17 luglio 2022 - XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

 

Giovanni da Milano: Cristo in casa di Marta e Maria (1365)

Firenze, Basilica di Santa Croce (Cappella Rinuccini)

 

 

PRIMA LETTURA (Genesi 18,1-10)

In quei giorni, il Signore apparve ad Abramo alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno.

Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto».

Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre staia di fior di farina, impastala e fanne focacce». All’armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono.

Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». Riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio».

 

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 14)


Rit. Chi teme il Signore, abiterà nella sua tenda.

 

Colui che cammina senza colpa,
pratica la giustizia
e dice la verità che ha nel cuore,
non sparge calunnie con la sua lingua.

Non fa danno al suo prossimo
e non lancia insulti al suo vicino.
Ai suoi occhi è spregevole il malvagio,
ma onora chi teme il Signore.

Non presta il suo denaro a usura
e non accetta doni contro l’innocente.
Colui che agisce in questo modo
resterà saldo per sempre.

 

 

SECONDA LETTURA (Colossesi 1,24-28)

Fratelli, sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa.

Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento la parola di Dio, il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi.

A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria. È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo.

 

 

VANGELO (Luca 10,38-42)

In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

In altre parole

 

Le istruzioni che Gesù aveva dato prima agli apostoli e poi ai 72 discepoli, inviandoli in missione, è il primo lui a rispettarle: è il suo modo di evangelizzare che vuole sia anche quello dei suoi. E così, dopo aver lasciato il Dottore della Legge alle sue decisioni - “Vai e fai altrettanto” -  si rimette in cammino per entrare in un villaggio, dove  trova ospitalità da una donna, che lo introduce in casa, per accoglierlo insieme a sua sorella, Maria. Avrà dato il suo saluto di pace, pronto a contentarsi di quanto  queste due sorelle potevano offrire. L’epilogo dell’incontro, a cui siamo subito portati,  non deve impedirci di cogliere il significato sorprendente del fatto che egli si ritrovi accolto da due donne, per di più non sposate e senza figli, quindi neanche donne! È come quando si era invitato lui stesso  presso i pubblicani Matteo e Zaccheo, suscitando scandalo. Entra nella loro casa tranquillamente, creando intorno a sé spazio di dignità e di pace, consentendo a tutti gli esclusi e gli emarginati di sentirsi accolti mentre lo accolgono. Per capire il vuoto che egli deve colmare nei confronti delle donne, basterebbe ripensare al suo incontro con la samaritana al pozzo di Giacobbe, quando gli stessi suoi discepoli si meravigliano di trovarlo a parlare con una donna; o rivederlo in casa di Simone il fariseo che lo condanna in cuor suo nel vedere che una donna gli bagna i piedi con le sue lacrime e li asciuga con i suoi capelli! (cfr Lc 7,36 ss).

 

Non è solo questione di anticonformismo, egli ha in sé la potenza di ricreare relazioni umane e personali reali e autentiche, senza proclami e senza sentimenti di accondiscendenza, ma in tutta naturalezza e sincerità. È chiaro che nel suo agire si muove sul piano del Regno di Dio, ma prima che farne motivo di annuncio e di insegnamento, ne vive la novità e lo attua nella condivisione quotidiana con chiunque, per cui può dire che il Regno di Dio è in mezzo a noi. Naturalmente bisogna che anche il suo saluto di pace entrando in questa casa trovi un figlio della pace, come sembra avvenga con le due sorelle, quando sembra ci sia un massimo di comunicazione e di familiarità, un clima di reale comunione da alimentare, per sentirsi a proprio agio.

 

Ma non c’è da meravigliarsi se anche all’interno di situazioni ottimali possono nascere incomprensioni e dissapori, che trovano però facile ricomposizione. È il caso di Marta, fiera di essere promossa ed elevata in dignità da quella visita imprevista, ma non del tutto libera dalla sua mentalità di donna subalterna, che trova la sua identità nel darsi da fare mentre  è distolta dal prestare attenzione all’ospite magari per fare bella figura. Niente di male, ma il fatto è che essa ritiene primari ed essenziali i molti servizi in cui si affanna, tanto da lamentare e pretendere che anche sua sorella Maria – indifferente a tutto questo – non la lasci sola a sbrigare quanto ha in animo di dover fare. Non solo, ma è così sicura che sia quella l’unica cosa giusta da fare, che si aspetterebbe da Gesù che inducesse lui la sorella ad aiutarla. È il reale vissuto umano e quotidiano in cui però si gioca la nostra capacità di accoglienza e di discernimento!

