11 luglio 2021 - XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

 

Duccio di Buoninsegna: Gesù e gli Apostoli (1308-11)

Siena, Museo dell'Opera del Duomo

 

 

PRIMA LETTURA (Amos 7,12-15)

In quei giorni, Amasìa, [sacerdote di Betel,] disse ad Amos: «Vattene, veggente, ritìrati nella terra di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno». Amos rispose ad Amasìa e disse:
«Non ero profeta né figlio di profeta;
ero un mandriano e coltivavo piante di sicomòro.
Il Signore mi prese,
mi chiamò mentre seguivo il gregge.
Il Signore mi disse:
Va’, profetizza al mio popolo Israele».



SALMO RESPONSORIALE (Salmo 84)


Rit. Mostraci, Signore, la tua misericordia.

 

Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore:
egli annuncia la pace
per il suo popolo, per i suoi fedeli.
Sì, la sua salvezza è vicina a chi lo teme,
perché la sua gloria abiti la nostra terra.

Amore e verità s’incontreranno,
giustizia e pace si baceranno.
Verità germoglierà dalla terra
e giustizia si affaccerà dal cielo.

Certo, il Signore donerà il suo bene
e la nostra terra darà il suo frutto;
giustizia camminerà davanti a lui:
i suoi passi tracceranno il cammino.

 

 

SECONDA LETTURA (Efesini 1,3-14)

Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo
per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo,
secondo il disegno d’amore della sua volontà,
a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
In lui, mediante il suo sangue,
abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe,
secondo la ricchezza della sua grazia.
Egli l’ha riversata in abbondanza su di noi
con ogni sapienza e intelligenza,
facendoci conoscere il mistero della sua volontà,
secondo la benevolenza che in lui si era proposto
per il governo della pienezza dei tempi:
ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose,
quelle nei cieli e quelle sulla terra.
In lui siamo stati fatti anche eredi,
predestinati – secondo il progetto di colui
che tutto opera secondo la sua volontà –
a essere lode della sua gloria,
noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo.
In lui anche voi,
dopo avere ascoltato la parola della verità,
il Vangelo della vostra salvezza,
e avere in esso creduto,
avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso,
il quale è caparra della nostra eredità,
in attesa della completa redenzione
di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria.


VANGELO (Marco 6,7-13)

 

In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.

E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro».

Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

 

 

In altre parole…

 

Le poche battute del libro di Amos bastano a fare chiarezza sulla esistenza  singolare del profeta, che è tale non per scelta personale né in quanto parte di una categoria, ma solo come chiamata e invio in un compito da assolvere. E questo non come voce esterna, ma dentro un contesto storico reale:  non da qualche pulpito o da qualche cattedra con la dovuta autorità, ma con la sola forza della Parola di Dio che quasi lo strattona e lo scaraventa contro l’infedeltà del Popolo al suo Dio, le ingiustizie dei poteri forti contro i poveri.

Questo non gli risparmia le ire dell’alleanza trono-altare, che per voce del sacerdote Amasia lo espelle con disprezzo  dal regno di Israele, per  ricacciarlo nella sua terra a mangiare il suo pane con la sua profezia: a fare altrove il suo mestiere!. È  l’inevitabile scontro a cui porta una profezia libera e non di regime! Ma è qui che il profeta insorge in tutta la sua forza interiore e lascia capire a cosa risponde ed obbedisce: alla chiamata del Signore che lo sradica dalla sua terra e lo strappa al suo gregge per mandarlo a “profetizzare” al suo popolo. Non è da pensare alla profezia  come ad un programma ma al semplice fatto di farsi voce e Parola di Dio in maniera libera e disinteressata, per farla risuonare per quello che essa è, e non parola di uomo.   Bisogna ascoltare la Parola di Dio in quanto è Dio che parla, prima ancora di cogliere quanto dice: “Ruggisce il leone: chi mai non trema? Il Signore Dio ha parlato chi può non profetare?”.

