Koinonia Novembre 2023


RIFLESSIONI E PROPOSTE PER IL SINODO

 

Ho letto il Libro sinodale (parte prima) della Diocesi di Pistoia.

 

Nella Promulgazione il lavoro svolto dalla comunità cristiana viene definito come un’attenta lettura dei segni dei tempi e delle sfide che aspettano il popolo di Dio: i nuovi cammini educativi, una rinnovata evangelizzazione, la mancanza di socialità, i bisogni inderogabili della società, le difficoltà e i problemi che sta vivendo, la necessità di una Chiesa “nuova”, più evangelica e testimoniale che intende rivolgersi in particolare ai soggetti più in crisi quali il matrimonio, la famiglia, la donna, i giovani, i vecchi, i migranti…

 

Il Libro mi è sembrato un’analisi psico-sociologica, più che religiosa, in cui la riflessione rimane chiusa in un recinto nel quale sono interdette molte novità. Ad esempio, manca un’analisi della trasformazione della cultura religiosa nella società. Come scrive il cardinale belga Jozef De Kesel, se il cristianesimo non ne terrà conto, esporrà il Vangelo all’inattualità: “Non è tanto un problema di chiese vuote ma di una trasformazione profonda delle culture, del sentire, delle pratiche di vita e dei contesti, di cui il cristianesimo è chiamato a tener conto”. È una trasformazione complessa, spesso negata o mal compresa, che espone il cristianesimo al rischio di movimenti centrifughi. La grande domanda che il teologo Kesel si pone è: quale sarà il futuro e la forma della Chiesa e della religione in un Occidente così trasformato? E risponde: “Questa narrazione della vita abitata da una promessa divina deve essere nuovamente raccontata nei modi, nei tempi e negli spazi che la storia offre”. L’indicazione è molto chiara: cambiamento, non immobilismo.

 

Trovo illuminanti e piene di speranza, per il futuro della Chiesa e dei laici, le parole del Salmo e le intenzioni riportate nella Promulgazione:

 

“Fermatevi! Sappiate che io sono Dio”.

 

Vogliamo mettere le parole del Salmo al centro della nostra vita. Fermarsi lontano dalla frenesia e dalla distrazione del quotidiano per ascoltare ed ascoltarsi, lasciarsi illuminare dalla parola di Dio, cercare insieme la volontà di Dio…”.

 

Qui sta, a mio avviso, il punto centrale, nevralgico di tutto il lavoro futuro che ci aspetta: ritornare a parlare di Dio dopo che l’attenzione della Chiesa si è rivolta più ai temi morali e sociali, che a quelli trascendenti. La versione sociologica della religione cristiana non è il punto d’arrivo della fede, ma solo una forma storica C’è troppa secolarizzazione anche nell’istituzione ecclesiastica. Mi si dirà: ma i cristiani vivono nel mondo, nella storia, nella società ed è qui che devono portare la loro testimonianza. Certo, ma non dobbiamo dimenticarci che i cristiani “sono in questo mondo, ma non sono di questo mondo”, che questa vita è solo un percorso, veloce, un cammino verso la nostra vera Casa. È Dio il punto focale ed essenziale. Senza l’incontro con Lui è umanamente difficile l’incontro con l’altro, senza aver “sperimentato” di essere amati da Lui, è difficile amare. Scriveva, prima di morire in un lager tedesco, Hetty Hillesum, ebrea non credente che scoprì Dio in piena Shoah: “Non credo più che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza prima aver fatto la nostra parte dentro di noi”. Che grande verità! Non sono i sistemi politici, le ideologie che riescono a cambiare l’uomo, ma la presa di coscienza, la conversione del cuore. Solo questo cammino è in grado di portare veri cambiamenti nell’uomo e nella società.

