16 ottobre 2022 - XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

 

John Everett Millais: Parabola del giudice iniquo e della vedova importuna (1863)

Cambridge (Massachusetts USA), Harvard Art Museums

 

PRIMA LETTURA (Esodo 17,8-13)

In quei giorni, Amalèk venne a combattere contro Israele a Refidìm.

Mosè disse a Giosuè: «Scegli per noi alcuni uomini ed esci in battaglia contro Amalèk. Domani io starò ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio». Giosuè eseguì quanto gli aveva ordinato Mosè per combattere contro Amalèk, mentre Mosè, Aronne e Cur salirono sulla cima del colle.

Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole.

Giosuè sconfisse Amalèk e il suo popolo, passandoli poi a fil di spada.



SALMO RESPONSORIALE (Salmo 120)


Rit. Il mio aiuto viene dal Signore.

 

Alzo gli occhi verso i monti:
da dove mi verrà l’aiuto?
Il mio aiuto viene dal Signore:
egli ha fatto cielo e terra.

Non lascerà vacillare il tuo piede,
non si addormenterà il tuo custode.
Non si addormenterà, non prenderà sonno
il custode d’Israele.

Il Signore è il tuo custode,
il Signore è la tua ombra
e sta alla tua destra.
Di giorno non ti colpirà il sole,
né la luna di notte.

Il Signore ti custodirà da ogni male:
egli custodirà la tua vita.
Il Signore ti custodirà quando esci e quando entri,
da ora e per sempre.

 

 

SECONDA LETTURA (2Timoteo 3,14-4,2)


Figlio mio, tu rimani saldo in quello che hai imparato e che credi fermamente. Conosci coloro da cui lo hai appreso e conosci le sacre Scritture fin dall’infanzia: queste possono istruirti per la salvezza, che si ottiene mediante la fede in Cristo Gesù.

Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.

Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù, che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento.

 

VANGELO (Luca 18,1-8)

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:

«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».

E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

 

In altre parole

 

L‘immagine di John Everett Millais che illustra la Parabola del giudice iniquo e della vedova importuna ci riporta pari pari all’insegnamento di Gesù ai discepoli “sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai”: un atto di giustizia ottenuto con la forza d’animo di una donna umiliata, per farci capire quanto la preghiera deve essere viscerale. Non basta perciò prendere a tema la preghiera per poi ripetere cliché abusati, ma bisogna arrivare a mettere in discussione la nostra preghiera standardizzata.

 

L’insegnamento è rivolto a discepoli e non è un trattato di preghiera, per cui prima di essere uomini e donne di preghiera incessante con pratiche di pietà a ripetizione, la preoccupazione dominante dovrebbe essere quella di diventare discepoli, secondo le indicazioni ricevute: “Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: «Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi»” (Gv 8-31-32). Essere perseveranti nella preghiera implica essere perseveranti nella sua parola. Sembra invece che le cose si siano rovesciate e che proprio il pregare con troppe parole alla maniera dei pagani sia diventato il motivo qualificante e discriminante dell’essere discepoli (cfr. Mt 6,7). Poi scattano tanti correttivi, ma sta di fatto che il quadro ecclesiale rimane quello di sempre, in tutta la sua ambiguità, e che sia la sola preghiera convenzionale a garantire l’autenticità dell’essere cristiani.

 

Nel desiderio di essere prima di tutto discepoli, che chiedono al Maestro di insegnare loro a pregare come passo avanti nel discepolato, disponiamoci a cogliere quanto la Scrittura ci suggerisce, per essere oranti nella vita. Se “camminare insieme”, come ormai si ripete, non è finalizzato alla esperienza dell’”insieme”, ma rimane un duro esodo di liberazione, non possiamo poi dimenticare che esodo è cammino di prova e di battaglia per la promessa e l’alleanza di Dio per il suo Popolo, qualcosa né da archiviare né da procrastinare all’infinito. Da qui l’invocazione incessante del Regno.

 

Questo popolo di Dio si presenta in effetti nel passo dell’Esodo come un “invasore” obbligato, e questo sarà il suo modo di essere al mondo e di attraversare la storia, al punto che Gesù dirà ai suoi “Andate; ecco, io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi” (Lc 10,3). Non possiamo dimenticare che la causa è sempre quella del Regno di Dio, non quindi quella di riportare qualche vittoria in nome di Dio, facendo trionfare noi stessi e non la sua gloria. Certo non si rimane edificati a sentire di tanti passati a fil di spada, ma va tenuto presente che si tratta di una lotta che Dio stesso combatte attraverso noi, e in questo caso attraverso Mosè e il suo popolo.

