28 giugno 2020 - XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

 

 

 

Gerbrand Van Den Eeckhout: Il profeta Eliseo e la donna di Sunem (1664)

 

 

PRIMA LETTURA (2 Re 4, 8-11. 14-16)

 

Un giorno Eliseo passava per Sunem, ove c’era un’illustre donna, che lo trattenne a mangiare. In seguito, tutte le volte che passava, si fermava a mangiare da lei.

Ella disse al marito: «Io so che è un uomo di Dio, un santo, colui che  passa sempre da noi. Facciamo una piccola stanza superiore, in muratura, mettiamoci un letto, un tavolo, una sedia e un candeliere; così, venendo da noi, vi si potrà ritirare».

Un giorno che passò di lì, si ritirò nella stanza superiore e si coricò.

Eliseo [disse a Giezi, suo servo]: «Che cosa si può fare per lei?». Giezi disse: «Purtroppo lei non ha un figlio e suo marito è vecchio». Eliseo disse: «Chiamala!». La chiamò; ella si fermò sulla porta. Allora disse: «L’anno prossimo, in questa stessa stagione, tu stringerai un figlio fra le tue braccia».

 

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 88)

 

R. Canterò per sempre l’amore del Signore.

 

Canterò in eterno l’amore del Signore,

di generazione in generazione

farò conoscere con la mia bocca la tua fedeltà,

perché ho detto: «È un amore edificato per sempre;

nel cielo rendi stabile la tua fedeltà». R/.

Beato il popolo che ti sa acclamare:

camminerà, Signore, alla luce del tuo volto;

esulta tutto il giorno nel tuo nome,

si esalta nella tua giustizia. R/.

Perché tu sei lo splendore della sua forza

e con il tuo favore innalzi la nostra fronte.

Perché del Signore è il nostro scudo,

il nostro re, del Santo d’Israele. R

 

SECONDA LETTURA (Romani 6, 3-4.8-11)

 

Fratelli, non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo dellagloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova.

Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Infatti egli morì, e morì per il peccato una volta per tutte; ora invece vive, e vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù.

 

VANGELO (Matteo 10, 37-42)

 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:

«Chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà. Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.

Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto.

Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».

 

 

 

 

 

In altre  parole…

Il messaggio unitario che arriva dall’ascolto di queste letture – quasi loro comune denominatore – parla di ospitalità, di accoglienza e di vita in Dio per Cristo Gesù: si va da un semplice ma intenso gesto di umanità alla manifestazione massima della potenza di Dio, perché “come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova”. C’è una corrispondenza sottile tra le due sfere, quella della umana solidarietà e quella della salvezza come opera di Dio. Nel tempo si consuma qualcosa di eterno, e di questo bisogna essere avvertiti. E se secolarizzazione è ridurre tutto al tempo, ad essa non si risponde con una religione che trasferisce tutto fuori del tempo!

La scena del profeta Eliseo, uomo di Dio accolto in casa dalla donna di Sunem, sta a ricordarcelo. Essa ci riporta alla visita dei tre uomini ad Abramo, al tempo stesso in cui fa pensare all’annunciazione di Maria con conseguente visita ad Elisabetta: che è poi il senso profondo del “Regno di Dio che viene” e che va accolto come un bambino. Dove appunto anche un piccolo seme o gesto di umanità può diventare il grande albero di rifugio per gli uccelli dell’aria: tutto sta a vedere se dentro gli eventi quotidiani lasciamo scorrere ed agire la potenza vivificante ed inesauribile dello Spirito di Dio, attraverso la fede, cantiere sempre aperto.

A parte la suggestione immediata del racconto, la scena della donna prostrata ai piedi di Eliseo è densa di mistero: coglie il momento in cui gli afferra le ginocchia desolata, perché il figlio promesso e ottenuto era però morto tra le sue braccia, per cui sfoga la sua amarezza con queste parole: “Avevo forse domandato io un figlio al mio signore? Non ti dissi forse: Non mi ingannare?” (2Re 4,27-28). Anche qui non mancano assonanze con Abramo e anticipazioni per il figlio dato a Maria, colui che “fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre”, così come la potenza di Dio si manifesta anche nel figlio della Sunamite. Nella Scrittura e negli eventi non basta cogliere il loro significato immediato di esempio o di insegnamento morale, ma è necessario leggere la trama interna di salvezza come opera di Dio. È questo il senso evangelico che passa attraverso gli eventi e le cose!

E questo spiega anche come la potenza salvifica arrivi alle genti attraverso coloro che sono inviati per farle discepole e per battezzarle in questa nuova corrente di vita e di resurrezione, che sappiamo di dove nasce. Questi apostoli sono scelti e abilitati da Gesù, ma sono anche preparati da lui al compito di essere portatori di salvezza come annuncio e come strumenti. È tutta una tensione di vita da cui non scadere come semplici esecutori o mestieranti, e nella quale spendere totalmente se stessi. Guardando a figure di profeti come Elia ed Eliseo sarebbe davvero fuori luogo pensare all’uomo di Dio come uomo del culto, del tempio, del sacro, ma come uomo completamente dedito al servizio di Dio per gli uomini e degli uomini in nome di Dio.