 

Si parla di crisi del cristianesimo. È vero, oggi il cristianesimo arranca per tanti motivi che non sto qui ad elencare. Nonostante la secolarizzazione della società, si percepisce tuttavia che in giro non c’è solo indifferenza, agnosticismo e ateismo, ma anche - da parte di cristiani maturi – la voglia, il desiderio di cambiamento, desiderio di tornare a parlare di fede in modo aperto, vivo e appassionato, di un cristianesimo diverso da quello ormai diluito e fluido che stiamo vivendo. Perché non riflettere sul fatto che mentre la maggior parte dei cristiani non sembra più interessata alla fede e alle sue pratiche, altri si stanno rivolgendo altrove, in cerca di qualcosa di più vitale e spirituale che non trovano nella Chiesa? Oggi, dopo l’esaltazione illuministica della ragione che ci ha privati del senso del sacro e del mistero della vita, dopo l’ubriacatura delle ideologie, dopo che il messaggio dirompente di Cristo - che ha portato la notizia gioiosa che siamo tutti amati, perfino i peccatori e i più diseredati della terra da un Dio che ci è Padre - si è annacquato, sperso in norme e precetti, dopo che il magistero si è occupato più delle cose di “questo mondo” che di annunciare il Regno, questi credenti sono andati in cerca di qualcosa di autentico per reincontrare e dialogare con il Mistero in modo diverso.

 

La preghiera. Il Sinodo dovrebbe riflettere su questo tema e capire che da più parti si sente l’esigenza di pregare in modo diverso e che per alcuni la preghiera ripetitiva non corrisponde più alla sensibilità dell’uomo di oggi. Bisogna avere il coraggio di aprirsi a nuovi modi di pregare, senza per questo ripudiare gli antichi, sempre validi. In questi nostri tempi molte persone cercano il silenzio come esperienza di totale abbandono attraverso la preghiera contemplativa o la meditazione. Hanno sete di Dio in spazi di silenzio, lontani dai rumori e dalle parole trite del mondo. Sentono il desiderio di allargare il proprio spazio interiore, di ritrovare “la via”, di tornare all’essenza. Hanno capito che l’Assoluto lo si trova in noi, nel nostro cuore, come dicevano i mistici e Agostino: “in interiore homine” abita il divino. La voce di Dio si può udire solo quando ogni altra voce tace.

 

Anche papa Francesco sembra finalmente essersi accorto che il silenzio è prezioso. Nella veglia di preghiera nello stile della comunità di Taizè, tenutasi in piazza S. Pietro, ha detto pubblicamente che “il silenzio è essenziale nella vita del credente… Esso sta alla base della parola e della vita… Solo nel silenzio risuona la sua Parola”.

 

Un altro argomento innovativo per il Sinodo potrebbe essere quello di tornare a parlare dei concetti di Sacro e di Mistero, temi che questo mondo non solo non accetta più, ma che ha definitivamente cancellato dal proprio vocabolario. Ma cos’è il sacro? Qualcosa che ha a che vedere con la divinità. Il concetto del sacro, custodito dalle grandi religioni e dalla filosofia, nella cultura post-moderna è entrato in crisi. L’uomo si è convinto che fuori di sé non c’è il senso, ma il nulla. Oggi l’angoscia del nulla attanaglia l’uomo moderno perché l’idea del Sacro e del Mistero sono state rimosse. Ciò nonostante, il senso del Sacro permane e sostiene alcune esperienze di spiritualità, ma confinato nelle scelte libere e personali. Si deve invece tornare a parlarne dai pulpiti delle chiese.

 

La parola Mistero è ancor più vilipesa: guai a parlare di Mistero, del Mistero di Dio, del Mistero della nascita, della vita e della morte. Il rapporto dell’umanità col trascendente è anch’esso Mistero. Dai tempi dell’uomo delle caverne a quelli dell’uomo tecnologico il Mistero della vita e della morte è sempre rimasto tale e quale, immutato. Tuttavia, usare oggi questa parola è percepito come un qualcosa che appartiene al passato, un arrendersi e rinunciare a capire, un trincerarsi dietro a una parola arcana, oscura e incomprensibile. In realtà credere nel Mistero significa dichiarare la profondità della realtà in cui viviamo e in questo contesto il credente è colui che vive e accetta il Mistero come qualcosa davanti al quale la ragione è costretta ad arrendersi, pur percependolo come reale e possibile.

 

Su questi temi, secondo me, il Sinodo dovrebbe interrogarsi e riflettere. Sono argomenti poco conosciuti e dibattuti e il Sinodo potrebbe essere l’occasione per tornare a riparlarne in modo vivo e pieno di entusiasmo. La gente ha bisogno di sentire parlare di Dio con una gioia e con una passione capace di contagiare le menti e i cuori.

 

Daniela Nucci