Quando si dice “Parola di Dio” è quanto di più imprevedibile, sorprendente  e di meno scontato ci possa essere, al tempo stesso in cui è vincolante e richiede solo affidamento, abbandono, obbedienza. Amos sta lì a dimostrarci in quale contesto  e per quali vie questa Paola arriva a noi, qualcosa che si ripete nel tempo: possiamo pensare a Giovanni il Battista che nel deserto diventa la voce e a Gesù nel Giordano da ascoltare… Ma questa storia continua, ed ecco sempre Gesù che non esita a portar via delle barche e dalle reti i pescatori di Galilea, per poi mandarli a due a due  a compiere la sua stessa missione. Ha un filo logico tutto questo? Eppure questi uomini si ritroveranno – si direbbe senza arte né parte - ad annunciare la Parola di Dio nel mondo, a “proclamare che la gente si convertisse”. Il dipinto di Duccio di Buoninsegna proietta una immagine stupenda ma statica di chiesa apostolica, e in qualche modo ripropone il divario e il dramma di una apostolicità della chiesa banalizzata tanto enfatizzata quanto pragmatica, altro che profetica!

Tra le proprietà costitutive della chiesa – una, santa, cattolica, apostolica – proprio quest’ultima sembra la meno significativa, salvo che come richiamo alla scala gerarchica  e all’assetto autoritario: ma quanto all’essere apostoli oltre che successori degli Apostoli? I Vescovi non sono piuttosto “prefetti” o “principi”? Ma al di là di ogni elaborazione giuridica, teologica o spirituale, rimane questo l’asse portante dell’annuncio evangelico, la spina dorsale della missione della chiesa da riportare in primo piano come opera di evangelizzazione, troppo diluita in mille altre forme derivate e di sistema. Ci sarà modo di tornare ad annunciare il vangelo evangelicamente, e cioè alla maniera insegnata da Gesù ai suoi discepoli? In prima persona e con la propria voce, oltre che da una cattedra o come semplici portavoce?

La missione che Gesù in questo passo del vangelo di Marco affida ai Dodici  non è che il preludio o se vogliamo una prova generale di quella che alla fine  sarà loro affidata per tutte le  genti fino agli estremi confini della terra. Ma il conferimento di poteri -  fare discepoli, scacciare i demoni e gli spiriti impuri, guarire gli infermi - non può far dimenticare in qual modo Gesù si aspetta che tutto questo avvenga: senza contare minimamente su mezzi e sicurezze materiali; senza fare ricorso a favoritismi e personalismi fuorvianti ma in totale distacco e disinteresse, accettando tranquillamente accoglienza o rifiuto. Gli Apostoli devono essere i primi a testimoniare con la vita di credere in quel Regno di Dio che predicano, e che non può essere ridotto a pura dottrina  e amministrazione.

Quelle che Gesù dà non sono disposizioni coreografiche ma esigenze intrinseche della predicazione del vangelo: prova ne sia il fatto che quando nella storia è stato necessario tornare a qualche nuova evangelizzazione, esse sono state prese alla lettera, perché è da questo modo di essere che si evince la coerenza della predicazione, dalla povertà di poteri e di mezzi. E da questo non si può prescindere, se davvero la nostra evangelizzazione vuole  essere profetica  e non solo tautologica o ripetitiva di concezioni religiose ataviche. È strano come da questa esigenza elementare di essenzialità, siamo passati  ad un modo di vivere la fede  sempre più ricercato e sofisticato, quasi a voler autenticare noi ciò che essa è e di fatto precludendola ai più..

Dalla vicenda ed esperienza personale di Amos, passando per la missione dei discepoli, emerge l’azione viva ed efficace della Parola di Dio nel mondo come luogo di salvezza: ciò che nel passo della lettera agli Efesini trova espressione liturgica di benedizione è immagine di una chiesa che ha preso coscienza ampia del mistero della salvezza che la abita. Si va dalla profondità del disegno di Dio alla sua attuazione nella pienezza del tempo in Cristo come redenzione, fino alla partecipazione ad essa dei Gentili e quindi di tutti mediante il vangelo: “In lui anche voi, dopo avere ascoltato la parola della verità, il Vangelo della vostra salvezza, e avere in esso creduto, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso”.

È sorprendente come nel giro di solo qualche anno  (intorno all’anno 60) la chiesa abbia maturato questa consapevolezza e visione della propria fede, di cui Paolo si fa interprete, quasi come maturazione della predicazione evangelica di partenza. Ma sbaglieremmo a pensare che non ci sia continuità e coincidenza tra di loro, perché si tratta dell’unico e medesimo vangelo: quello nel tempo ma eterno, che non va né materializzato né spiritualizzato in maniera contrapposta. Forse possiamo chiederci che ricaduta e che risonanza hanno queste parole della lettera agli Efesini  nelle nostre assemblee liturgiche e se per caso non inducano a pensare a mondi separati invece di farci vivere una esistenza tanto umana quanto profetica, e cioè carica dello Spirito di Cristo! (ABS)


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