6 novembre 2022 - XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

 

Attavante degli Attavanti: Martirio dei sette fratelli ebrei (ca. 1450)

Miniatura dalla Bibbia di Federico da Montefeltro (Manoscritto Urbinate Latino 2)

Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana

 

PRIMA LETTURA (2Maccabei 7,1-2.9-14)

In quei giorni, ci fu il caso di sette fratelli che, presi insieme alla loro madre, furono costretti dal re, a forza di flagelli e nerbate, a cibarsi di carni suine proibite.

Uno di loro, facendosi interprete di tutti, disse: «Che cosa cerchi o vuoi sapere da noi? Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le leggi dei padri».

[E il secondo,] giunto all’ultimo respiro, disse: «Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna».

Dopo costui fu torturato il terzo, che alla loro richiesta mise fuori prontamente la lingua e stese con coraggio le mani, dicendo dignitosamente: «Dal Cielo ho queste membra e per le sue leggi le disprezzo, perché da lui spero di riaverle di nuovo». Lo stesso re e i suoi dignitari rimasero colpiti dalla fierezza di questo giovane, che non teneva in nessun conto le torture.

Fatto morire anche questo, si misero a straziare il quarto con gli stessi tormenti. Ridotto in fin di vita, egli diceva: «È preferibile morire per mano degli uomini, quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te non ci sarà davvero risurrezione per la vita».

 

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 16)


Rit. Ci sazieremo, Signore, contemplando il tuo volto.

 

Ascolta, Signore, la mia giusta causa,
sii attento al mio grido.
Porgi l’orecchio alla mia preghiera:
sulle mie labbra non c’è inganno.

Tieni saldi i miei passi sulle tue vie
e i miei piedi non vacilleranno.
Io t’invoco poiché tu mi rispondi, o Dio;
tendi a me l’orecchio, ascolta le mie parole.

Custodiscimi come pupilla degli occhi,
all’ombra delle tue ali nascondimi,
io nella giustizia contemplerò il tuo volto,
al risveglio mi sazierò della tua immagine.

 

SECONDA LETTURA (2 Tessalonicesi 2,16-3,5)

Fratelli, lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio, Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza, conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene.

Per il resto, fratelli, pregate per noi, perché la parola del Signore corra e sia glorificata, come lo è anche tra voi, e veniamo liberati dagli uomini corrotti e malvagi. La fede infatti non è di tutti. Ma il Signore è fedele: egli vi confermerà e vi custodirà dal Maligno.

Riguardo a voi, abbiamo questa fiducia nel Signore: che quanto noi vi ordiniamo già lo facciate e continuerete a farlo. Il Signore guidi i vostri cuori all’amore di Dio e alla pazienza di Cristo.



VANGELO (Luca 20,27-38)

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi - i quali dicono che non c’è risurrezione - e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».

Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

 


In altre parole

Il caso dei sette fratelli di cui ci parla il 2 libro dei Maccabei - e che ci è illustrato da Attavante degli Attavanti - ci riporta in pieno al dramma di questo nostro mondo, sia che ripensiamo a quanti hanno sfidato poteri perversi con la sola loro forza d’animo, e che sono per noi testimoni di umanità e di libertà; e sia che ci guardiamo intorno, a quanto sta succedendo sotto i nostri occhi, alla resistenza morale opposta da singoli e da popoli alla oppressione e alla violenza brutale di poteri impazziti. Basterebbe guardare all’Iran, e al coraggio di tante donne che sfidano ogni sorta di violenza per sottrarsi ad ataviche leggi vessatorie di costume, sacralizzate. Come non solidarizzare? Viene anche da pensare alle tante riserve inesplorate presenti nel cuore umano, che se fossero messe a frutto anche in tempi normali, tutto sarebbe diverso. Ma quel mondo per il quale c’è chi sacrifica la vita in qualche modo esiste!

Se l’esempio dei sette fratelli e della loro madre ci viene riproposto non è solo a scopo edificatorio o per comprovare qualche verità astratta. Non è neanche per innalzare a valore assoluto il motivo per cui questi fratelli sono sottoposti a flagelli e nerbate, e cioè il rifiuto a cibarsi di carni suine proibite. In realtà si trattava di trasgredire le leggi dei padri e di asservirsi al volere del re Antioco, che voleva piegare la resistenza di un popolo. Ma è chiaro che punto di forza per sostenere indicibili tormenti non poteva essere la fedeltà materiale ad una norma, e neanche la sola volontà di non farsi estorcere il rinnegamento della propria fede: era invece la solidale decisione di tener fede alla promessa del re dell’universo di avere vita nuova ed eterna, “quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati”. La posta in gioco era ben altra!

Ci si offre l’occasione di valutare più da vicino le potenzialità della fede, che non è   semplice adesione ad una credenza astratta, ma è rapportarsi alla realtà offerta dalla Parola di Dio che è rivelazione e promessa. La fede cioè non guarda alla conoscenza delle verità credute, quanto alla loro realtà intrinseca desiderata e sperata al di là della nostra stessa comprensione. È così che essa diventa punto di forza per attrazione, capace di vincere quanto si contrappone alla sincera adesione a qualcosa che è al di là di ogni immediata comprensione, ma che ci prende e ci assorbe come speranza certa: qualcosa che ci fa trascendere noi stessi per immetterci in un altro ordine di realtà.