 

Forse abbiamo dimenticato che si tratta di una lotta e che di questa lotta fa parte salire sulla cima del colle con in mano il bastone di Dio: ciò che noi chiamiamo poi preghiera, ma che è quanto è già nella vita del Popolo di Dio, un Padre a cui chiediamo la liberazione dal male come il pane quotidiano. In questo si deve cooperare sostenendoci tra noi, perché è prima di tutto un fatto di popolo. E questo ci dice l’andamento e la realtà delle cose, dentro universi o sistemi religiosi che abbiamo davanti e che fanno come da schermo. Il problema è essere solidali con Dio prima di volerlo solidale con noi. È quello che Gesù ci ha dimostrato di fare.

 

La sua preghiera non era mai avulsa dalla compassione e dalla missione per cui si sentiva di essere in mezzo agli uomini, ma era solo lo sbocco e la fonte della sua missione, mai intesa in senso tecnico o formalmente liturgico, ma sempre come comunicazione di grazia e di verità, e quindi di vita. Nella parabola che inventa per dirci di non arrendersi davanti ai ritardi di Dio, quella di una vedova che chiede giustizia contro il suo avversario, egli non esita a farci vedere il Padre nelle sembianze di un giudice che non teme Dio e non ha riguardo di nessuno, e rifiuta di ascoltare il grido di questa donna: un Dio sordo ed indifferente. Ma questo giudice, anche se riconosce di non temere Dio e di non avere riguardo per nessuno, alla fine vuole togliersi il fastidio della vedova che lo importuna, e le fa giustizia. Con la stessa determinazione ed insistenza bisogna sapersi rivolgere a Dio con la forza della fede, quasi a costringerlo a fare giustizia, come a lui conviene.

 

Se inizialmente viene presentato come giudice spietato, è per evidenziare che come quel giudice egli farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui. Se sembra nasconderci la sua faccia è perché ci possa rivelare quella più vera, così come avviene per l’amico che va a mezzanotte a chiedere dei pani: “Io vi dico che se anche non si alzasse a darglieli perché gli è amico, tuttavia, per la sua importunità, si alzerà e gli darà tutti i pani che gli occorrono” (Lc 11,8). Siamo autorizzati a tanto, ma forse ci manca la spinta propulsiva necessaria, che è la fede come fondamento delle cose sperate e quindi spinta a cercarle a tutti i costi. Ma ecco il punto debole che Gesù stesso segnala con un interrogativo amaro: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. Per dire semplicemente che a preoccuparci e impegnarci è che questa fede ci sia e sia tale da portarci a pregare senza stancarsi dal profondo del cuore.

 

A questo punto è sempre san Paolo a darci le dritte per impostare un cammino di salvezza, “che si ottiene mediante la fede in Cristo Gesù”, quella che il Figlio dell’uomo vuole trovare sulla terra! Ma a questo si arriva rimanendo fermi in quello che abbiamo imparato da testimoni e grazie a quanto riusciamo a realizzare attraverso le Scritture, che è forse ciò che difetta. Una esperienza condivisa di fede dovrebbe portarci a vivere la verità e il mistero di queste parole: “Come il Padre mi ha amato, così anch'io ho amato voi; dimorate nel mio amore” (Gv 15,9).

 

Ormai siamo soliti rifarci alla Scrittura come alla fonte primaria di questa fede, ma sarebbe poi il caso di chiederci quanto essa sia messa a frutto “perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona”: se cioè una mentalità e spiritualità ecclesiale sia plasmata grazie ad essa o sia invece espressione di una falsa pietà. Altra domanda che viene spesso da fare è sull’anello debole o mancante della trasmissione pubblica della fede: e cioè lo spessore o la qualità della predicazione, funzionale spesso alla conservazione dell’esistente quando addirittura non modellata alla sensibilità religiosa corrente. Sembra che per Paolo l’annuncio della Parola non fosse una formula di rito, ma una responsabilità incondizionata a cui far fronte. (ABS)


.