Koinonia Novembre 2023


La voce di  Frei Betto

MARX HA PREDICATO L’ATEISMO?

 

Al suo arrivo a Parigi, nell’ottobre del 1843, Marx, per la prima volta, si dichiarò ateo. Fu lì che scrisse Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. nell’Introduzione della quale affermava che “Per la Germania, la critica della religione nell’essenziale è compiuta, e la critica della religione è il presupposto di ogni critica (...)”.

E continuava: “Il fondamento della critica irreligiosa è: l’uomo fa la religione (...) la religione, una coscienza capovolta del mondo (...). La miseria religiosa è insieme l’espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito”.

Arrivò un momento in cui Marx non considerava più necessario l’ateismo: “L’ateismo, in quanto negazione di questa inessenzialità, non ha più alcun senso; infatti l’ateismo è, sì, una negazione di Dio e pone attraverso questa negazione l’esistenza dell’uomo, ma il socialismo in quanto tale non ha più bisogno di questa mediazione (...). Esso è l’autocoscienza positiva dell’uomo, non più mediata dalla soppressione della religione” (Manoscritti economico-filosofici del 1844). 

Il socialismo apporterebbe il superamento pratico della religione. È questa la posizione definitiva di Marx e, per questo, non concorderà mai con l’ateismo militante - come si è successivamente impiantato nell’Unione Sovietica, il che l’ha portato a criticare Bakunin, in quanto questi “decretava l’ateismo come dogma obbligatorio per i membri” (dell’Internazionale). (Lettera di Marx a Bolte 23/11/1871).

Nella sua lettera a Bolte, Marx scriveva inoltre: “Alla fine del 1868, il russo Bakunin si è unito all’Internazionale con lo scopo di creare al suo interno e sotto la sua guida una seconda Internazionale intitolata ‘Alleanza della democrazia socialista’. Bakunin, un uomo senza alcuna conoscenza teorica, pretendeva che questa particolare setta dirigesse la propaganda scientifica dell’Internazionale. (...) Il suo programma era composto da brandelli di idee piccolo-borghesi superficialmente raffazzonate qua e là: uguaglianza delle classi (!), soppressione del diritto di successione come punto di partenza del movimento sociale (stupidità sansimonista), l’ateismo come dogma obbligatorio per i membri dell’Internazionale, ecc. e, come dogma principale, l’astensione proudhonista dal movimento politico”.

Una domanda è d’obbligo oggi, alla luce dei 70 anni di socialismo nell’Unione Sovietica e degli oltre 60 a Cuba: il socialismo è stato il superamento pratico della religione? Marx considerava la religione “l’oppio del popolo”? “La miseria religiosa è insieme l’espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l’oppio del popolo” (Marx, 1844).

Nel suo articolo intitolato “Marx e Engels come sociologhi della religione”, Michael Löwy afferma che la frase “la religione è l’oppio del popolo” non è creazione di Marx. Tale formula la si può trovare, prima di Marx, con diverse sfumature, in Kant, Herder, Feuerbach, Bruno Bauer e molti altri.

La frase “la religione è l’oppio del popolo” compare come citazione di Marx nella sua opera Per la critica della filosofia del diritto di Hegel (1844), senza essere un’affermazione paradigmatica. Löwy osserva che la frase va compresa nella sua complessità, e sottolinea che Marx tiene conto della religione nel “suo duplice carattere” contraddittorio e dialettico: “a volte legittimazione della società esistente, a volte protesa contro di essa.”

Su questo, mi disse Fidel, nel nostro libro Fidel e la religione: “Secondo me, la religione, dal punto di vista politico, non è in sé oppio o rimedio miracoloso. Può essere oppio o meraviglioso rimedio, nella misura in cui serve per difendere gli oppressori e gli sfruttatori, o gli oppressi e gli sfruttati. Dipende dal modo in cui si affrontano i problemi politici, sociali e materiali dell’essere umano che, indipendentemente da teologie o credo religioso, nasce e deve vivere in questo mondo”.

Dunque, la frase “la religione come oppio del popolo” non è la sua più importante affermazione sulla religione. Ma è diventata popolare ed è passata a essere intesa come condanna politica paradigmatica della religione, usata per giustificare l’ateismo politico di certe correnti di sinistra, per le quali non vi sarebbe possibilità di conciliazione tra religione e rivoluzione. In questa chiave di lettura, chi vuole essere rivoluzionario marxista deve abbandonare le sue convinzioni religiose; e chi vuole praticare una religione, deve ripudiare il marxismo.

Son dovuti passare decenni perché Fidel riuscisse ad andare oltre tale pregiudizio con il suo pensiero lapidario: “Da un punto di vista strettamente politico - e penso di saperne qualcosa di politica -, ritengo che si possa essere marxisti senza rinunciare a essere cristiani e lavorare insieme al comunista marxista per trasformare il mondo. L’importante è che, in ambo i casi, siano sinceri e rivoluzionari, disposti a porre fine allo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo e a lottare per una equa distribuzione della ricchezza sociale, per l’uguaglianza, per la fratellanza e per la dignità di tutti gli esseri umani. Ossia, siano essi portatori di coscienza politica, economica e sociale più avanzata, o che partano, come è il caso dei cristiani, da una concezione religiosa”. 

 

Frei Betto

(traduzione dal portoghese di Flora Misitano)