioia.

 

Popoli tutti, battete le mani!
Acclamate Dio con grida di gioia,
perché terribile è il Signore, l’Altissimo,
grande re su tutta la terra.

Ascende Dio tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.
Cantate inni a Dio, cantate inni,
cantate inni al nostro re, cantate inni.

Perché Dio è re di tutta la terra,
cantate inni con arte.
Dio regna sulle genti,
Dio siede sul suo trono santo.

 

 

SECONDA LETTURA (Efesìni 1,17-23)


Fratelli, il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore.

Egli la manifestò in Cristo,
quando lo risuscitò dai morti
e lo fece sedere alla sua destra nei cieli,
al di sopra di ogni Principato e Potenza,
al di sopra di ogni Forza e Dominazione
e di ogni nome che viene nominato
non solo nel tempo presente ma anche in quello futuro.

Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi
e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose:
essa è il corpo di lui,
la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose.


VANGELO (Matteo 28,16-20)

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.

Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

 

 

In altre parole…

 

Per prima cosa prestiamo ascolto e attenzione all’ammonimento dei “due uomini in bianche vesti”, che potrebbe avere opportune risonanze sul nostro modo pietistico di guardare al cielo, ma che soprattutto ci apre alla comprensione di quella che per noi è diventata la solennità dell’Ascensione, che ha acceso l’immaginazione di tanti artisti: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”. In realtà, è come se fossero gli stessi due uomini che in vesti sfolgoranti si rivolgono alle donne che si recano al sepolcro e che vengono anch’esse rimproverate: ”Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato” (Lc 24,5-6). Segno evidente che c’è da inventare un nuovo rapporto col Risorto, come del resto si sentirà dire Maria.

Questo ci consente di dire che la narrazione che il solo vangelo di Luca fa dell’Ascensione al cielo, come siamo soliti esprimerci, altro non è che la riproposizione scenica e conclusiva dell’evento e dell’esperienza pasquale vissuti dagli apostoli e dalla chiesa delle origini: per capire che non si tratta di un fatto separato o aggiuntivo, come erroneamente si potrebbe pensare, ma solo di una comprensione e interpretazione complessiva e riassuntiva della Pasqua e dell’unico mistero della resurrezione. È l’illustrazione narrativa di una realtà di fede già acquisita, alla stessa maniera in cui la narrazione di Gesù tentato nel deserto è per evidenziare una sua permanente condizione di vita di lotta al “principe di questo mondo” (Gv 12,3), “menzognero e padre della menzogna” (Gv 8,44). Quando appunto una narrazione immaginifica è frutto di uno stato di cose reale.

Nel caso dell’Ascensione così come ci viene presentata, tutto porta ad illustrare la condizione nuova e definitiva del Risorto con i suoi: quale rapporto si instaura attraverso di lui con il Padre e lo Spirito di verità, “per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (Rm 8,21). Ci dice come l’evento e l’esperienza pasquale trovano comprensione ed espressione in quanti l’hanno condivisa e non possono non trasmetterla. E questo attraverso le varie manifestazioni del Risorto vissute con reazioni, sentimenti e pensieri necessariamente differenziati. Fino alla manifestazione finale, che è di commiato: di ritorno al Padre come Verbo incarnato, di consegna ai suoi e di promessa dello Spirito.

La coincidenza o la simultaneità delle narrazioni evangeliche post-pasquali è attestata dalle parole di Gesù le tante volte che ha parlato del suo ritorno al Padre e della separazione dai discepoli come momento conclusivo e favorevole della sua venuta nel mondo, che sarebbe continuata per ora attraverso la loro predicazione del vangelo, in attesa della sua manifestazione gloriosa alla consumazione dei tempi. Quali che siano le parole e le immagini in cui tutto questo arriva a noi, è però qui la base reale di quello che è successo, quella che nei testi liturgici viene espressa come “fecondità della Pasqua”, la sua inesauribilità. Se poi volessimo entrare nella prospettiva giovannea della glorificazione del Cristo crocifisso, possiamo dire che proprio lì, sulla croce “Tutto è compiuto!” (Gv 19,30). È così che Gesù può dire al ladrone che gli chiede di ricordarsi di lui nel suo regno: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23,43).