 

Se si guarda l‘opera di Giovanni da Milano Cristo in casa di Marta e Maria si può notare una Marta abbastanza infastidita, con i tre discepoli visibilmente schierati dalla sua parte, secondo una logica del tutto plausibile di accomodamento. Rivolta da tutt’altra parte, e quasi assente, c’è la sorella Maria, che non dice nulla, ma si affida alle poche parole di Gesù, che richiama anche col gesto all’essenziale e alla moderazione: a non preoccuparsi di troppe cose e neanche della riuscita della ospitalità, perché a quel punto ci sarebbe una sovrapposizione di fini, e tutto cambierebbe di senso. Quanto al mangiare, egli si contenta di quanto è disponibile, mentre ha a cuore che l’annuncio e l’accoglienza  del Regno di Dio diventino primari e trovino la loro effettiva realizzazione nelle situazioni della vita.

 

Marta e Maria sono diventate tradizionalmente il simbolo o le icone di forme particolari di vita - attiva e contemplativa - che caratterizzeranno poi l’esistenza storica della chiesa con ricadute dualistiche che hanno creato solchi profondi tra la vita cristiana tout court e la “vita consacrata”, a sua volta scissa tra chi è dedito ad “attività” e chi invece si consacra alla vita spirituale. Certamente non va cancellata la storia, ma non è detto che ne dobbiamo essere tributari anche quando è palese la non corrispondenza tra l’impianto ideale di ieri e le situazioni reali di oggi. In questo senso forse c’è da rivedere il messaggio perfino proverbiale di contrapposizione tra Marta e Maria, che tra l’altro significherebbe frattura interna allo stesso mondo femminile! Se “Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta”, non sta a significare qualcosa  di contrapposto alla scelta di Marta, ma sta a richiamare la scelta unica centrale per tutti: “Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt  6,33; Lc 12,31).

 

Se davvero l’evangelista Luca vuole presentarci una immagine di Gesù riflessa nella vita della prima comunità, forse c’è da capire cosa egli intendesse per “parte migliore”. Siamo anche qui in un contesto conviviale, e se in altri pasti si prefigurava in qualche modo il senso della eucarestia, non è da escludere che anche in questo caso Gesù potesse riferirsi a quanto già viveva in cuor suo dell’ultima sua cena con i suoi. Il fatto che qui ci fossero due donne non deve impedirci di pensare che anche quel pasto potesse valere per lui come anticipazione, e quindi diventare la cosa necessaria: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me” (Gv 6,56-57). Maria aveva percepito che era lui in persona il cibo “che dura per la vita eterna” (Gv 6,27) e si alimentava di ogni parola che usciva dalla sua bocca! Perché allora non pensare a Marta e Maria in prospettiva eucaristica? E non chiederci di cosa ci preoccupiamo nelle nostre celebrazioni: della memoria di lui o dei molti servizi di contorno? Il senso dell’incontro con Marta e Maria rimane quindi il tipo di rapporto con Gesù, sempre da mettere a fuoco tra le varie espressioni della vita della chiesa. 

 

In questa stessa prospettiva possiamo leggere l’ospitalità di Abramo ai tre uomini apparsigli davanti, quasi a conferma che la convivialità è la via della rivelazione e dell’alleanza: un banchetto allestito sul momento, e a cui Abramo presenzia stando in piedi presso di loro che mangiano, fa tutt’uno con la visione misteriosa e con la promessa di un figlio!  A questa promessa ci riporta Paolo con la sua partecipazione ai patimenti di Cristo “a favore del suo corpo che è la Chiesa”: una chiesa di cui egli è ministro con la missione di “portare a compimento la parola di Dio”; una chiesa come luogo e strumento di rivelazione del “mistero nascosto da secoli e da generazioni”. Questo mistero fatto conoscere in mezzo alle genti, altro non è se non la presenza, la visita, l’abitare in mezzo a noi del Verbo di Dio fatto carne, da accogliere e da ospitare perché si riveli nello spezzare il pane: “Cristo in voi, speranza della gloria”.

 

Se c’è una chiesa che arriva ad un grado di fede e di coscienza del mistero di  Cristo che la abita, non può che volerlo annunciare perché ogni uomo sia “perfetto in Cristo” ammonendo e istruendo ciascuno con ogni sapienza! È quanto ci testimonia Paolo: ed è quanto dovremmo ritrovare anche noi al centro delle nostre celebrazioni e della nostra pastorale, se non vogliamo lasciarci distogliere dall’essenziale per qualcosa di marginale che passa per irrinunciabile. (ABS)


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