22 agosto 2021 -  XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

Giuseppe Milani: Giosuè (1773-74)

Cesena, Abbazia di Santa Maria del Monte

 

PRIMA LETTURA (Giosuè 24,1-2.15-17.18)

 

In quei giorni, Giosuè radunò tutte le tribù d’Israele a Sichem e convocò gli anziani d’Israele, i capi, i giudici e gli scribi, ed essi si presentarono davanti a Dio.

Giosuè disse a tutto il popolo: «Se sembra male ai vostri occhi servire il Signore, sceglietevi oggi chi servire: se gli dèi che i vostri padri hanno servito oltre il Fiume oppure gli dèi degli Amorrèi, nel cui territorio abitate. Quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore».

Il popolo rispose: «Lontano da noi abbandonare il Signore per servire altri dèi! Poiché è il Signore, nostro Dio, che ha fatto salire noi e i padri nostri dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; egli ha compiuto quei grandi segni dinanzi ai nostri occhi e ci ha custodito per tutto il cammino che abbiamo percorso e in mezzo a tutti i popoli fra i quali siamo passati. Perciò anche noi serviremo il Signore, perché egli è il nostro Dio».



SALMO RESPONSORIALE (Salmo 33)


Rit. Gustate e vedete com’è buono il Signore.

 

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.

Gli occhi del Signore sui giusti,
i suoi orecchi al loro grido di aiuto.
Il volto del Signore contro i malfattori,
per eliminarne dalla terra il ricordo.

Gridano e il Signore li ascolta,
li libera da tutte le loro angosce.
Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato,
egli salva gli spiriti affranti.

Molti sono i mali del giusto,
ma da tutti lo libera il Signore.
Custodisce tutte le sue ossa:
neppure uno sarà spezzato.

Il male fa morire il malvagio
e chi odia il giusto sarà condannato.
Il Signore riscatta la vita dei suoi servi;
non sarà condannato chi in lui si rifugia.

 

 

SECONDA LETTURA (Efesini 5,21-32)

 

Fratelli, nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto.

E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo.

Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne.

Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!



VANGELO (Giovanni 6,60-69)

In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».

Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono».

Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».

Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui.
Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».



In altre parole…

 

Ci vorrebbe il santo coraggio di una presa di coscienza a tappeto dello stato delle cose nella chiesa. Di crisi profonda se ne parla di continuo quotidianamente a livello giornalistico e di opinione pubblica, e se ne fa un motivo di accusa e di riprovazione di Papa Francesco da parte di chi ne è attore e fautore, magari in nome della presunta difesa di una “vera chiesa”, quella messa, suo malgrado, sotto l’egida di Benedetto XVI. La resistenza a rendersi conto di come stanno le cose e a tenerne debitamente conto è veramente grande, sia perché da una parte si pensa che tutto proceda a gonfie vele nella prassi normale, e sia anche perché la residua massa dei praticanti si guarda bene dal prendere coscienza di una situazione che ci dovrebbe mobilitare tutti. È quella massa amorfa e silenziosa di credenti che per forza di inerzia si ritrova   schierata sulla difesa dello status quo.

 

Analisi e diagnosi ricorrenti non fanno che evidenziare i motivi della crisi, senza peraltro prospettare vie di uscita praticabili. O meglio: ad intra si lascia pensare come soluzione ad una neutralizzazione di Papa Francesco e ad una cancellazione del suo magistero; ad extra, ci si contenta facilmente di risposte e soluzioni teoriche e isolate, senza nessun movimento reale neanche di opinione. Sembra insomma che un assestamento avvenga per forza di cose e che le prospettive ideali di un Vaticano II debbano trionfare automaticamente, quando tutto invece spinge all’arresto o al regresso.

 

Strano a dirsi, ma simili considerazioni sono suggerite dalla lettura del libro di Giosuè: un Popolo di Dio convocato in assemblea in tutte le sue componenti, perché si pronunci in libertà su chi voglia servire, se il Signore che lo ha liberato e guidato fino alla terra promessa, o gli idoli che sono stati dei loro padri prima di Abramo, oppure quelli del territorio in cui hanno trovato dimora. Dietro l’esempio e il pronunciamento di Giosuè, anche il Popolo sceglie di servire il Signore loro Dio, che lo ha fatto uscire dalla condizione servile. Il fatto significativo è che, una volta entrati materialmente nella Terra promessa, la promessa si è realizzata ma la fedeltà all’Allenza non è assicurata: un’Alleanza che va quindi rinnovata, perché ancora una volta il Popolo si sente arrivato e al sicuro, insediato e incline a fare propri gli dei di tutti e di comodo, dimenticando  la risposta che è chiamato a dare al Signore suo Dio che  ha compiuto quei grandi segni dinanzi ai loro occhi e li ha custoditi per tutto il cammino percorso e in mezzo a tutti i popoli fra i quali sono passati. È il rischio di una fede senza memoria e senza radici, fatta di reminiscenze, convenzioni e di convenienze comuni. Una fede seduta!