Si tratta in realtà dell’opera di Dio - la sua “opera” - ma che coinvolge noi tutti anche a nostra insaputa, come la creazione in cui ci ritroviamo! Là dove attraverso la fede questa partecipazione affiora e diventa consapevolezza, si rinnova l’esperienza stessa dei primi credenti, che in qualche modo hanno dato corpo e forma a questo nuovo modo di essere e ad una esistenza nel mondo ma non del mondo. Ed è quanto siamo abilitati e chiamati a vivere nel mondo come Popolo di Dio radunato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo: diventare da parte nostra soggetto portatore e comunicatore dell’opera di Dio come si è attuata in Cristo e sempre da sviscerare. A questo saremmo già promossi per grazia, salvo poi essere tralci fruttuosi della vite.

Il momento del distacco non ci è riportato, nelle letture di questa domenica, dalla caratteristica narrazione di Luca, ma nel sintetico testo di Matteo, che ci fa trovare i discepoli in Galilea “sul monte che Gesù aveva loro indicato”, quasi come ultimo appuntamento per una ripartenza. Alla sua vista li troviamo “prostrati”, un po’ come era accaduto sul Tabor, con la differenza che invece della paura questa volta c’è ancora il dubbio a creare esitazione e distacco. Ciò che non impedisce però a Gesù di portare in fondo  il suo disegno e di affidare proprio a quegli uomini incerti la sua stessa missione nel mondo.

Il nuovo stato delle cose e il punto di forza da cui partire lo indica lui stesso. Ed è il fatto che egli è investito di “ogni potere in cielo e sulla terra”, ciò che gli consente di lanciare quegli uomini timorosi nella impresa veramente sovrumana di “fare discepoli tutti i popoli”. Non era riuscito neanche lui, nonostante ce l’avesse messa tutta, a rendere veri discepoli quei pochi che aveva scelto, ed ora dovrebbero proprio loro ottenere l’obbedienza della fede da parte dei popoli? Ma forse proprio tentare questa impresa “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”, col battesimo e con l’insegnamento del suo vangelo, avrebbe potuto portare anche loro ad un discepolato più vero, nel senso che la chiesa è pienamente se stessa nella sua missione nel mondo, prima che nel suo culto. Sapendo che la potenza di cui era ormai depositario il Maestro sarebbe stata disponibile anche per loro con la sua immancabile presenza “tutti i giorni, fino alla fine del mondo”! Non sono qui il mistero e la forza della predicazione del vangelo?

Altro che messaggio moraleggiante o spirituale dall’Ascensione, semmai promozione di dignità e di responsabilità evangelica di fronte al mondo, a cui non basta assicurare sostegno e conforto per il presente, ma a cui trasmettere la potenza di Dio che è la fede, perché “se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini” (1Cor 15,19). Dobbiamo ripeterci che le cose purtroppo non funzionano in questo modo, ma siamo sempre appesi ad un insegnamento dottrinale o morale a cui attenersi per sentirsi a posto? Ma questo vuol dire rinunciare a che le cose vadano diversamente, perché forti sono le resistenze? Ma allora vorrebbe dire che stiamo parlando d’altro e c’è da ritrovare l’asse portante della fede nel mondo!

A venirci incontro è l’invocazione di Paolo per i fratelli della chiesa di Efeso,  per i quali chiede dal Padre della gloria spirito e dono di sapienza e di rivelazione, quanto ci consente una più profonda conoscenza di Gesù Cristo come partecipazione al dono di “verità e di grazia” che sono venute attraverso lui come pienezza della Legge data da Mosè (cfr. Gv 1,17). Si potrebbe quasi dire che Paolo chiede al Padre che ripeta e rinnovi nella comunità dei credenti – “secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore” - quanto ha operato e manifestato in Cristo, che “ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: essa (infatti) è il corpo di lui, la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose”. C’è dunque questa sinergia – o “con-corporeità” nel linguaggio paolino – che evidenzia una dimensione strutturale della fede e della chiesa: quella escatologica come salvezza vissuta nella speranza. Ma è chiaro che non basta aver recuperato il senso della escatologia come magistero e teologicamente, se non diventa modo di sentire del Popolo di Dio! Non è quello che troviamo ed esprimiamo nel ”Padre nostro”?

Forse bisognerebbe togliere di mezzo gli alibi di chi pensa che simili considerazioni siano un lusso per pochi appassionati e non siano per tutti. Diversamente è viziato il nostro ricorso alle Scritture, se con esse vogliamo comprovare tutte le nostre rassicuranti precomprensioni mentali e pratiche! (ABS)


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