A fare problema è sempre questo passaggio ad una nuova vita, ad una nuova esistenza in Dio, che prende il nome di resurrezione, prima ancora dell’evento e del mistero del Cristo risorto dai morti, che ne è la realizzazione massima. Ed anche tra i vari schieramenti interni al popolo di Israele c’era dissenso. Ed ecco allora alcuni sadducei - “i quali dicono che non c’è risurrezione” – interpellare Gesù proprio su questo punto. Evidentemente non tolleravano che egli predicasse un regno di Dio decentrato e altro rispetto ad una sua realizzazione politica nel tempo.

Essi si fanno forti della legge di Mosè detta del levirato, secondo cui ad un fratello defunto andava assicurata una discendenza da parte di altri fratelli, prendendo in moglie la vedova: una legge che secondo loro doveva avere un valore assoluto, fino a regolare anche i rapporti in una ipotetica esistenza futura, cosa che creerebbe inaccettabili incongruenze. Finché si rimane in questo ordine di cose, di volta in volta si sa di chi quella donna può considerarsi moglie, ma una volta che tutti si ritrovassero viventi insieme, nascerebbe il problema di chi debba ritenerla propria moglie. Stando così le cose, non avrebbe senso parlare di resurrezione. C’è qui tutta la presunzione di chi si è costruito un mondo su misura a cui tutto il resto deve necessariamente uniformarsi, non lasciando ad altri il beneficio di avere una visione diversa del mondo: c’è una sorta di annessione ideologica, per cui anche tu non puoi non essere così, come siamo noi, e questo o in quanto cristiano, o in quanto cattolico, o in quanto appartenente ad una certa categoria!

Sono quelle situazioni in cui ci ritroviamo omologati e ingabbiati, ed ogni segnale di differenziazione suona rinnegamento e quindi ostracismo. Vedere come ne esce Gesù è importante per fare chiarezza su come intendere la resurrezione, ma anche per capire come liberarsi dalla dipendenza di appartenenze obbligate. Intanto egli ribatte facendo ricorso a Mosè e ribaltando la visione di Dio, che non è racchiuso in alcune norme della legge ma “è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”: un Dio che ha parlato ai padri e quindi non un Dio “dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui”. Non è quindi questione di essere o non essere ancora vivi dopo la morte, ma di vivere fin da ora per il Dio dei nostri Padri.

 

È a partire di qua e da questa visione che possiamo considerare e valutare le nostre situazioni di vita. C’è la nostra condizione umana come figli di questo mondo, e in questo ordine di cose si prende moglie e si prende marito, ma non sono queste le circostanze decisive e definitive della esistenza. Perché all’interno stesso di questa nostra condizione portiamo, come in vasi di creta, l’identità inedita di figli della resurrezione e di figli di Dio. E pertanto, in quanto animati e abitati da questo spirito possiamo essere giudicati degni della vita futura e della resurrezione dai morti. La vita eterna che è già innestata dentro di noi dovrà solo rivelarsi come glorificazione, dopo che è stata rivestita di mortalità: è quel qualcosa che non può più morire e che ci fa sentire uguali agli angeli, vale a dire nella piena libertà dei figli di Dio, che è poi il senso reale della speranza, “alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione” (Ef 4,4).

 

È un arduo cammino interiore, e si capisce allora il desiderio di Paolo con l’invocazione a Dio, perché conforti i nostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene: e cioè nel nostro modo di essere e di proporsi verso gli altri. E questo nella certezza che già egli, nel suo amore e per grazia di Cristo Signore, ci ha dato una consolazione eterna e una buona speranza! È un linguaggio poco abituale per dire la nostra esperienza cristiana, ma sono questi i termini che la significano e con cui familiarizzarsi, al di là di frasi fatte e spesso banali per esprimere il nostro rapporto don Dio.

 

C’è Paolo che prega per i suoi e per noi, ma al tempo stesso chiede di pregare per lui e per i suoi collaboratori, “perché la parola del Signore corra e sia glorificata”, sapendo di dover andare tra uomini corrotti e malvagi come agnelli in mezzo a lupi; e questo per il semplice fatto che la fede non è di tutti, e non sempre è facile rendere ragione della speranza che è in noi (cfr. 1Pt 3,15), quando manca ogni spiraglio di apertura verso il “dono di Dio” (Gv 4,10). Ma ancora una volta veniamo rassicurati, perché il Signore è fedele, ed egli ci confermerà e ci custodirà dal Maligno, come del resto chiediamo di continuo nella preghiera al Padre, senza facili pratiche esorcistiche. Solidali in questo impegnativo itinerario di speranza, possiamo scambiarci anche tra noi il saluto che Paolo ci rivolge: “Il Signore guidi i vostri cuori all’amore di Dio e alla pazienza di Cristo”. (ABS)


.