22 ottobre 2023 - XXIX DOMENICA DEL
TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
Bartolomeo Manfredi: Il tributo a Cesare (1610-1620)
Firenze, Galleria degli Uffizi
PRIMA LETTURA (Isaia
45,1.4-6)
Dice
il
Signore del suo eletto, di Ciro:
«Io l’ho preso per la destra,
per abbattere davanti a lui le nazioni,
per sciogliere le cinture ai fianchi dei re,
per aprire davanti a lui i battenti delle porte
e nessun portone rimarrà chiuso.
Per amore di Giacobbe, mio servo,
e d’Israele, mio eletto,
io ti ho chiamato per nome,
ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca.
Io sono il Signore e non c’è alcun altro,
fuori di me non c’è dio;
ti renderò pronto all’azione, anche se tu non mi conosci,
perché sappiano dall’oriente e dall’occidente
che non c’è nulla fuori di me.
Io sono il Signore, non ce n’è altri».
SALMO RESPONSORIALE (Salmo 95)
Rit. Grande è il Signore e degno di ogni lode.
Cantate
al
Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie.
Grande è il Signore e degno di ogni lode,
terribile sopra tutti gli dèi.
Tutti gli dèi dei popoli sono un nulla,
il Signore invece ha fatto i cieli.
Date al Signore, o famiglie dei popoli,
date al Signore gloria e potenza,
date al Signore la gloria del suo nome.
Portate offerte ed entrate nei suoi atri.
Prostratevi al Signore nel suo atrio santo.
Tremi davanti a lui tutta la terra.
Dite tra le genti: «Il Signore regna!».
Egli giudica i popoli con rettitudine.
SECONDA LETTURA (1
Tessalonicesi 1,1-5b)
Paolo e Silvano e Timòteo alla Chiesa dei Tessalonicési che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo: a voi, grazia e pace.
Rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere e tenendo continuamente presenti l’operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo, davanti a Dio e Padre nostro.
Sappiamo bene, fratelli amati da Dio, che siete stati scelti da lui. Il nostro Vangelo, infatti, non si diffuse fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con la potenza dello Spirito Santo e con profonda convinzione.
VANGELO (Matteo 22,15-21)
In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi.
Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare».
Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
In altre parole…
C’è l’orrore e il raccapriccio, ma di fatto ci manca la capacità di comprendere quanto di brutale passa sotto i nostri occhi increduli. Tutte le nostre parole e le nostre categorie non sono che eco di voci lontane, e forse solo il silenzio e il pianto sincero potrebbero farci ritrovare nella posizione giusta per vivere un dramma che ci supera. Sembra sia tolto ogni impedimento alle potenze del male e l’annientamento ne sia l’obiettivo speculare, in una sorta di istinto di morte. Una cosa è certa, che c’è una dimensione dell’esistenza che non è in nostro dominio e ci coinvolge nostro malgrado ne “mysterium iniquitatis”.
Se non rimane confinata intorno al pulpito in cui viene proclamata, una Parola di speranza la possiamo cogliere: la speranza che lo Spirito del Signore voglia suscitare anche ai nostri giorni un suo “eletto”, come Ciro, strumento nelle sue mani di giustizia e di liberazione del suo Popolo: è per amore di Giacobbe e di Israele che Ciro viene chiamato per nome e destinato a questa missione, anche se inconsapevole di avere questo ruolo, ed anche senza conoscere chi lo promuove a tanto. La speranza è che qualcosa succeda “perché sappiano dall’oriente e dall’occidente che non c’è nulla fuori di me. Io sono il Signore, non ce n’è altri”.
Ci si apre qui uno spiraglio che ci lascia intravedere il collegamento e il difficile rapporto del potere divino con quello degli uomini, qualcosa che potremmo comprendere meglio guardando a Dio e al suo Messia. Ma Gesù non manca l’occasione di darci le linee generali di come stanno le cose tra Dio e Cesare, qualcosa di non esclusivo come “Dio e mammona”. E l’occasione è offerta da quei capi del popolo e farisei che erano usciti mortificati dalle parabole di Gesù sulla vigna e sull’invito alle nozze. I tempi per loro si fanno stretti e le studiano tutte per cogliere in fallo Gesù e comprometterlo da subito agli occhi del popolo.
La domanda capestro da essi studiata verte appunto sul potere: se sia lecito pagare il tributo a Cesare in segno della loro sudditanza. Se la risposta è sì, c’è un rinnegamento della fede di Israele e dell’unico potere riconosciuto; se è no, vuol dire mettersi contro Cesare e dare motivi di condanna: la via d’uscita indicata da Gesù ristabilisce gli equilibri in linea di principio, ma sappiamo che apre la strada a compromessi, patteggiamenti, strumentalizzazioni, fondamentalismi, cesaropapismi, clericalismi, insomma tutte variazioni spurie dell’esercizio del potere, per cui all’atto pratico, se si vuole far valere il principio “rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”, non si può prescindere dall’insegnamento evangelico nel suo complesso
Non si tratta infatti di uno slogan da commentare in una certa domenica dell’anno, ma sono parole che dovrebbero innervare la coscienza ecclesiale, per quanto riguarda il rapporto tra fede e mondo in termini molto radicali: ”I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve”. È quanto dovrebbe dare forma ad un Popolo di Dio messianico e animare ogni comunità in cui vige una effettiva e sincera “lavanda dei piedi”.
Tutto questo sembra arduo, salvo poi cercare soluzioni posticce. Possiamo ancora una volta rispecchiarci nelle poche parole alla chiesa dei Tessalonicesi “che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo”. Ciò che cementa la comunità non sono in primo luogo “ministeri ordinati” e gerarchici, ma l’operosità della fede, la fatica della carità, la fermezza della speranza. E questo si spiega perché all’origine c’è l’amore e la scelta di Dio a loro riguardo, e poi c’è il fatto che il vangelo è stato ricevuto da loro non solo a parole, “ma anche con la potenza dello Spirito Santo e con profonda convinzione”. Non si capisce perché non dovrebbe diventare questa la fisionomia di tante nostre comunità! (ABS)