18 giugno 2023 - XI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
Nicolas Poussin: Ordinazione degli Apostoli (1637-40)
Fort Worth (Texas), Kimbell Art Museum
PRIMA
LETTURA (Esodo
19,2-6)
In quei giorni, gli Israeliti, levate le tende da Refidìm, giunsero al deserto del Sinai, dove si accamparono; Israele si accampò davanti al monte.
Mosè salì verso Dio, e il Signore lo chiamò dal monte, dicendo: «Questo dirai alla casa di Giacobbe e annuncerai agli Israeliti: “Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all’Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatti venire fino a me. Ora, se darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me una proprietà particolare tra tutti i popoli; mia infatti è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa”».
SALMO
RESPONSORIALE (Salmo
99)
Rit. Noi siamo suo popolo, gregge che egli guida.
Acclamate
il
Signore, voi tutti della terra,
servite il Signore nella gioia,
presentatevi a lui con esultanza.
Riconoscete che solo il Signore è Dio:
egli ci ha fatti e noi siamo suoi,
suo popolo e gregge del suo pascolo.
Buono è il Signore,
il suo amore è per sempre,
la sua fedeltà di generazione in generazione.
SECONDA
LETTURA (Romani 5,6-11)
Fratelli, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi.
Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.
A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione.
VANGELO
(Matteo
9,36-10,8)
Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.
I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello; Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, colui che poi lo tradì.
Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».
In altre parole…
Nel nostro interminabile esodo, siamo ai piedi del Monte Sinai dove l’alleanza farà dei passi avanti con l’intermediazione di Mosè e dove tutto il popolo - la casa di Giacobbe - è chiamato direttamente in causa, perché non è da pensare ad un patto sulla carta che prescinda dai suoi contraenti. Mosè deve solo farsi portavoce di quanto il Signore rivolge al suo popolo: ed è incaricato di tenere sveglia la sua memoria, perché non dimentichi quello che hanno visto fare all’Egitto allo scopo di farlo diventare sua proprietà tra tutti i popoli, una volontà che è come la nota dominante dell’alleanza perenne. Questo popolo deve rendersi conto della sua vocazione e promozione a regno di sacerdoti e nazione santa, e cioè a diventare a sua volta strumento di comunicazione e di salvezza per tutti i popoli. Ma perché questo avvenga, oltre alla memoria viva dell’opera del Signore, è necessario che esso dia ascolto alla sua voce e abbia a cuore la sua alleanza: che si realizzi la sua volontà!
Sta di fatto che la realizzazione di questo “mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi” (Col 1,26) non può rimanere sulla carta o essere appannaggio di qualche specialista di spiritualità, ma deve diventare modo di sentire e di essere di ogni comunità di credenti, al di là dell’assuefazione a mediazioni dottrinali o istituzionali di rito, quasi per automatismo. Certamente questo modo di essere passivo non rispecchia un Gesù che “andava attorno per tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del regno e curando ogni malattia e infermità” (Mt 9,35). Che non è attivismo ed efficientismo pastorale, ma predicazione di vangelo di salvezza in opere e parole.
In questo instancabile peregrinare egli si ritrova in una umanità stanca e sfinita, come fossero pecore senza pastore, e non può non provare compassione, non mettersi nei loro panni. Vuole però che anche i suoi discepoli condividano lo stesso sentimento, e per questo li mette davanti alla vastità del campo e alla tanta messe da raccogliere, mentre gli operai mancano. Questa sproporzione è messa sotto i loro occhi non per scoraggiarli o perché si diano da fare per reclutare loro la mano d’opera, perché è il padrone della messe che manda operai nella sua messe. Da parte loro devono solo rendersi disponibili e rendersi conto di cosa eventualmente li aspetta: perché gli operai saranno comunque pochi sempre, ed è patetico vedere come queste parole siano finalizzate alla ricerca spasmodica delle “vocazioni” clericali o religiose, mentre sono un invito a mettersi su un piano diverso e adottare una logica diversa!
Portandoli ad avere il suo stesso sguardo sulle folle, Gesù prepara i suoi a mettersi a disposizione come lui per il disegno del Padre, ed è come se ricordasse loro la chiamata ad essere “pescatori di uomini”, ”agnelli mandati in mezzo ai lupi”. Certamente la chiamata è per tutti i discepoli, ma la risposta non può essere diversa da quella stessa di Gesù, che a questo punto restringe ancora il numero ai “suoi dodici discepoli”, per conferire loro il “potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità”. La scena di Nicolas Poussin - Ordinazione degli Apostoli – ci fa capire che questa investitura è collegiale, ma il potere concesso è quello del risanamento, della cura, della salvezza prima che di dominio o “delle chiavi”!
Questi dodici discepoli hanno certamente un valore simbolico rispetto alle dodici tribù di Israele, ma in realtà sono persone con tanto di nome e con la loro storia, senza titoli particolari, se non quelli di essere stati coinvolti in una impresa più grande di loro e alla quale prestarsi. “Questi sono i Dodici che Gesù inviò” dopo averli preparati, dando loro istruzioni abbastanza restrittive: quella di dedicarsi alle pecore perdute della casa di Israele, quelle stesse di cui sentiva compassione; per il momento potevano dispensarsi dall’andare tra i pagani o nelle città dei Samaritani. Ma a parte queste limitazioni, quello che devono assolutamente fare è mettersi in strada e predicare che il regno di Dio è vicino, così come aveva fatto lui all’inizio della sua missione pubblica, esercitando il potere salvifico di cui li aveva investiti.
Sappiamo che tutto questo non avrà seguito immediato, ma è come una esercitazione, per formarsi al senso della missione e da cui ricavare principi e metodo di evangelizzazione, che non può prescindere da questo dettato: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. È il criterio che deve ispirare e qualificare ogni iniziativa apostolica. Ma quanto Paolo ci dice nella lettera ai Romani ci rende coscienti che la vita cristiana in quanto tale è improntata a questa gratuità. Quando appunto si dice che secondo i tempi di Dio “Cristo morì per gli empi… mentre eravamo ancora peccatori”. All’origine dunque c’è questo amore di Dio incondizionato, totale ed esigente.
Diversamente da quanto siamo portati a pensare, non sembra che questa morte sia dovuta per i nostri peccati o per qualche soddisfazione alla giustizia divina: è semplicemente conseguenza di un gesto di assoluta gratuità. È la dimostrazione dell’assoluto amore di Dio verso di noi che va incontro all’inevitabile rifiuto del mondo, ma superandolo. E se siamo stati raggiunti dell’amore di Dio in Cristo quando eravamo in uno stato di inimicizia e di chiusura nei suoi confronti, ora che siamo riconciliati per mezzo della morte del Figlio suo, “saremo salvati mediante la sua vita”, fino a potercene gloriare nel senso di far trionfare questa vita! Il fatto è che noi viviamo nell’autoinganno, e ci rifiutiamo di considerarci morti, “senza speranza e senza Dio in questo mondo” (Ef 2,12), mentre il nostro rapporto con Cristo diventa accessorio o viene relegato in ambito strettamente religioso al di fuori della vita.(ABS)