21 febbraio 2021 -  I DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO B)

 

Marc Chagall: Noè e l’arcobaleno (1966)

PRIMA LETTURA (Genesi 9,8-15)


Dio disse a Noè e ai suoi figli con lui: «Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi, con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e animali selvatici, con tutti gli animali che sono usciti dall’arca, con tutti gli animali della terra. Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutta alcuna carne dalle acque del diluvio, né il diluvio devasterà più la terra».

Dio disse:
«Questo è il segno dell’alleanza,
che io pongo tra me e voi
e ogni essere vivente che è con voi,
per tutte le generazioni future.
Pongo il mio arco sulle nubi,
perché sia il segno dell’alleanza
tra me e la terra.
Quando ammasserò le nubi sulla terra
e apparirà l’arco sulle nubi,
ricorderò la mia alleanza
che è tra me e voi
e ogni essere che vive in ogni carne,
e non ci saranno più le acque per il diluvio,
per distruggere ogni carne».


SALMO RESPONSORIALE (Sal 24)


Rit. Tutti i sentieri del Signore sono amore e fedeltà.

 

Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza.

Ricòrdati, Signore, della tua misericordia
e del tuo amore, che è da sempre.
Ricòrdati di me nella tua misericordia,
per la tua bontà, Signore.

Buono e retto è il Signore,
indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia,
insegna ai poveri la sua via.

 

 

SECONDA LETTURA (1 Pietro 3,18-22)

Carissimi, Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito. E nello spirito andò a portare l’annuncio anche alle anime prigioniere, che un tempo avevano rifiutato di credere, quando Dio, nella sua magnanimità, pazientava nei giorni di Noè, mentre si fabbricava l’arca, nella quale poche persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo dell’acqua.

Quest’acqua, come immagine del battesimo, ora salva anche voi; non porta via la sporcizia del corpo, ma è invocazione di salvezza rivolta a Dio da parte di una buona coscienza, in virtù della risurrezione di Gesù Cristo. Egli è alla destra di Dio, dopo essere salito al cielo e aver ottenuto la sovranità sugli angeli, i Principati e le Potenze.

 

 

VANGELO (Marco 1,12-15)

 

In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

 

 

 

In altre parole…

 

Chissà quante volte in questi tempi abbiamo sentito dire, anche in ambito ecclesiale: “Niente sarà più come prima”. Quasi rivivessimo il dramma del Diluvio universale, ma

non con quella consapevolezza che ci richiederebbero queste parole: “Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell'arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del Figlio dell'uomo” (Mt 24,37-39).

 

A guardare il dipinto di Chagall verrebbe da dire quasi che tutto sarà meglio di prima, grazie alla visione di speranza che ispira, quasi il sogno messianico di una nuova creazione, un futuro esodo di liberazione, la promessa di un redentore. Il seme della salvezza gettato nel cuore dei progenitori trova nella narrazione del Diluvio un suo momento chiave che si proietta fino ai nostri giorni.

 

Non a caso diciamo diluvio “universale”, per la risonanza simbolica che l’evento biblico ha sul mondo e sulla storia umana. Ma se ora viene rievocato per noi ad inizio Quaresima 2021, non possiamo non chiederci quale riflesso esso abbia sulla chiesa in genere, e in particolare in questo tempo di pandemia e per il dopo-pandemia. Cosa non sarà più “come prima” nel nostro modo di essere chiesa? Dobbiamo continuare a raccontarcelo o a farlo credere dall’alto delle nostre posizioni di potere?

Questo “prima” che deve cambiare è esattamente ora, è ogni momento analogo a quello in cui “l'Eterno vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra” (Gn 6,5), fino ad arrivare a questa determinazione: “Io sterminerò di sulla faccia della terra l'uomo che ho creato… Ma Noè trovò grazia agli occhi dell'Eterno” (Gn 6,7-8). Di qui la sua storia, che porterà Dio stesso al ripensamento e a dire: “Pongo il mio arco sulle nubi, perché sia il segno dell’alleanza tra me e la terra”. Quanto all’origine era dichiarato “cosa buona” non poteva venir meno per cause esterne o incidenti di percorso. È questa la strada stretta da imboccare, senza dilazioni!

Dopo il diluvio niente era più come prima, ma questo proprio grazie al diluvio, che si poteva anche cercare di scansare ed arginare, ma che sarebbe rimasto sempre una minaccia sospesa: se non ci fossero stati un nuovo inizio e una rigenerazione effettiva anche il diluvio sarebbe rimasto puro evento meteorologico, e non avrebbe portato a nessuna rinascita interiore. Il problema infatti non era solo assicurarsi una qualche sopravvivenza, ma ritrovare la radice e i legami di una nuova esistenza, cosa di cui sembra ci sia sempre bisogno.