Le parole di Gesù – penetranti come una spada a doppio taglio – lasciano oggi intendere che lui non vuole dietro di sé discepoli a mezzo servizio o part time. Il suo è sempre e comunque un discorso missionario, con cui vuole creare nei suoi discepoli la sua stessa attitudine di inviato dal Padre. Non a caso si rivolge agli “apostoli” non perché quanto egli dice riguarda solo alcuni, ma interessa tutti in quanto destinati alla missione: sappiamo però che per tanta messe gli operai sono pochi! Gesù non vuole escludere o privilegiare nessuno, ma forse spera che almeno qualcuno lo prenda sul serio e sia disposto a coinvolgere poi altri in questo servizio.

Dopo che ci ha preparati ad ogni inevitabile forma di persecuzione, ci dice che egli non è venuto a portare pace ma una spada di divisione, ad essere motivo di contrasto tra genitori e figli: “Il fratello darà a morte il fratello e il padre il figlio, e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire” (v. 21), tanto che “i nemici dell'uomo saranno quelli della sua casa”. Egli rimane “segno di contraddizione”, fino al punto di sospendere o compromettere lo stesso comandamento di onorare il padre e la madre. Perché, per essere degni di lui e diventare suoi discepoli è necessario amarlo più di qualunque altro, che pertanto va come “odiato” o messo in secondo piano: che si tratti di madre o padre, di figlio o figlia, e perfino di se stessi e della propria vita. Niente e nessuno – neanche la propria vita - può condizionare la sequela di Cristo e la dedizione al suo vangelo, che va preso e portato insieme a lui come la propria croce.

Un inganno in cui si può cadere sta nel fatto che mentre si sono create forme di vita che richiedono la rinuncia alla propria famiglia in nome del vangelo, poi sono proprio queste strutture a pretendere dedizione e sottomissione a se stesse più che favorire obbedienza al vangelo. Ecco perché l’amore di Cristo al di sopra di tutto il resto (Pietro mi ami tu?) comporta sì tagli e distacchi, ma è liberante, e consente di amare tutti gli altri e ciascuno in liberalità e gratuità: in questo senso la vita egoisticamente intesa va persa per guadagnarla in solidarietà!

Le dure parole che Gesù rivolge ai suoi per portarli alla sua stessa misura non fanno altro che rivelare il suo modo di essere nei confronti del Padre nel compimento della sua missione a beneficio di tutti, senza altri legami e condizionamenti. Lo possiamo rivedere dodicenne al Tempio con i dottori della legge e nei confronti del padre e della madre; alle nozze di Cana quando apostrofa la madre come donna con cui non ha nulla da spartire; quando lo avvertono della presenza della madre e dei parenti e chiede chi sono in realtà sua madre e i suoi fratelli: quelli che compiono la volontà del Padre.

Tutta la sua passione lo portava a ricreare le basi e le condizioni per un legame più solido e più profondo nella volontà del Padre: “Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell'ultimo giorno” (Gvi 6,40). Non è questione di buoni sentimenti o buone intenzioni di copertura o di convenienza in linea di principio, perché alla dichiarazione universale di fraternità tutti diamo il nostro consenso. Si tratta di dare vita o meno a rapporti reali e alle condizioni dovute, secondo le istruzioni già date ai discepoli: “Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne sarà degna, la vostra pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi. Se qualcuno poi non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi” (Mt 10,12-14).

I discepoli devono essere pronti a tutto, ma anche essere chiari e decisi, sapendo che se è duro il rifiuto, altrettanto gioiosa è l’accoglienza, perché in essa si compie il dono di grazia e si realizza la piena comunione col Padre attraverso il Figlio: “Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato”.  Ma così prende anche corpo la solidarietà con quanti accolgono “un profeta come profeta” e “un giusto come giusto”, perché anch’essi ne condividono la ricompensa. La singolare storia di Eliseo ci dimostra che “chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa”.

In qualche modo, le parole di Gesù sono una traduzione in insegnamento del messaggio che viene dalla facoltosa donna sunamita. Ma se vogliamo andare a quanto accade realmente nel “mistero” – e cioè nell’ordine di azione di Dio – possiamo intravederlo nelle parole di san Paolo ai Romani: col battesimo siamo accolti da Cristo nella sua morte, nella quale si perfeziona la sua immedesimazione a noi uomini per la nostra salvezza. È così che possiamo tutti ritrovarci come sepolti con lui, racchiusi nel seme che muore per rinascere e portare frutto. È la condizione nuova in cui veniamo a trovarci e che è presentata così in Filippesi 3,10: “E questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte”. Diventare conformi a Cristo nella morte, in modo da considerarci “morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù”. Morti secondo un certo modo di essere per se stessi, e rinati secondo il modo di essere di Cristo Gesù!

Sorvoliamo troppo su queste realtà di fondo, come se non fossero la sostanza più viva della nostra fede, intesa invece in maniera troppo riduttiva come confessione, pratica religiosa, indice di identità socio-culturale, e cioè come fattore di integrazione e di appartenenza. Bisognerebbe promuovere una campagna per una fede intesa come liberazione “dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (Rm 8,21), “affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova”. Il fatto è che in circolazione ci sono troppi sottoprodotti o contraffazioni che si fanno passare come fede della chiesa! Per cui ha ragione il profeta Isaia quanto dice: “Abbiamo concepito, abbiamo sentito i dolori quasi dovessimo partorire: era solo vento; non abbiamo portato salvezza al paese e non sono nati abitanti nel mondo” (Is 26,18).

È il dramma di sempre che si rinnova tragicamente, ma anche a lieto fine: “Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto. A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome” (Gv 1,11-12). Non sarebbe male recuperare il gusto per la verità della fede, senza contentarsi di buone intenzioni e buoni sentimenti! (ABS)


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