6 febbraio 2022 -V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

Domenico Beccafumi: San Paolo in trono (1515 circa)

Siena, Museo dell'Opera del Duomo

PRIMA LETTURA (Isaia 6,1-2.3-8)


Nell’anno in cui morì il re Ozìa, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini; ognuno aveva sei ali. Proclamavano l’uno all’altro, dicendo:
«Santo, santo, santo il Signore degli eserciti!
Tutta la terra è piena della sua gloria».
Vibravano gli stipiti delle porte al risuonare di quella voce, mentre il tempio si riempiva di fumo. E dissi:
«Ohimè! Io sono perduto,
perché un uomo dalle labbra impure io sono
e in mezzo a un popolo
dalle labbra impure io abito;
eppure i miei occhi hanno visto
il re, il Signore degli eserciti».
Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e disse:
«Ecco, questo ha toccato le tue labbra,
perciò è scomparsa la tua colpa
e il tuo peccato è espiato».
Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi: «Eccomi, manda me!».

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 137)


Rit. Cantiamo al Signore, grande è la sua gloria.

 

Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:
hai ascoltato le parole della mia bocca.
Non agli dèi, ma a te voglio cantare,
mi prostro verso il tuo tempio santo.

Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà:
hai reso la tua promessa più grande del tuo nome.
Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto,
hai accresciuto in me la forza.

Ti renderanno grazie, Signore, tutti i re della terra,
quando ascolteranno le parole della tua bocca.
Canteranno le vie del Signore:
grande è la gloria del Signore!

La tua destra mi salva.
Il Signore farà tutto per me.
Signore, il tuo amore è per sempre:
non abbandonare l’opera delle tue mani.

 

 

SECONDA LETTURA (1Corinzi 15,1-11)

 

Vi proclamo, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano!

A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture
e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.

In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto.

Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me.

Dunque, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto.

 

VANGELO (Luca 5,1-11)


In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.

Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.

Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».

E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

 

 

In altre parole…

 

“Rivivo qualcosa dell'impressione di Isaia, che sentiva le labbra impure di fronte al mistero del Dio vivente (Is 6, 5). Vorrei dire come Pietro: «Signore, allontanati da me che sono un peccatore» (Lc 5, 8). Intuisco che sto per parlare di qualcosa che è come una spada a doppio taglio, che mi penetra dentro fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, che scruta i sentimenti e i pensieri del mio cuore (cfr. Ebr 4, 12)”. Sono parole che il card. Martini scrive per introdurre la Lettera pastorale “In Principio la Parola” e che ci danno il quadro delle letture di questa domenica: di questa spada a doppio taglio che ci penetra dentro e ci attraversa, ma che al tempo stesso ci sprona  ad esserne voce e strumento. Qualcosa che non basta studiare e approfondire ed esporre, ma che va rivissuto e comunicato faccia a faccia.

 

L’assoluta potenza di questa Parola non va soltanto dichiarata, ma va subita e servita  in pieno, perché è lì che si giocano fede e salvezza, a tu per tu col disegno di Dio. E questo non solo in termini personali, ma con la coscienza di Popolo di Dio profetico in cammino nel mondo: con la responsabilità della Parola da pronunciare. Ripensiamo al profeta Geremia, consacrato fin dal seno materno e mandato e reso come muro di bronzo contro tutto il Paese, Forse noi non partiamo da queste profondità ed evitiamo  accuratamente lo scontro, e dimentichiamo facilmente che, sì, ci “fanno guerra ma non vinceranno, perché io sono con te per salvarti”.

 

Col profeta Isaia siamo riportati alle scaturigini di questa Parola di salvezza, da cui prendere le mosse come portatori della Parola di Dio: a pronunciarla originariamente  è il Santo dei santi seduto sul trono alto ed elevato, davanti al quale  inevitabilmente ritrovarsi e prostrarsi. Il profeta diventa il punto  di congiunzione e di risoluzione tra la santità di Dio e il peccato dell’uomo, tra la purezza della Parola di Dio e l’uomo dalle labbra impure che abita tra un popolo dalle labbra impure. Eppure non può negarsi  di aver visto con i propri occhi il Signore degli eserciti e viverne tutta la tensione. Perché tutto questo non è più esperienza vissuta di un Popolo di Dio profeta ma considerazione astratta? 

