10 luglio 2022 - XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

 

 

Ferdinand Hodler: Il buon samaritano (1885)

Zurigo, Kunsthaus Zürich

 

PRIMA LETTURA (Deuteronomio 30,10-14)

Mosè parlò al popolo dicendo:

«Obbedirai alla voce del Signore, tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi decreti, scritti in questo libro della legge, e ti convertirai al Signore, tuo Dio, con tutto il cuore e con tutta l’anima.

Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: “Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Non è di là dal mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica».



SALMO RESPONSORIALE (Salmo 18)


Rit. I precetti del Signore fanno gioire il cuore.

 

La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio il semplice.

I precetti del Signore sono retti,
fanno gioire il cuore;
il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi.

Il timore del Signore è puro,
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli,
sono tutti giusti.

Più preziosi dell’oro,
di molto oro fino,
più dolci del miele
e di un favo stillante.

 

SECONDA LETTURA (Colossesi 1,15-20)

Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile,
primogenito di tutta la creazione,
perché in lui furono create tutte le cose
nei cieli e sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni,
Principati e Potenze.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose
e tutte in lui sussistono.
Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa.
Egli è principio,
primogenito di quelli che risorgono dai morti,
perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.
È piaciuto infatti a Dio
che abiti in lui tutta la pienezza
e che per mezzo di lui e in vista di lui
siano riconciliate tutte le cose,
avendo pacificato con il sangue della sua croce
sia le cose che stanno sulla terra,
sia quelle che stanno nei cieli.


VANGELO (Luca 10,25-37)

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».

Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

 

 

In altre parole


Quella del “buon samaritano” è certamente l’icona che meglio identifica per i più il cristiano e il cristianesimo, per quanto non sia così centrale nella economia del vangelo. Non è infatti un insegnamento diretto di Gesù in uno dei suoi discorsi, né rientra tra le parabole del Regno, ma è una sorta di apologo in risposta ad una precisa domanda del dottore della legge che vuole metterlo alla prova. Contestualizzare il racconto nell’ambito del vangelo, potrebbe consentirci una interpretazione meno unilaterale della identità del cristiano, appunto come chi è chiamato a farsi “buon samaritano” e a convalidare la propria religione col suo attivismo. Come se il messaggio non fosse indistintamente per tutti e non solo “religioso”.

 

Dopo il ritorno dei settantadue discepoli dalla missione, non solo loro, ma anche Gesù si rallegra, e rende lode al Padre che apre le vie del Regno ai semplici, mentre le tiene  nascoste ai sapienti, dove l’iniziativa di grazia è primaria. Non è da escludere che il dottore della legge sia rimasto sorpreso e offeso dalle esclamazioni di lode di Gesù e abbia voluto indurlo a rettificare le sue affermazioni mettendolo alla prova. Quindi siamo su un piano polemico riguardo a cosa fare per avere la vita eterna. Come in altri casi, Gesù riporta la questione sulla Scrittura, sottolineando il fatto che il suo interlocutore non solo ne è a conoscenza, ma ne è anche il “lettore” e dottore per altri: “Cosa vi leggi?”, gli chiede. La risposta non potrebbe essere più esauriente, e trova tutta l’approvazione di Gesù, in quanto nell’amore di Dio e del prossimo è il segreto della vita vera.

 

Ma è chiaro che non basta rimanere sul piano delle Scritture e delle enunciazioni, se non si passa al vissuto attivo, per cui l’invito di Gesù è: “Fa’ questo e vivrai”. E cioè: ama Dio e ama il prossimo, e questo ti assicura vita eterna o vita vera, indipendentemente da tutto il resto! Insomma quanto aveva insegnato nel Discorso della montagna e quanto aveva cercato di inculcare nel suo Discorso di addio in Giovanni veniva proposto come regola di vita. Il dottore della Legge riprova a portare il confronto sulle definizioni, e pretestuosamente - sapendo che era un terreno minato - pone la domanda: “E chi è mio prossimo?”, dando per scontato che per prossimo si dovesse intendere la propria gente e quelli della comune appartenenza.

 

Ma il serrato confronto continua, e Gesù non si limita a dare una esemplificazione, ma attraverso la narrazione di un evento del tutto verosimile, costringe il suo interlocutore a darsi da sé la risposta: davanti al diverso comportamento del levita, del sacerdote e del samaritano, sta a lui pronunciarsi su chi dei tre sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti. C’è da dire che il dottore della Legge  però non si limita ad indicare uno dei tre, ma dà una sua interpretazione e in qualche modo stabilisce un criterio di discernimento. Poteva indicare semplicemente il samaritano che si è fermato, ma ha voluto precisare che prossimo è stato colui che “ha avuto compassione di lui”. A Gesù non rimane a sua volta che completare il suo invito, e se prima aveva detto “fa’ questo e vivrai”, ora specifica: “Va’ e anche tu fa’ così”. 