 

Ed è appunto il rischio in cui ci troviamo noi come Popolo di Dio in questo passaggio critico di cui si diceva: abbiamo una chiesa che si sente arrivata - quasi trionfante e glorificata – sazia, appagata e ripiegata su se stessa. Ed allora viene da chiedersi se per uscire da questa situazione di stallo e rimettere in cammino questo Popolo – soddisfatto di avere occupato spazi e di mantenere posizioni – non sia necessario un atto fondativo e quindi un’ Alleanza costitutiva da rinnovare in termini inequivocabili: riscoprirsi e volersi vincolati al vangelo più che a forme e formule derivate di pratica religiosa. 

 

Per la verità, sembra che il nuovo esodo del Vaticano II sia arrivato al suo termine in chiave celebrativa, rituale, spirituale e di nicchia e non invece come rigenerazione di coscienza, cambiamento di mentalità, nuova cultura e nuovo modo di stare al mondo. Non stiamo andando di nuovo verso una chiesa-mondo-a-sé senza che abbia maturato un modo nuovo di stare al mondo? Come portare il Popolo di Dio verso una presa di coscienza e un’assunzione di responsabilità che lo renda maturo e libero per una testimonianza evangelica credibile? Certo, ci vorrebbe una nuova convocazione e un nuovo Giosuè che rimettesse la questione in termini chiari e decisivi! Ma chi tra noi ha il suo spirito combattivo e il senso forte di responsabilità e di discernimento riguardo alle vicende del Popolo di Dio?

 

Guardiamo se per caso Gesù stesso ci dica qualcosa in proposito nel passo odierno dl vangelo, che porta a termine il capitolo 6 di Giovanni col discorso sul pane di vita. Dopo le mormorazioni dei Giudei e del popolo, perché proponeva se stesso alla pari o al di sopra di Mosè, ecco che a mormorare ora sono gli stessi discepoli, per una precisa ragione: “Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?”. Vuol dire che anch’essi erano messi davanti ad una scelta: se stare o non stare a quello che egli diceva. Per tutta risposta, egli si limita a dire che questo in fondo è nulla rispetto a quanto dovrà accadere e rivelarsi nella nuova ed eterna Alleanza, quando il Figlio dell’uomo salirà dov’era prima. Si tratta sempre di un radicamento e consolidamento dell’Alleanza!

 

Ma anche qui non c’è nessuno da convincere e da portare dalla propria parte;  è solo questione di arrivare a credere, a stabilire con lui un rapporto di ascolto e di comunicazione nello “spirito che dà vita”, al di là del senso immediato dei suoi gesti e delle sue parole, che si vorrebbero comprensibili secondo qualche nostro codice di comprensione. Egli prende atto che anche tra i suoi discepoli ci sono “alcuni che non credono”, non in grado di sentire che le sue parole “sono spirito e sono vita”. E ne approfitta per ricordare che nessuno di fatto arriva a credere a lui e in lui “se non gli è concesso dal Padre”, non in senso esclusivo ma di richiamo al fatto che per credere è necessario un processo di conversione che ci orienti al Padre e alla sua verità, altrimenti  manca  la luce giusta per guardare in trasparenza alle opere e alle parole di Gesù prese secondo lo Spirito e non secondo la carne.

 

Di qui la scelta di questi discepoli di fare marcia indietro e di non andare più con lui.

Forse anche ora andrebbero ricreate le condizioni per una scelta chiara e coerente e non di semplice accondiscendenza o intruppamento. La faccenda arriva ad interessare anche i Dodici, a cui Gesù senza mezzi termini dice: “Volete andarvene anche voi?”. Per noi questo interrogativo è semplicemente il trampolino di lancio per avvalorare la risposta di Pietro, ma non sarebbe male se lo prendessimo in considerazione come rivolto a noi e fatto risuonare dentro la chiesa tutta, chiamata a rinnovare la sua scelta di servire il Signore e il suo Vangelo, a cercare prima di tutto il Regno di Dio e la sua giustizia come suo contrassegno. Dovrebbe essere questa la passione contagiosa capace di rifondere le varie anime e le varie membra di una chiesa frammentata.

 

E per rimanere in ambito e nella logica dell’Alleanza, ecco il passo della lettera agli Efesini, che ci invita ad essere sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo. Non lasciamoci fuorviare se ci viene detto che, sempre nel timore di Cristo, le mogli siano sottomesse ai loro mariti quasi come asservimento, perché simbolicamente e sacramentalmente la relazione uomo donna ci rimanda al rapporto di Cristo con la sua chiesa, che è il vero “mistero grande” da considerare e da interpretare nelle nostre stesse relazioni umane. È in questo campo che anche noi dobbiamo fare “come anche Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo”.  E forse proprio di qui – da questa nostra sollecitudine per la chiesa unita a quella di Cristo - può rinascere una chiesa senza macchia né ruga, ma santa e immacolata, “con il lavacro dell’acqua mediante la parola”. È una indicazione di metodo che non andrebbe trascurata, perché non fa che richiamare la predicazione e il battesimo come mandato verso tutte le genti! (ABS)


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