9 agosto 2020 -  XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

 

Giovanni Battista Caliari: Gesù Cristo cammina sulle acque del lago di Tiberiade (1825 – 1849)

 

PRIMA LETTURA (1Re 19,9.11-1)

 

In quei giorni, Elia, [essendo giunto al monte di Dio, l’Oreb], entrò in una caverna per passarvi la notte, quand’ecco gli fu rivolta la parola del Signore in questi termini: «Esci e fèrmati sul monte alla presenza del Signore».

Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna.

 

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 84)


Rit. Mostraci, Signore, la tua misericordia.

 

Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore:
egli annuncia la pace
per il suo popolo, per i suoi fedeli.
Sì, la sua salvezza è vicina a chi lo teme,
perché la sua gloria abiti la nostra terra.

Amore e verità s’incontreranno,
giustizia e pace si baceranno.
Verità germoglierà dalla terra
e giustizia si affaccerà dal cielo.

Certo, il Signore donerà il suo bene
e la nostra terra darà il suo frutto;
giustizia camminerà davanti a lui:
i suoi passi tracceranno il cammino.

 

 

SECONDA LETTURA (Romani 9,1-5)

Fratelli, dico la verità in Cristo, non mento, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua.

Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne.

Essi sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen.

 

VANGELO (Matteo 14,22-33)

[Dopo che la folla ebbe mangiato], subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo.

La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!».
Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!».

E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».
Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».

 

 

In altre parole…

 

Non mancano spunti di comprensione in queste letture, ricche di elementi simbolici: il monte, la caverna, il vento impetuoso, il terremoto, il fuoco, il sussurro di una brezza leggera; inoltre la traversata all’altra riva, la barca agitata dalle onde e dal vento contrario. Tutti richiami di vita vissuta a sfondo esperienziale e spirituale da non trascurare, per dirci che oltre la predicazione del Regno, l’insegnamento, le parabole, anche eventi naturali e circostanze della vita hanno una potenza rivelativa del mistero del Verbo di Dio che abita tra noi.  C’è però da guardarsi da un rischio, che può essere segnalato come tendenza a guardare il dito piuttosto che la luna: a contentarsi dei segni senza andare alla realtà.

 

Quando leggiamo la Scrittura, siamo portati a cogliere significati spirituali, personali, esegetici, storici e teologici, e ad elaborarli a proprio uso e consumo, per applicazioni di ordine pastorale, morale, psicologico, sociale su temi sensibili del momento. Sembra quasi che la verità di fondo di quanto ascoltiamo si risolva nelle sue espressioni di fatto e di convenienza. La cultura dell’immediato ad effetto o dell’effetto immediato non fa che presentarci in primo piano i dettagli, mentre la sostanza del credere rimane sullo sfondo come orizzonte mitico. E se una volta il “senso della fede” era quello del mistero in assoluto, ora sembra che tutto porti a quanto è di facile e pronto consumo. Siamo alla pastorale dell’efficienza per la conservazione!

Sembra cioè che la Parola di Dio debba dare vita all’uomo pio, devoto, osservante, “fariseo” nel senso positivo della parola, diverso dagli altri, così come anche Paolo era fariseo: la Scrittura vuole invece formare l’uomo di Dio “completo e ben preparato per ogni opera buona” (2Tm 3,16): l’uomo dell’alleanza, della comunione, nell’obbedienza della fede, l’uomo che sta alla presenza di Dio, come Elia. Egli non è un uomo di sistema o di apparato, ma uomo “solo, come profeta del Signore, mentre i profeti di Baal sono quattrocentocinquanta”: con la passione di tenere viva la fede di Israele nel suo Dio, e per questo motivo combattuto e perseguitato.

Ecco perché lo ritroviamo in fuga  sul monte Oreb come Mosè, per trovare conferma e coraggio nella missione di riportare il popolo alla fedeltà verso il suo Dio e non verso i Baal o idoli: un Dio che non è nel vento impetuoso, nel terremoto, nel fuoco – nello spavento, nella sottomissione, nel culto e nella violenza del potere – ma si fa sentire intimamente come una brezza leggera, qualcosa che ci fa ritrovare alla presenza del  Signore,  spinti a nascondere il proprio volto e  ad uscire  dalla caverna e da se stessi per riprendere la lotta.

Sappiamo bene come lo ”spirito di Elia”  sia necessario nella vita e nella storia del Popolo di Dio e come Giovanni Battista sia venuto appunto “con lo spirito e la forza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto”  (Lc 1,17). Quello che ha detto di voler fare ai nostri giorni Giovanni XXIII. Ed è a questo che bisognerebbe tornare, per un incontro rinnovato di fedeltà al Signore da parte del suo Popolo. Oltre ogni efficienza pastorale, bisognerebbe rendere effettiva l’alleanza di Dio con il suo Popolo! Spesso sono mondi separati e distanti!

