30 ottobre 2022 - XXXI DOMENICA DEL
TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
James Tissot: Zaccheo sul sicomoro in attesa del passaggio di Gesù (1886-1896)
New York, Brooklyn Museum of Art
PRIMA
LETTURA (Sapienza
11,22-12,2)
Signore,
tutto
il mondo davanti a te è come polvere sulla bilancia,
come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra.
Hai compassione di tutti, perché tutto puoi,
chiudi gli occhi sui peccati degli uomini,
aspettando il loro pentimento.
Tu infatti ami tutte le cose che esistono
e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato;
se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure formata.
Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non l’avessi voluta?
Potrebbe conservarsi ciò che da te non fu chiamato
all’esistenza?
Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue,
Signore, amante della vita.
Poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose.
Per questo tu correggi a poco a poco quelli che sbagliano
e li ammonisci ricordando loro in che cosa hanno peccato,
perché, messa da parte ogni malizia, credano in te, Signore.
SALMO RESPONSORIALE (Salmo 144)
Rit. Benedirò il tuo nome per sempre, Signore.
O
Dio, mio re, voglio esaltarti
e benedire il tuo nome in eterno e per sempre.
Ti voglio benedire ogni giorno,
lodare il tuo nome in eterno e per sempre.
Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature.
Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza.
Fedele è il Signore in tutte le sue parole
e buono in tutte le sue opere.
Il Signore sostiene quelli che vacillano
e rialza chiunque è caduto.
SECONDA LETTURA (2 Tessalonicesi 1,11-2,2)
Fratelli, preghiamo continuamente per voi, perché il nostro Dio vi renda degni della sua chiamata e, con la sua potenza, porti a compimento ogni proposito di bene e l’opera della vostra fede, perché sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù in voi, e voi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo.
Riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e al nostro radunarci con lui, vi preghiamo, fratelli, di non lasciarvi troppo presto confondere la mente e allarmare né da ispirazioni né da discorsi, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia già presente.
VANGELO
(Luca
19,1-10)
In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».
Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto».
Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».
In
altre
parole
Potremmo recitare insieme le parole del libro della Sapienza come parafrasi del primo articolo del Credo: in realtà, la fede in un solo Dio, Padre Onnipotente, creatore del cielo e della terra, ora come ora non va molto al di là della rituale recitazione, e poco o nulla incide sulla qualità della nostra esistenza di credenti. Un Dio-Creatore ha avuto un suo appannamento sia teologico che spirituale, sia per la rimozione dell’idea stessa di natura, e sia anche perché la centralità data alla “salvaguardia del creato” ha fatto della creazione un dominio umano e della scienza.
Sta di fatto che, in questo clima di attenzione al creato e di oblio di un Creatore, ci raggiungono le parole della Sapienza, che invece ci dicono come un Dio, il cui “spirito incorruttibile è in tutte le cose”, guarda il mondo e ci insegna a guardare le cose visibili e invisibili dal suo punto di vista. Più che da commentare, queste sono parole di cui prendere atto e farle diventare nostro modo di vedere, ad evitare che, nonostante tutti i nostri accorgimenti e rimedi per una “transizione ecologica”, tutto poi svanisca “come polvere sulla bilancia, come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra”, che è poi la condizione delle creature nel mondo.
Ma c’è anche il rovescio della medaglia: infatti, di tutte le cose che il Signore “amante della vita” ha creato, ora ne ha cura con la potenza della sua compassione, perché egli è indulgente con tutte le cose che sono sue, tanto da potergli dire: “Per questo tu correggi a poco a poco quelli che sbagliano e li ammonisci ricordando loro in che cosa hanno peccato, perché, messa da parte ogni malizia, credano in te, Signore”. Dove la dimensione antropologica fa tutt’uno col creato, attraverso un processo aperto di evoluzione. Il Signore del cielo e della terra - “come in cielo così in terra” - sa aspettare il pentimento per darci modo di credere in lui, per portarci sul suo stesso piano. Il pentimento e la conversione non vanno intesi necessariamente come ravvedimento e rimedio al male commesso, ma sono la base per un salto di qualità verso il sovrabbondare della grazia.