 

La lezione è molto semplice, ma ha avuto bisogno di vari passaggi, necessari forse anche per noi: prossimo non è una categoria sociale o condizione materiale di alterità, ma è capacità interiore di creare vicinanza, di superare le distanze e prendersi cura dell’altro: si direbbe mettersi nei panni dell’altro con discrezione e rispetto per propria libera iniziativa. È facile tutto questo? In qualche modo dovrebbe ripetersi su vasta scala quanto annuncia il profeta Isaia: “Ogni valle sia colmata, ogni monte e colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in pianura” (Is 40,4). Farsi prossimo è evitare lo sguardo viziato del levita e del sacerdote e fare proprio lo sguardo del samaritano, che vede lungo la strada un semplice uomo offeso, che diventa motivo primario della sua giornata. Il confronto tra questo straniero eretico e gli uomini del tempio e del culto non sta a contrapporre religione dell’uomo e religione di Dio, ma a dire che amore del prossimo e amore di Dio sono le due facce della stessa medaglia, e l’uno alimenta l’altro. Se le due cose si escludono, siamo all’eresia.

 

Quando Paolo in 1Corinti 13  dice per assurdo, tra le varie affermazioni, che “se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova”, non fa che sottolineare  la necessità che l’amore in quanto tale o carità sia anima e vita delle relazioni, al di sopra di ogni altra pur nobile prestazione. La compassione sincera è sì qualcosa che materializza l’amore di Dio, ma questo conserva una sua irriducibilità e non può essere surrogato da sentimenti o gesti di filantropia. Se l’amore di un Dio che non si vede non può prescindere dall’amore del prossimo che si vede, l’amore del prossimo non può esaurire l’amore di Dio, che ne è la fonte invisibile (cfr. 1Gv 4,20). Per essere autentico, l’amore del prossimo deve esprimere lo stesso amore di Dio, da amare “con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente”. E questo non tanto nelle intenzioni, ma come qualità intrinseca di un amore veramente gratuito e inclusivo, al di là di ogni consapevolezza. Il segreto di tutto ciò è percepire e accogliere il farsi prossimo a noi di Dio nella storia della salvezza: se ascoltiamo la sua voce! Non avrebbe senso perciò mettere sul piatto della bilancia l’amore del prossimo per dispensarsi dall’amore di Dio! Verrebbe da dire che l’amore è qualcosa di molto semplice, ma di estremamente serio, da salvaguardare da facili semplificazioni.

 

L’amore verso gli altri deve scaturire dall’ascolto della Parola di Dio. Sarà anche un caso, ma sta di fatto che il capitolo 10 di Luca si chiude con l’incontro di Marta e Maria, in cui azione e ascolto trovano la giusta gerarchia e complementarità. A proposito di ascolto - parola alquanto abusata - il libro del Deuteronomio ci dice che si tratta prima di tutto di obbedire alla voce del Signore e solo di conseguenza osservare i suoi comandi, mentre tutto deve portare a convertirsi a Lui con tutto il cuore e con tutta l’anima: non è solo un fatto interiore di ordine spirituale ma neanche soltanto un fatto pratico di osservanza di leggi. C’è in gioco qualcosa che impegna ed orienta tutta la persona al bene, quello di cui essa ha bisogno, ma anche quello che essa stessa deve farsi per gli altri. Né valgono scuse di lontananza e di inaccessibilità dei comandi del Signore, perché essi sono a portata di orecchio: è una parola “molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica”.

 

Viene senz’altro neutralizzato ogni spiritualismo e intimismo, ma viene anche ridimensionato ogni pragmatismo ed attivismo, perché tutto si gioca là dove il Padre vede nel segreto, quando si prega e quando si fa elemosina (cfr. Mt 6). Se poi vogliamo chiamare in causa l’identità cristiana e il significato storico del cristianesimo, non possiamo soffermarci su qualche dettaglio e aspetto secondario: bisogna avere il coraggio di confrontarsi direttamente col Cristo e col suo “mistero”, senza falsi semplicismi, appunto ascoltare la sua narrazione del Padre (cfr. Gv 1,18). È quello che fa san Paolo col brano della lettera ai Colossesi, che introduce in questo mistero, presentandoci un Cristo Gesù nel suo essere, nel suo agire e nella sua “missione” come capo del corpo che è la Chiesa: e cioè nella pienezza della sua attualità e presenza nel mondo e nella storia! 

 

Attraverso queste parole abbiamo modo di misurare noi stessi con lui, e domandarci se egli, oltre che essere via (per gnostici e moralisti interessati a dottrine e insegnamenti), o semplicemente vita (per i devoti delle sue tante immagini) è per noi anche “verità”: immagine del Dio invisibile, principio della creazione nuova e primogenito di una umanità riconciliata. Non basta cioè rapportarsi alla Parola di Dio in senso spirituale o pratico, ma è necessario tornare ad ascoltarla come rivelazione e visione dell’opera di Dio e del suo disegno di salvezza, a cui partecipare con la fede e il necessario cambiamento di vita.

 

L’attenzione al buon samaritano, di cui Ferdinand Hodler ci offre una immagine molto viva, ci porta a ripensare interiormente le parole di Gesù nel suo Giudizio finale in Matteo 25: l’amore del prossimo consiste in quanto il Figlio dell’uomo riconosce – o non riconosce – fatto a lui, sia pur nella nostra inconsapevolezza! (ABS)


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