26 febbraio 2023 - I
DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO A)
Beato Angelico: Tentazione di Cristo nel deserto (1438-1446)
Firenze, Museo di San Marco, cella 32 bis
PRIMA LETTURA (Genesi
2,7-9; 3,1-7)
Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.
Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male.
Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino”?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male».
Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.
SALMO RESPONSORIALE (Salmo 50)
Rit. Perdonaci,
Signore: abbiamo peccato.
Pietà
di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro.
Sì, le mie iniquità io le riconosco,
il mio peccato mi sta sempre dinanzi.
Contro di te, contro te solo ho peccato,
quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto.
Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Non scacciarmi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito.
Rendimi la gioia della tua salvezza,
sostienimi con uno spirito generoso.
Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode.
SECONDA LETTURA (Romani 5,12-19)
Fratelli, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel
mondo e, con il peccato, la morte, così in tutti gli uomini si è
propagata la morte, poiché tutti hanno peccato.
Fino alla Legge infatti c’era il peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la Legge, la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire.
Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio, e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti. E nel caso del dono non è come nel caso di quel solo che ha peccato: il giudizio infatti viene da uno solo, ed è per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute, ed è per la giustificazione. Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo.
Come dunque per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita. Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti.
VANGELO (Matteo 4,1-11)
Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».
Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».
Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.
In altre parole…
Se rimaniamo alla lettera o al genere letterario di queste letture, possiamo parlare di favola, di mito, di racconto fantasioso, di cui fare anche a meno in un’epoca di presunta razionalità scientifica. Anche se di fatto viviamo in un’epoca regolata da mitologie, ideologie misticheggianti, leggende metropolitane, insomma da quanto ha valore immediato e gratificante nella sfera della sensibilità e dell’immaginazione, della suggestione e della pubblicità. Con tutta la presunzione di persone mature, non ci rendiamo conto di vivere in una civiltà di inganno o di autoinganno, a cui possiamo sottrarci solo personalmente ma non culturalmente. Non sarebbe male esserne coscienti, per ritrovare un piano di verità meno fattuale e funzionale!
Sta di fatto che questi racconti biblici ed evangelici appaiono ai più come costruzioni letterarie a sfondo religioso per essere lasciati cadere nel vuoto. Chi invece li ascolta in ambito liturgico quaresimale, o si affida a reminiscenze catechistiche o li ricopre di considerazioni spirituali per passare a pratiche penitenziali. Ma se queste parole volessero trasmetterci una verità e visione della vita e della storia anche oggi, dopo che per secoli e secoli hanno alimentato la fede di generazioni e generazioni, e dopo che arrivano a noi in versione dottrinale e di comodo? Come si può vedere, interviene san Paolo con la lettera ai Romani a far capire cosa c’è in gioco e come la questione ci coinvolge nel nostro intimo e nella nostra storia, perché si tratta del rapporto Dio-uomo, che è sì di intima unione ma che ha anche una sua storia come genere umano. A parte schematismi dottrinali e convenzionali - vedi “peccato originale” e tipologia di tentazioni - come ci posizioniamo noi sulle coordinate di fede Dio-uomo?
Il racconto del libro della Genesi lo conosciamo a sufficienza, ma se lo rivisitiamo in questa prospettiva di dialogo di Dio con gli uomini, non manca di risonanze vive anche per noi. A cominciare dal fatto di riconoscerci esseri viventi grazie all’alito di vita soffiato nelle narici di Adamo plasmato con la polvere del suolo: miseria e dignità dell’uomo, posto nel giardino dell’Eden, dove però tra gli alberi di ogni genere di cui godere c’è anche l’albero della vita, e c’è l’albero della conoscenza del bene e del male. È la nostra condizione di fruitori di beni e di felicità come dono gratuito, ma anche di potenziali rivendicatori e possessori autonomi di tanto bene. In effetti, quello che sembra ci manchi nel godere di quanto ci è dato è potersene appropriare e disporne a proprio piacimento come qualcosa di proprio ed esclusivo, che è la morte. Ed è quello che la voce del Creatore vorrebbe evitare ai Progenitori e a noi stessi, mettendoci sull’avviso. Ma è chiaro che il pericolo di morte è completamente ignorato e disatteso, non sapendo di cosa si tratti, né moralmente né fisicamente. La morte è comunque sempre rimossa!
L’avvertimento è sentito come limitazione e proibizione più che come invito a rimanere in amicizia e gratuità nel comune giardino della vita, tanto più quando l’istinto al dominio e all’accaparramento riceve una spinta dalle insinuazioni del “serpente”, tant’è che solo dopo le sue parole “la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza” e fa così la sua scelta di campo: cambia il suo stesso modo di vedere, qualcosa che si ripete nei secoli, pur sapendo che “per l'invidia del diavolo entrò nel mondo la morte” (Sap 2,24). Se poi vogliamo prendere coscienza di questi accadimenti nella loro verità, ecco le severe Parole del vangelo di Giovanni in risposta a scribi e farisei: “Voi siete figli del diavolo, che è vostro padre, e volete fare i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin dal principio e non si è attenuto alla verità, perché non c'è verità in lui. Quando dice il falso, parla di quel che è suo, perché è bugiardo e padre della menzogna” (Gv 8,44). È la vera insidia in cui possiamo cadere.