Nel nostro modo inerziale di intendere la fede, se un tempo abbiamo risolto la nostra condizione umana in chiave del tutto soprannaturalistica, ora siamo portati a ridurre la creazione tutta alla dimensione naturalistica o a semplice calcolo scientifico. La meditazione di questa prima lettura potrebbe aiutarci a comprendere il linguaggio delle cose e della vita nello spirito incorruttibile che le abita! Non c’è di fatto una tacita frattura tra il mondo della fede e il mondo della vita, mentre si cercherebbe di rimediare appiattendo la fede sull’immediato anche religioso? Non avremmo forse trasformato una iniziativa di alleanza implicita già nel creato in un rapporto contrattualistico del “do ut des”? Quanto può valere una fede ridotta ad immaginario religioso collettivo e priva di luce propria?
Per san Paolo non era così: per lui la grazia di Dio era una realtà attiva, non solo come prerogativa personale, ma come elemento vitale del vivere cristiano, per cui dice ai suoi che egli prega continuamente “perché il nostro Dio vi renda degni della sua chiamata e, con la sua potenza, porti a compimento ogni proposito di bene e l’opera della vostra fede”. C’è una interazione continua tra grazia e chiamata alla fede “perché sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù in voi, e voi in lui”: un vero e proprio coinvolgimento di vita che è il DNA del vivere cristiano, e al di fuori del quale si hanno solo variazioni su un tema di fatto in sordina. Per questo non si capisce come mai si faccia spazio a forme singolari di spiritualità che sembrano privilegiare il rapporto con Cristo come linfa della fede, ma in realtà poi lo oscurano e inducono a pensare che esso sia qualcosa di singolare per pochi eletti. La spiritualità del Popolo di Dio non è la somma delle tante particolari spiritualità che costellano l’universo ecclesiale.
Quanto sarebbe attuale e necessario l’avvertimento di Paolo a “non lasciarci troppo presto confondere la mente e allarmare né da ispirazioni né da discorsi”, e a non voler risolvere subito tutto in immediatezza come devozionismo, cultualismo, pratiche che alimentano il sentire religioso dei singoli ma svuotano di verità la fede di tutti. La grazia di Dio non si acquista con quanto ci autogratifica, ma ci sorprende nei modi più impensati, come sulla via di Damasco, ma anche sospesi sul ramo di un albero.
Quello strano individuo, che dà spettacolo appollaiato sul sicomoro col suo segreto desiderio nel cuore, è un monumento e il trionfo della grazia improvvisa, che ci raggiunge quando e dove vuole, per portare “frutti degni di conversione” (Mt 3,8). Quale che sia la nostra condotta di vita, quello che deve rimanere vivo e libero è il desiderio di bene aperto ad ogni possibilità, per poter comunicare a quel livello di profondità nel segreto: è una povertà di spirito quasi impercettibile viva anche nei ricchi, e che affiora quando ci sentiamo toccati dentro in profondità.
Gesù che passa tra la folla vociante percepisce nella curiosità di quell’uomo lassù questa sete inespressa, tanto da andare oltre ogni sua attesa e invitarsi a casa sua, incurante di suscitare sandalo e denigrazione intorno: “È entrato in casa di un peccatore!”. Si vorrebbe un Gesù separato dai peccatori e tutto per noi, “i giusti” e in regola con tutte le osservanze, un Gesù di cui potersi far vanto. Le cose però stanno esattamente all’opposto, come nel caso del fariseo e pubblicano al tempio. Ed ecco allora Zaccheo che si alza per dire quello che ha nel cuore di uomo ricco ma toccato dalla grazia: si ricorda dei poveri e si fa perdonare da quanti aveva derubato.
La risposta di Gesù ci mette davanti ad un fatto compiuto, che è quanto egli si ripromette: e cioè che la salvezza è entrata in quella casa, dove all’insaputa di tutti c’era un figlio della pace. E ci fa questa importante precisazione: “Perché anch’egli è figlio di Abramo”. Vuol dire che anche quell’uomo può entrare in una circolazione di vita con lui tutta da sperimentare. È la dimostrazione concreta che il Verbo di Dio ha preso dimora in mezzo a noi, e che a quanti lo accolgono dà il potere di diventare figli di Dio. Per ricordarci quanto dovremmo avere sempre presente come punto di forza della nostra fede. E cioè che “il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”.
Siamo proprio sicuri di essere compenetrati con questo “mistero di salvezza”, di cui peraltro dovremmo essere il sacramento in questo mondo? Ma ha ancora un senso, per i più, porsi simili interrogativi, quando tutto sembra procedere secondo progettazioni e piani ben definiti? Lasciatemi sognare una chiesa “Casa di Zaccheo”! (ABS)