 

E questo è possibile perché in primo piano torna la volontà creatrice di un Dio che è fedele a se stesso e alla sua promessa, e che dice: “Quando ammasserò le nubi sulla terra e apparirà l’arco sulle nubi, ricorderò la mia alleanza che è tra me e voi”.  Ma è possibile anche perché c’è un giusto, Noè, che si presta a questa opera di salvezza e consente di ristabilire questo patto! Teniamo conto di tutto questo – e di quanto si richiederebbe - quando diciamo che niente sarà più come prima? O ci contentiamo di pensare ad adattamenti rituali tipo scambiarsi il segno della pace con uno sguardo invece che dandosi la mano?

 

Perché si tratta sempre di una prova, da cui uscire trasformati e in qualche modo risorti. In questo senso la madre di tutte le prove o tentazioni è quella della Croce, a cominciare dal deserto, dove Gesù è sospinto dallo Spirito ma al tempo stesso è tentato da Satana: non un episodio ma una condizione, i cui estremi sono lo Spirito e Satana in conflitto continuo tra loro. Sono i termini in cui si sviluppa il nostro cammino quaresimale, come partecipazione a questa lotta aperta interna al Regno di Dio che subisce violenza e che richiede da noi altrettanta violenza  per entrarci.

Il riferimento che Marco fa a Giovanni in carcere ce lo dimostra e ci ricorda che è in gioco la vita. Mentre Paolo avverte che “la nostra battaglia non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti” (Ef 6,12). Forse abbiamo addomesticato il senso della quaresima, dell’ascesi, della penitenza e della conversione, riducendo tutto a pratiche peraltro anch’esse in via di sparizione, mentre rimane alquanto svilito l’appello a convertirsi e credere al vangelo.

Siamo entrati nel vivo di questa avventura, in quanto il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino. Ed è così che la prova di Gesù ci coinvolge e passa a noi: appunto come vangelo di Dio, che è sì buona notizia e arcobaleno sul mondo, ma è anche pioggia abbondante che cade su case costruite sulla sabbia e che vanno in rovina: ci vogliono case costruite sulla roccia e ci vuole qualche Noè che prepari un’arca di salvezza.

Se questi sono i punti di forza del messaggio biblico, e se questo è il senso pasquale della quaresima, non si capisce perché una chiesa chiamata a vivere questo “tempo forte” ci giri intorno con le tante suggestive pratiche penitenziali, senza mettere a fuoco il centro stesso della sua vita, il vangelo del Regno e il mistero della Croce. Per la verità, è a questa dimensione di fede, speranza e carità che ci riporta il messaggio di Papa Francesco per la Quaresima. C’è da chiedersi però se non dovrebbe innestarsi qui anche il suo appello alla Chiesa italiana ad attivare un processo “sinodale” di cambiamento “comunità per comunità”. Perché tenere separato il cammino penitenziale della quaresima da quello che la chiesa deve fare nella storia, come se riguardassero sfere diverse del Popolo di Dio, quella spirituale e liturgica e quella esistenziale e storica?

In questo senso siamo riportati a Noè e alla sua storia come prefigurazione della vocazione e missione del Popolo di Dio nel mondo: di una chiesa che sia interlocutrice di alleanza e arca della salvezza in ogni “diluvio universale” in tutti i tempi, compreso quello che stiamo vivendo. Non a caso la lettera di Pietro ci riporta a “quando Dio, nella sua magnanimità, pazientava nei giorni di Noè, mentre si fabbricava l’arca, nella quale poche persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo dell’acqua”. E se Noè è stato il giusto con cui poter stabilire l’alleanza, Cristo è il giusto morto per gli ingiusti per ricondurci a Dio, colui che “nello spirito andò a portare l’annuncio anche alle anime prigioniere, che un tempo avevano rifiutato di credere”. Non fa pensare tutto questo, per poterci rendere conto di come vanno le cose nei disegni di Dio?

Se da una parte il “diluvio” è il simbolo del pericolo e di morte, è vero anche che si è salvati “per mezzo dell’acqua”, quella che ora, come immagine del battesimo, “salva anche noi come invocazione di salvezza rivolta a Dio da parte di una buona coscienza”. E tutto questo “in virtù della risurrezione di Gesù Cristo”, in quanto “messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito”.  È questa la realtà di fondo della nostra fede, quella che dovrebbe emergere come ancora di speranza e di salvezza per il mondo intero.

Bisognerebbe che la chiesa fosse centro di irradiazione e di emanazione del “profumo di Cristo” (2Cor 2,15) e non fosse più a compartimenti stagni, una sorta di armonia prestabilita tra monadi non comunicanti. Per quanto solo spiritualmente e in diaspora, è questo il senso di marcia che vogliamo dare a questi nostri incontri “alla mensa della Parola”. Nel nostro piccolo e in tutta la nostra invisibilità, che ci sia dato di essere e di sentirsi comunità in sinodo: in movimento, in ricerca, in crescita, in uscita, in comunicazione! Tutto questo non può non diventare preghiera. (ABS)


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