28 agosto 2022 - XXII DOMENICA DEL
TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Andrea Pisano: L’Umiltà, formella della Porta sud del battistero di Firenze (1329-1336)
Firenze, Museo dell'Opera del Duomo
PRIMA LETTURA (Siracide 3,17-20.28-29)
Figlio,
compi
le tue opere con mitezza,
e sarai amato più di un uomo generoso.
Quanto più sei grande, tanto più fatti umile,
e troverai grazia davanti al Signore.
Molti sono gli uomini orgogliosi e superbi,
ma ai miti Dio rivela i suoi segreti.
Perché grande è la potenza del Signore,
e dagli umili egli è glorificato.
Per la misera condizione del superbo non c’è rimedio,
perché in lui è radicata la pianta del male.
Il cuore sapiente medita le parabole,
un orecchio attento è quanto desidera il saggio.
SALMO RESPONSORIALE (Salmo 67)
Rit. Hai preparato, o Dio, una casa per il povero.
I
giusti si rallegrano,
esultano davanti a Dio
e cantano di gioia.
Cantate a Dio, inneggiate al suo nome:
Signore è il suo nome.
Padre degli orfani e difensore delle vedove
è Dio nella sua santa dimora.
A chi è solo, Dio fa abitare una casa,
fa uscire con gioia i prigionieri.
Pioggia abbondante hai riversato, o Dio,
la tua esausta eredità tu hai consolidato
e in essa ha abitato il tuo popolo,
in quella che, nella tua bontà,
hai reso sicura per il povero, o Dio.
SECONDA
LETTURA (Ebrei 12,18-19.22-24)
Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell’alleanza
nuova.
VANGELO
(Luca
14,1.7-14)
Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione
dei giusti».
In altre parole
È un vero peccato che sentenze come quelle del libro del Siracide siano intese in senso religioso e risuonino solo in ambito liturgico per orecchi distratti, proprio quando invece ci viene detto che “il cuore sapiente medita le parabole, un orecchio attento è quanto desidera il saggio”: qualcosa di umanamente possibile e necessario! Se e quando va bene, dalle nostre omelie viene fuori un rinnovato invito alla remissività, alla sottomissione, all’arrendevolezza, a non farsi valere, quando invece il richiamo è a ciò che deve valere e da far valere. A quanto cioè dovrebbe strutturare la convivenza umana e animare le relazioni interpersonali, ispirando il giusto modo di essere e di vivere in mezzo agli uomini, con mitezza ed umiltà.
Purtroppo succede che virtù umane di natura pubblica - e norma di governo - sono declassate a fatto privato, mentre personalismi e arrivismi privati sono elevati a dignità politica, quando cioè la crescente corruzione del potere sembra non fare più problema e a noi basta tapparsi il naso per abitarla. La convivenza umana è regolata da convenzioni, da formalismi, da arrivismi e da rapporti di forza. Sarebbe tutto diverso se si ritrovasse la sorgente naturale della solidarietà e della giustizia, a cui appunto il Siracide ci sollecita. Anche l’impegno politico “da cristiani” si qualifica più in senso umanitario sul piano delle emergenze sociali che come esempio di umiltà e spirito di servizio!
In questa prospettiva la mitezza equivale a generosità ed altruismo, garanzia per ereditare la terra (cfr. Mt 5,5) e per conoscere i segreti di Dio; l’umiltà deve essere pari alla propria grandezza e responsabilità, se questa vuole essere autentica e trovare grazia davanti al Signore, che dagli umili è glorificato. Al contrario, gli uomini orgogliosi e superbi che apparentemente trionfano, in realtà sono in condizione misera senza rimedio, perché in essi è radicata la pianta del male. Se vogliamo, sono verità elementari a cui col cuore diciamo sì, ma che ci trovano impreparati a farne linea di condotta nella lotta quotidiana: è la linea non facile delle Beatitudini e del Magnificat, la linea del vangelo e di Gesù in persona che ci invita ad imparare da lui in quanto “mite e umile di cuore” (Mt 11,29).
