Koinonia Novembre 2023


NARRAZIONI

 

La propaganda è stata da sempre un’arma, molto spesso efficace, per distogliere i sentimenti dei popoli dalla verità dei fatti e indurli a subire, ma spesso anche a far proprie, le ragioni dei potenti.

È rimasta nella storia la famosa massima di Goebbels, potentissimo ministro di Hitler: se dici una bugia una sola volta, resta una bugia; ma se la ripeti cento volte, diventa verità.

Quando parlavo ai miei studenti delle cause del razzismo presente anche oggi negli Usa, a un secolo e mezzo dall’abolizione della schiavitù, non mi era difficile far comprendere le ragioni socioeconomiche e culturali del fenomeno: in primo luogo la paura, particolarmente diffusa tra i bianchi poveri, di restare disoccupati a causa della concorrenza dei neri; e al tempo stesso il loro aggrapparsi, loro che temevano di perdere tutto, all’unica cosa che nessuno poteva togliergli: il colore bianco della loro pelle, il colore dei padroni.

E tuttavia, accanto a questi aspetti del razzismo “classico”, becero  e violento, va oggi di moda un razzismo molto più sottile, di stampo negazionista: la schiavitù del tempo passato non era poi una cosa cattiva, come tanti vorrebbero far credere, e per lo più i padroni bianchi erano di buon cuore e trattavano bene i neri, non certo peggio di come gli industriali trattavano gli operai. E non è un caso se in tanti stati conservatori del Sud in anni recenti si allestiscono monumenti a onore del generale Lee, il  capo dell’esercito sudista che combatté per il mantenimento della schiavitù.

Di esempi del genere se ne contano a centinaia. Nella politica moderna l’uso della disinformazione è diventato sempre più invasivo. Le fake news, le notizie false, sono diventate strumento essenziale di lotta politica, spesso determinanti per aggiudicare la vittoria di questo o di quel candidato, di questo o di quel partito. E poiché il monopolio dei mezzi di informazione è da sempre nelle mani dei gruppi dominanti, sono i ceti poveri  a subirne le conseguenze.

Oggi il lessico politico si è arricchito  di una parola nuova, più subdola delle fake news: la narrazione.

Perché la “narrazione” di un fatto sia efficace, occorre la presenza di un ascoltatore disinformato, sprovvisto di un pensiero critico, disposto a cambiare opinione con facilità: perché non basta presentare una bugia come oro colato; bisogna che chi ascolta sia disposto ad accogliere tutto ciò che viene propinato, fosse anche la cosa più assurda.

Pensiamo alla narrazione sui “trafficanti di esseri umani”.

I colpevoli dei flussi migratori di massa attraverso il Mediterraneo sarebbero gli scafisti. Come se masse di migranti disperati volessero raggiungere le nostre coste perché indotti a partire da questi nuovi  negrieri del  ventunesimo secolo che sfrutterebbero l’ingenuità dei migranti.

Da mesi questa “narrazione” ci viene propinata ogni giorno, quasi in ogni telegiornale o nelle dichiarazioni di questo o quel ministro: “Colpiamo gli scafisti, questi scellerati che giocano sulla pelle dei migranti. Se questi vogliono venire da noi è per colpa degli scafisti che gli riempiono la testa di mille promesse”.

Ma l’esodo epocale di masse di disperati non lo puoi fermare, con o senza scafisti. Come non puoi fermare le maree. Eppure la narrazione di chi parla di invasione e del pericolo di “sostituzione etnica” ci racconta che le maree si possono fermare.

È un messaggio costante, martellante. Per chiunque conservi un minimo di consapevolezza può apparire ridicolo, una barzelletta. Eppure, se continua a essere propinato con tanta disinvoltura, è perché sembra fare breccia nelle menti di tanti: “Se dici una sola volta una bugia….”.

Ormai da decenni il trionfo del neoliberismo a livello planetario ha significato non solo aumento delle differenze economiche, ma anche un appiattimento culturale di massa, un’abitudine al consenso. Così, cari signori, se vi diciamo che la colpa di questa invasione di africani è dovuta agli scafisti, credeteci. E se quelli, nonostante tutte le nostre sagge raccomandazioni di starsene a casa loro, vogliono comunque attraversare il mare, lo faranno a loro rischio e pericolo. Noi li avevamo avvertiti.

Questa “narrazione” che mira a nascondere, o almeno a far dimenticare, le vere cause del fenomeno migratorio, rischia di diventare pensiero dominante. Così anche quando si parla di guerre, fame e carestie quali fattori che spingono molti popoli ad abbandonare le proprie terre, mai e poi mai si indaga sulle cause di queste guerre, di queste carestie, di questa fame.

Si tratta di  guerre fra gruppi etnici rivali armati con armi prodotte dalle nostre fabbriche, con ottimi profitti dei nostri imprenditori, mercanti di morte; sono carestie causate dall’espulsione delle popolazioni contadine dalle loro terre per fare spazio a un’agricoltura da esportazione, a tutto vantaggio, oltre che dei grandi proprietari locali, accaparratori di terre, delle stesse multinazionali straniere. Sono processi, tra l’altro, che portano  all’abbattimento di intere foreste causando una progressiva desertificazione dei terreni. Di qui l’esodo dei contadini che vanno a riempire le baraccopoli delle città africane, cresciute a dismisura negli ultimi decenni; e come conseguenza di tutto questo, la fame.

E allora partono, pensando che l’inferno che troveranno sul loro cammino prima di arrivare da noi sarà sempre meglio dell’inferno che lasciano a casa loro.

Non mi stancherò mai di ricordare - le avrò ripetute un sacco di volte -  le parole che disse padre Zanotelli, un tempo missionario nella baraccopoli di Korogocho a Nairobi, durante una sua breve visita in Italia: “Quando parto, so chi lascio, laggiù; ma quando torno non so chi ritrovo”. L’aids falcidiava gente peggio della peste.

E allora attraversano il deserto, col pericolo di morire di sete o di insolazione; rischiano di essere rinchiusi in campi di internamento in Libia, trattati come schiavi; e quando, se “fortunati”, trovano qualche scafista cui affidarsi, pagando una fortuna, per attraversare il mare su barconi o  barchini malandati, sanno bene che per una semplice burrasca possono affogare fra le onde.

A questo punto la narrazione degli “scafisti trafficanti di esseri umani” serve a cancellare le vere cause di un fenomeno epocale fatto di orrore, dolore e vite spezzate, occultando le responsabilità  di un sistema che genera morte.

 

Bruno D’Avanzo