 

Ci manca il senso dell’alleanza operata del Signore Gesù, la via che ci porta al Padre e inaugura la nostra comunione di vita con lui in spirito e verità: ciò che conta per lui e a cui vuole portarci. Per sottrarsi al facile entusiasmo della folla dopo il fatto dei pani e per evitare che i suoi discepoli siano contagiati dall’orgoglio del successo, egli si ritira sul monte da solo a pregare e i discepoli li spedisce altrove sulla barca, dopo aver arginato e congedato la folla entusiasta che lo vuole re, come ci dice il vangelo di Giovanni al capitolo 6.

Sta di fatto che egli vuol portare tutti alla giusta valutazione dell’accaduto come via alla fede in lui in quanto pane di vita, al di là dell’evento straordinario fine a se stesso. Vuole anche da noi che ridimensioniamo il valore dei segni rispetto alla realtà profonda a cui rimandano! Quello che gli sta a cuore non è il consenso per via di spettacolarità, ma che quanto dice e fa, tutto ci porti a conoscere il Padre attraverso la fede in lui: “Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna” (Gv 6,40). Forse questa esigenza si è affievolita, o perché si ritiene secondaria una intelligenza della fede in profondità, o perché si dà per acquisita come ideologia.

Ecco perché Gesù mette alla prova anche i suoi, e mentre egli se ne sta in disparte da solo a pregare in intima unione col Padre, la loro barca è agitata dalle onde e ha il vento contrario. Vuole portare anche loro a questa intimità e affidamento; e come quando durante la tempesta “egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva” (cfr. Mc 4,38), anche ora sembra indifferente al loro destino, ma è così che vuole portarli alla fede, processo all’infinito di comunione e non semplice adesione mentale a formule o articoli di fede. Non per nulla egli è “autore e perfezionatore della fede” (Eb 12,2) e diventare discepoli credenti è un tirocinio non facile.

 

Ed ecco allora che “sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare” ricordandoci così  Elia, quando “prese il mantello, l'avvolse e percosse con esso le acque, che si divisero di qua e di là; i due passarono sull'asciutto” (2Re 2,8); ma al tempo stesso apparendo ad essi come un fantasma, quasi a prefigurare il giorno della resurrezione, sciolto dalle condizioni spazio-temporali. Ma è proprio ciò che ci spaventa e ci fa paura più che le onde del mare agitato: passare sul piano in cui egli si muove non è alla nostra portata, ma sembra che egli creda in noi più di quanto noi si creda in lui e pazientemente ci conduce per mano sulla sua via. Forse bisogna abituarsi a sentirlo da vicino come nostro pastore e guida che ci conosce per nome!

 

Pietro sembra aver maturato questa capacità di affidamento, forte anche della rassicurazione di Gesù: - “Coraggio, sono io, non abbiate paura!” – tanto che prova anche lui a camminare sulle acque; ma preda ancora una volta della paura chiede di essere salvato. È ciò a cui la fede deve portarci, all’invocazione di salvezza! Perché il dubbio di farcela abita sempre ogni nostra iniziativa di andare verso Gesù, fino a quando sarà lui stesso a tenderci una mano e ad afferrarci per metterci in salvo. Pietro sale con Gesù sulla barca e il vento cessa! 

 

Davanti a simili eventi, quegli uomini non sanno fare altro che prostrarsi e dichiarare: “Davvero tu sei Figlio di Dio!”. Con quale consapevolezza e fermezza lo dicano saranno i fatti successivi a chiarirlo: le confessioni di fede collettive o di massa vanno accettate sempre con riserva, tant’è che anche i demoni riconoscono il Santo di Dio prima ancora di tutti gli altri, ma per dissociarsi (cfr. Lc 4,34). I discepoli invece son lì ad interrogarsi, come dopo la tempesta sedata: “Chi è mai costui al quale i venti e il mare obbediscono?” (Mt 8,27). Ma quale la loro e la nostra obbedienza? La fede infatti è obbedienza e non semplice dichiarazione!

 

Elia ci aveva già dimostrato che la fedeltà al Dio di Israele non era un fenomeno di massa. Gesù fa di tutto per rendere capaci i suoi ad avere il suo stesso abbandono e affidamento verso il Padre: “Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me” (Gv 14,1).  Ma se vogliamo un esempio concreto di come avere fede in Cristo al di fuori di ogni sistema di riferimento, ecco presentarsi san Paolo.

 

Egli ci dice la verità in Cristo, di cui la coscienza gli dà testimonianza nello Spirito: dopo che si è chiesto “Chi ci separerà dall’amore di Cristo”?, ora sarebbe pronto a separarsi da Cristo, se questo dovesse andare a vantaggio dei suoi fratelli Israeliti, con cui condivide tutti gli altri beni della salvezza ma non il Cristo. Non gli importa cioè di venire tacciato di eresia e subire la “scomunica”, se può solidarizzare con loro nell’attesa dell’avvento del Regno. Così come del resto il Cristo stesso ha fatto con noi tutti, in quanto “non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini” (Fil 2,6-7). Che sia sempre questa la regola d’oro della evangelizzazione! (ABS)


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