Egli non fa che dimostrarcelo nel suo modo di essere tra gli uomini e tra noi, mentre tutte le occasioni per lui sono buone come motivo di insegnamento. E così, non esita in giorno di sabato ad andare in casa di farisei per pranzare con loro, sapendo di esporsi al loro giudizio per qualche comportamento non consono alle loro ferree regole conviviali: e questo perché la convivialità è per Gesù la base di incontro e di comunicazione da vivere al di là del galateo e di altre preoccupazioni, ed è quanto egli vuole recuperare per farla assurgere a valore sacramentale. Per quanto osservato speciale, in questo caso è lui a lanciare la sfida e ad affondare il discorso sul senso del sabato, dopo aver guarito un malato sotto i loro occhi: “Rivolgendosi ai dottori della legge e ai farisei, Gesù disse: È lecito o no curare di sabato?” (Lc 14,3).
Ma non si limita a questo, e prende spunto dal comportamento dei commensali per riportarci al motivo dominante del suo insegnamento, di cui peraltro era esempio vivente. È il richiamo all’umiltà, che Andrea Pisano colloca, con la sua allegoria, tra le virtù teologali e le virtù cardinali, quasi a dire che essa è anima regolatrice di tutte queste come legge evangelica: “Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”. La raccomandazione per i commensali era di non mettersi ai primi posti ma all’ultimo posto, in modo da ricevere onore con l’invito ad andare più avanti.
Dicono gli esperti che l’evangelista Luca, narrando di Gesù, lo presenta come se intervenisse nella chiesa nascente per formarla o correggerla nella sua crescita e nelle situazioni del momento. È quanto possiamo consentirci anche noi per modellarci come comunità di Cristo e come vangelo vivente. Questo vale per la regola d’oro della umiltà. Ma vale anche per le parole che rivolge personalmente a chi l’aveva invitato, quasi a voler ricordare che la vera convivialità non può prescindere dalla gratuità, dalla generosità, dal disinteresse, in modo che “non sappia la sinistra ciò che fa la destra” (Mt 6,3), senza aspettarsi alcun contraccambio e vantaggio. Cosa che è garantita, se invece di invitare parenti, vicini o amici ricchi si fa posto a poveri, storpi, zoppi e ciechi, perché solo in questo caso la convivialità raggiunge il suo valore di vita ed il suo significato di resurrezione. È espressione del Regno di Dio e sua presenza in mezzo a noi.
Se tutto questo è vero, la sua luce non può non proiettarsi se non altro sulle nostre assemblee liturgiche e sulla nostra celebrazione della eucarestia, troppo bloccate su gerarchie intoccabili e prassi sacralizzate. Magari siamo lì ad osservarci gli uni gli altri se si rispettano le posizioni e se si trasgredisce qualche rubrica, per far scattare qualche gesto di riprovazione. Chi avrebbe il coraggio di Gesù di mettere in questione questo modo di essere e di fare e rimettere in moto la ricerca di una convivialità reale e sostanziale? Per la verità, se vogliamo ridare vita e forma al senso evangelico della convivialità a tutti i livelli, a cominciare dalla Eucarestia, ci vengono incontro le parole della lettera agli Ebrei, che potrebbero essere il manifesto per una maturazione liturgica, nel senso del coinvolgimento e della partecipazione viva, della convivialità storica ed escatologica, che sancisce l’alleanza di Dio con il suo Popolo.
Questa alleanza, prima d’essere un fatto simbolico, liturgico e celebrativo, è “mistero della fede”, evento reale con tutta una sua storia. E nella lettera agli Ebrei abbiamo descritto in maniera molto viva il passaggio dell’antica alla nuova alleanza: questa è stata alle origini qualcosa di impressionante, a cui sottrarsi per paura della manifestazione e della voce di Dio, tanto che “quelli che lo udivano scongiuravano Dio di non rivolgere più a loro la parola”. Le cose non stanno più esattamente così, e a noi è dato di poter vivere la nuova ed eterna alleanza nella città del Dio vivente, nella Gerusalemme celeste insieme agli angeli alla “adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli… agli spiriti dei giusti resi perfetti”. Ma soprattutto “a Gesù, mediatore della alleanza nuova”.
Viene però da chiedersi quanto viviamo realisticamente l’alleanza come nuova ed eterna, e quanto siamo sotto il regime della paura, senza però che questa porti ad un sano timor di Dio, ma induca piuttosto ad un rifiuto di Dio senza problemi: Dio non fa più problema per nessuno, purtroppo neanche per i “praticanti” appagati da una sua immagine inquietante o rassicurante. Anche se poi ci sentiamo dire: “Beati gli invitati alla Cena dell’Agnello”! (ABS)