Gli effetti negativi della scelta, contraria ai consigli risuonati nel cuore dei Progenitori, vengono indicati in queste parole: “Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi”. Nudi lo erano anche prima, ma il fatto di accorgersene e di patirne, tanto da rimediare come possibile, è il segno di essere diversi, di aver perduto qualcosa di sé e di essere spogliati della loro trasparenza e luminosità: di ritrovarsi esposti, e quindi nel bisogno di nascondersi e di proteggersi. È quello che Paolo dirà in questi termini: “Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” (Rm 3,23). Da cui la nostra attuale condizione e relativo desiderio: “Noi che siamo in questa tenda gemiamo, oppressi; e perciò desideriamo non già di essere spogliati, ma di essere rivestiti, affinché ciò che è mortale sia assorbito dalla vita” (2Cor 5,4). Se ci ritroviamo messi a nudo nonostante tutti i nostri nascondimenti dietro foglie di fico, la possibilità nuova offerta è quella di essere “rivestiti di Cristo” (Gal 3,27). Alla fine, anche le parole del libro della Genesi parlano a noi, ma parlano anche di noi realisticamente e secondo verità, per aprirci gli occhi sulla nostra vicenda umana!
A questo punto, invece di pensare il cammino quaresimale come insieme di pratiche penitenziali, caritative e di pietà (ben vengano ma in contesto di fede e storico più generale), non sarebbe male se come chiesa seguissimo un itinerario e un impegno di riscoperta e di partecipazione al recupero della gloria di Dio perduta attraverso l’uomo Cristo Gesù, per essere rivestiti di lui: a dover cambiare non è solo il nostro comportamento, ma il nostro stesso modo di stare al mondo con o senza fede. È un itinerario che questa volta ha inizio significativamente non in un Eden ma nel deserto, dove Gesù viene portato dallo Spirito per essere anche lui tentato dal diavolo ed essere messo alla prova dopo che nel Giordano aveva ricevuto con lo Spirito la sua investitura messianica. C’è una sorta di contrappasso, e se prima protagonisti erano Adamo ed Eva, ora attore e portatore di salvezza è il Figlio forte del compiacimento del Padre. Come dire che la tentazione è la prova del fuoco per l’uomo e che in partenza è necessario un orientamento deciso con una scelta coerente, per poter ingaggiare la lotta col maligno, che è qualcosa di più serio delle nostre scaramucce psicologiche. Si potrebbe notare che la richiesta di uscire vincitori nella tentazione ed essere liberati dal maligno è alla pari del pane quotidiano e del sentirsi perdonati!
La provocazione nei confronti di Gesù è a far valere l’essere Figlio di Dio per soddisfare la propria fame dopo quaranta giorni di digiuno, passati alimentandosi unicamente della Parola che esce dalla bocca di Dio; o la propria sete di ostentazione e di esibizione religiosa, nella sicurezza che gli angeli stessi verrebbero in soccorso per mettersi al proprio servizio: una vera a propria sfida a Dio, da non mettere però alla prova. Dopo la fame e la sete come bisogni primari dell’uomo, altro punto debole per rivendicare la propria autonomia di fronte a Dio è l’offerta di dominio totale sul mondo, a patto però di adorare “mammona”, appunto come alternativa al Regno di Dio e alla sua giustizia, da ricercare al di sopra di tutto. Si potrebbe dire che tutto il Discorso della montagna che seguirà altro non sia che la versione in positivo di quanto le tentazioni lasciano intuire, e cioè della giustizia e della glorificazione da aspettarsi soltanto da Dio, e non da procurarsi con le proprie mani o ripromettersela dagli altri. Non è qui in fondo il segreto della salvezza, la via segnata verso il Calvario?
Uno sguardo all’immagine del Beato Angelico, dipinta in una cella del Convento di San Marco, ci fa capire ancora meglio che la tentazione entra nella nostra vita, così come in una cella di un frate, e fa parte della nostra esistenza umana e cristiana, ma come prova del Popolo di Dio nelle sue articolazioni, e non solo come incidente personale. Ma è rassicurante il modo in cui Gesù scaccia il tentatore - che tornerà appunto sul Calvario - ed è illuminante il rilievo dato dall’Angelico al fatto che proprio quegli angeli che egli aveva escluso come eventuali soccorritori, ora si presentino per servirlo, offrendogli quel pane e quel vino che prefigurano la futura Eucarestia.
Se ora facciamo attenzione alle parole della lettera ai Romani, ci rendiamo conto che quanto detto fino ad ora ci aiuta a capirne meglio il senso, al tempo stesso in cui il testo ci fa comprendere meglio l’intreccio tra Adamo e tutti gli uomini, tra Adamo e “colui che doveva venire”, tra il nuovo Adamo e noi, qualcosa che si dà al di là della propria consapevolezza e della propria volontà, stante il fatto che “a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte”. La creazione non esiste perché ce lo dice la Bibbia ma perché c’è: e così è per quanto riguarda lo stato del rapporto Dio-uomo, di cui siamo portatori nel male e nel bene: della caduta come della grazia, che è “giustificazione che dà vita”. Se vogliamo ancora riflettere, meditare e pregare, possiamo racchiudere tutto in queste parole rivelative e impegnative: “Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti”. Ed è per questo che per la salvezza si richiede l’”ubbidienza della fede” (Rm 1,5), che è quanto dovremmo rinnovare in tutti i sensi nel cammino quaresimale. (ABS)