24 luglio 2022 - XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

 

John Martin: La distruzione di Sodoma e Gomorra (1852)

Newcastle upon Tyne (Regno Unito), Laing Art Gallery

 

PRIMA LETTURA (Genesi 18,20-32)

In quei giorni, disse il Signore: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!».

Quegli uomini partirono di là e andarono verso Sòdoma, mentre Abramo stava ancora alla presenza del Signore.

Abramo gli si avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lontano da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?». Rispose il Signore: «Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell’ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutto quel luogo».

Abramo riprese e disse: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere: forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?». Rispose: «Non la distruggerò, se ve ne troverò quarantacinque».

Abramo riprese ancora a parlargli e disse: «Forse là se ne troveranno quaranta». Rispose: «Non lo farò, per riguardo a quei quaranta». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta». Rispose: «Non lo farò, se ve ne troverò trenta». Riprese: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei venti». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola: forse là se ne troveranno dieci». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei dieci».

 

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 137)


Rit. Nel giorno in cui ti ho invocato mi hai risposto.

 

Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:
hai ascoltato le parole della mia bocca.
Non agli dèi, ma a te voglio cantare,
mi prostro verso il tuo tempio santo.

Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà:
hai reso la tua promessa più grande del tuo nome.
Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto,
hai accresciuto in me la forza.

Perché eccelso è il Signore, ma guarda verso l’umile;
il superbo invece lo riconosce da lontano.
Se cammino in mezzo al pericolo, tu mi ridoni vita;
contro la collera dei miei avversari stendi la tua mano.

La tua destra mi salva.
Il Signore farà tutto per me.
Signore, il tuo amore è per sempre:
non abbandonare l’opera delle tue mani.

 

 

SECONDA LETTURA (Colossesi 2,12-14)

Fratelli, con Cristo sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti.

Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe e della non circoncisione della vostra carne, perdonandoci tutte le colpe e annullando il documento scritto contro di noi che, con le prescrizioni, ci era contrario: lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce.



VANGELO (Luca 11,1-13)

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:

“Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
e perdona a noi i nostri peccati,
anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
e non abbandonarci alla tentazione”».

Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.

Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.

Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».


In altre parole

 

È prevedibile che le omelie di questa domenica si soffermino sulla preghiera, come se fosse la pratica più abituale del mondo, per cui basta qualche esortazione o istruzione. In realtà, se ci guardiamo attorno, la parola preghiera ci porta ad un vicolo cieco: sia nel senso di chi trova in essa un ancoraggio e un rifugio sicuro, ma anche nel senso di chi la ritiene del tutto impraticabile e fuori del proprio orizzonte di vita. Se però allarghiamo lo sguardo, ci rendiamo conto  di toccare il cuore di ogni essere umano nel suo mistero più intimo: nel suo rapporto innato con l’esistenza e con la storia, a cui nessuno sfugge, anche se siamo portati a sottrarvisi e ad estraniarsi. Non è questa una inconsapevole fuga da se stessi o la tentazione a cui siamo soggetti ?

 

Chi accetta di mettersi alla prova, per diventare capofila in questa avventura insondabile, è Abramo, promosso per questo ad amico di Dio e padre di una moltitudine di credenti.  È lui che ci viene presentato in attitudine di preghiera verso il suo Signore ed è a cominciare da lui che bisogna imparare a comunicare col Dio della nostra fede. Perché è chiaro che la preghiera di Abramo nasce dal fatto che egli è accreditato e reso giusto mediante la fede, nella obbedienza e nella promessa: un dialogo che nasce all’interno di una solidarietà consolidata. In questo senso Abramo non è solo il “Padre dei credenti” ma è la figura dell’orante. E se il Signore lo mette a parte dei suoi pensieri riguardo all’inevitabile distruzione di Sodoma e Gomorra, città al culmine della corruzione quanto a violenza e ingiustizia, da parte sua osa capovolgere il giudizio di Dio: chiede con insistenza di non sopprimere anche i giusti a causa degli empi, ma di salvare la città grazie anche ai pochi giusti che vi si possono trovare. La preghiera è osare!

 