La Parola di Dio sulla sua bocca  come carbone ardente purifica le labbra e il cuore dalla sua indegnità, e il profeta si ritrova davanti al suo Dio ansioso di inviarlo in suo nome, che si limita a chiedersi: “Chi manderò e chi andrà per noi?”. La disponibilità e la risposta non si fanno attendere: “Eccomi, manda me!”. È quanto deve rivivere e ripetersi nel cuore di un Popolo di Dio preoccupato della sua collocazione e dei suoi assetti di efficientismo storico. La sua esperienza di fede è frantumata nello spiritualismo e devozionismo dei singoli, ma non ha più la forza di proporsi come annuncio.

 

Tutto invece si rinnova e si ripete in maniera molto penetrante nella scena lungo il lago di Gennesaret, sotto gli occhi di una folla che faceva ressa attorno a Gesù per ascoltare la parola di Dio, e cioè la sua predicazione evangelica. Quando Gesù nella sinagoga di Nazaret  annuncia il compimento in lui della Scrittura, sta a dire che è lui ormai questa parola vivente e di vita, come cercherà di far capire in ogni modo: quella parola sulla quale Simone è disposto a gettare le reti dopo la fatica di una pesca andata a vuoto.

 

Ci viene detto  come sono andate le cose sotto gli occhi di tutti, e sempre lo stesso Simone non può non sentirsi peccatore indegno davanti a quel Gesù che si è impadronito di lui, tanto da fargli desiderare che stia lontano. Ma anche qui la spinta dominante è che la Parola di Dio arrivi a tutti, a tutte le genti fino agli estremi confini della terra. Ed il fatto veramente sorprendente, più del miracolo della pesca abbondante, è che Simone e quei pescatori di Galilea siano trasformati in “pescatori di uomini”. Non c’è da rimanere su quelle barche, ma lasciare tutto lì e andare dietro a lui per un avventura che non ha fine e confini. Un atto di svolta e decisivo che  avviene  sotto il cielo tra la folla alle sponde di un lago.

 

Il fatto è che la forza di questa misteriosa consegna si è persa, e noi siamo diventati pescatori sportivi in riserve apposite e con le nostre sacralizzazioni religiose è come se dicessimo alla Parola di Dio vivente “stai lontano da noi”, e tutto si consuma sulla mensa della Parola a nostro nutrimento spirituale e a nostro sostegno morale. Ma dov’è una qualche comunità di fede o evangelica che abbia l’ambizione e il coraggio  non tanto di presentare se stessa con le sua solennità,  ma piuttosto di essere risonanza viva di predicazione della Parola? Con tanta nostalgia e speranza si può ricordare che san Domenico ha voluto i suoi conventi come “Case di predicazione”. Ma ormai  il contagio del clericalismo ha riassorbito e livellato tutte le differenze specifiche  nel servizio del vangelo per il mondo.

 

Quanto sarebbe importante recuperare la spada della Parola di Dio impugnata strenuamente da san Paolo, non tanto per ragioni di sistema, ma per la nascita del Popolo di Dio tra le genti, non come appendice o accessorio di una chiesa storica costituita, ma come istanza primaria e irrinunciabile di annuncio del vangelo. Ascoltiamo e meditiamo san Paolo in tutti i suoi significativi passaggi. Ma soprattutto prendiamo atto di come egli si ponga come l’ultimo degli apostoli e come aborto rispetto  a tutti gli apostoli di prima generazione.

 

Le sue parole sono estremamente significative ed inequivocabili per una reimpostazione di chiesa che si vuole prima di tutto evangelizzatrice: “Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. Dunque, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto”.

 

Se permettete, personalmente vorrei porre l’accento su queste parole programmatiche: “Dunque, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto”. Il punto di incontro tra diverse realtà e forme di chiesa (Chiesa dei praticanti e anagrafica e  “Chiesa dei gentili”) è la predicazione e la stessa fede, ma con diversa soggettività complementare! (ABS)


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