La sua insistente richiesta si arresta alla cifra di 10 giusti, ma poi sappiamo che Sodoma e Gomorra sono divorate dal fuoco e diventano il simbolo del giudizio incombente di Dio destinato a ripetersi.  Gesù stesso non manca di farne ripetutamente richiamo e ammonimento in maniera molto drastica: “Come avvenne anche al tempo di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano;  ma nel giorno in cui Lot uscì da Sodoma piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece perire tutti. Così sarà nel giorno in cui il Figlio dell'uomo si rivelerà” (Lc 17,28-30). È una storia che va presa sul serio, ed è legata alla rivelazione del Figlio dell’uomo sempre in atto fino alla fine dei tempi. Inutile pensare che sia un fatto religioso che interessa una determinata categoria di persone e un insieme di credenze. Il giudizio cade sul mondo e sulla corruzione, qualcosa che attiene alla giustizia e al diritto, che guarda alla violenza perpetrata, da cui non siamo affatto esenti, tanto da immaginare a volte un fuoco purificatore di rigenerazione, come quello presentato da John Martin: La distruzione di Sodoma e Gomorra. Quando il Signore dice di non poter tenere nascosto ad Abramo quello che sta per fare, ci fa capire qual è il ruolo che gli assegna per l’umanità intera: “Infatti io l'ho scelto, perché egli obblighi i suoi figli e la sua famiglia dopo di lui ad osservare la via del Signore e ad agire con giustizia e diritto, perché il Signore realizzi per Abramo quanto gli ha promesso” (Gen 18-19). Se la preghiera nasce dalla fede, non può non avere una ricaduta storica, laica, politica, e la promessa fatta ad Abramo è per tutti i popoli.

 

La promessa fatta ad  Abramo la troviamo compiuta nel Signore Gesù e attraverso di lui, l’”Orante” per eccellenza: “Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà” (Eb 5,7). Anche qui una situazione di prova e di pericolo, qualcosa in cui era necessario interagire con i disegni di Dio. Per quanto riguardava la preghiera, i discepoli erano già stati istruiti nel Discorso della montagna. Avevano osservato a distanza i tempi e i luoghi in cui Gesù si assentava per pregare. Ma egli non aveva urgenza di dare loro indicazioni e formule di preghiera oltre a quelle della tradizione, perché aveva a cuore prima di tutto che conoscessero il Padre e lo cercassero con tutte le forze, per entrare in sinergia col suo volere. E questo rendendoli partecipi della sua stessa esperienza quotidiana prima che attraverso particolari istruzioni.

Sta di fatto  che anche quando, al termine di un suo momento di preghiera, suggerisce ai discepoli le parole da dire, è solo per una loro esplicita  richiesta, fatta per non essere da meno dei discepoli di Giovanni ed avere anch’essi un loro modo di pregare in tono con quanto avevano maturato nel loro rapporto col Padre: volevano fare propria la sua preghiera e seguirlo anche in questo. Così per quanto riguarda il vangelo di Luca, mentre sappiamo che in Matteo questo insegnamento è inserito nel Discorso della montagna, con questa premessa: “Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole.  Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate”  (Mt 6,7-8). Se c’è uno specifico della preghiera dei discepoli, nella linea di quella di Gesù stesso, non è chiedere per ottenere, ma ricevere quanto è già dato: sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda dei disegni del Padre: “Gesù disse loro: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera»” (Gv 4,34).

 

La parole che Gesù suggerisce non sono diverse da quelle che egli rivolge al Padre  di continuo, per chiedergli di essere fedele a questo suo nome e di manifestarci la sua paternità attuando e donandoci il suo Regno: di santificare anche noi col suo Spirito di libertà. Anche per quanto riguarda il nostro pane quotidiano, è qualcosa da ritenere già concesso e da condividere, perché non diventi preoccupazione dominante ed egoistica: “Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito?” ( Mt 6,25).

 

 Più difficile attribuire a Gesù la richiesta di perdono dei propri peccati. Sta di fatto che “colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (2Cor 5,21). Ma soprattutto rimane vero per lui, prima che per noi,  che “anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore”. Ci viene fatto capire che la preghiera interessa la sfera del peccato e del male da cui essere liberati. Così come investe i momenti di prova e di tentazione, per non essere dominati dal maligno e dal padre della menzogna: “Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole” (Mat 26,41). Rivedere Gesù nel deserto per quaranta giorni o nell’agonia del Getsemani non è solo un fatto edificante, ma lascia capire a quale lotta siamo chiamati.

 

È vero che non siamo esauditi a forza di parole, ma è chiaro che ci vuole perseveranza, fino a diventare  importuni nel chiedere, nel cercare e nel bussare,  in  segno di fiducia  e a dimostrazione  di avere a cuore ciò di cui abbiamo bisogno e che ci aspettiamo. Che è poi soprattutto il suo Spirito che dà vita: che è il dono  dei doni. E se in Gesù abbiamo la manifestazione della debolezza di Dio fino alla morte di croce, nello Spirito si rivela la sua potenza, “che lo ha risuscitato dai morti”.  Ed è così, nella partecipazione alla sua morte e resurrezione, che con lui Dio dà la vita anche a noi, annullando il documento scritto contro di noi a causa delle nostre colpe inchiodandolo alla croce: da dove il perdono e la liberazione dal male!  È quanto chiediamo nella preghiera che Gesù ci ha insegnato come compimento in noi e per noi del mistero della riconciliazione: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (2Cor 5,21). Possiamo dire che nelle parola del “Padre nostro” ci viene ispirato un modo di essere davanti al Padre come abitanti di una città degli uomini che ha bisogno di salvezza! (ABS)


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