1 marzo 2020 - I DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO A)

 

Masolino da Panicale: La Tentazione di Adamo ed Eva (1424-25)

PRIMA LETTURA (Genesi 2,7-9; 3,1-7)

Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.

Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male.

Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino”?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male».

Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.

 

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 50)


Rit. Perdonaci, Signore: abbiamo peccato.

 

Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro.

Sì, le mie iniquità io le riconosco,
il mio peccato mi sta sempre dinanzi.
Contro di te, contro te solo ho peccato,
quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto.

Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Non scacciarmi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito.

Rendimi la gioia della tua salvezza,
sostienimi con uno spirito generoso.
Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode.

 

 

SECONDA LETTURA (Romani 5,12-19)


Fratelli, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato.

Fino alla Legge infatti c’era il peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la Legge, la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire.

Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio, e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti. E nel caso del dono non è come nel caso di quel solo che ha peccato: il giudizio infatti viene da uno solo, ed è per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute, ed è per la giustificazione. Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo.

Come dunque per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita. Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti.

 

 

VANGELO (Matteo 4,1-11)

In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”».

Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».

Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».

Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

 

 

In altre parole…

Una delle parole più frequenti di questi giorni è senz’altro “quarantena”, che suona come speranza di guarigione o come salvaguardia dal contagio del male. Il suo significato quasi magico deriva dal valore simbolico dei “40 giorni” in senso biblico, che poi danno il nome al periodo liturgico della “Quaresima”, in cui entriamo proprio in questa domenica.

Non siamo certo in una civiltà e in una cultura sensibili a queste connessioni ideali o significati spirituali; sta di fatto che una riflessione sulla condizione umana e sulla fragilità sociale nessuno può risparmiarsela, e non sarebbe male se tutta la chiesa potesse farsi voce e guida credibile per le coscienze in questo momento: perché l’umanità potesse ritrovare il senso della vita e la conoscenza del bene e del male, ora che si riscopre ancora una volta collettivamente nuda e mortale.

Se questo modo di esprimersi è comprensibile e accettabile, possiamo dire che è lo stesso linguaggio del libro della Genesi che ci aiuta a decifrare il mistero dell’esistenza e della storia umana sospesa tra la vita e la morte. Adamo ed Eva che si scoprono nudi e fanno ricorso alle classiche “foglie di fico” per farsene cinture e coperture, non sono che l’icona della nostra umanità di sempre: dell’uomo di carne privo dello spirito, confinato dentro la propria pelle e abbandonato a se stesso, in rotta con tutto e con tutti, tagliato fuori da ogni comunicazione, in preda alla inimicizia.  Con loro nasce la vergogna con l’istino a nascondersi e fuggire dalle proprie responsabilità.

 

Perché tutto questo, e perché una condizione così precaria per l’uomo divenuto essere vivente col soffio dell’alito di vita di quel Signore che lo aveva plasmato con polvere del suolo? Per questi Adamo ed Eva, che siamo noi tutti, “il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente” perché vivessero felici; ma si ritrovano cacciati da quello che chiamiamo “paradiso terrestre” con “ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare”, gettati per sempre in un mondo infido e inospitale. Una storia di sempre e di tutti che richiede attenzione e deve portare ad una presa di coscienza.

 

Non tutto è però definitivo in questo Eden, in cui rimane aperta la collocazione dell’uomo rispetto agli alberi e agli animali selvatici che Dio aveva fatto. Come ci mostra l’immagine di Masolino sono gli alberi e gli animali a parlare, o meglio a rappresentare quanto suggeriscono al cuore dell’uomo. A cominciare dal sospetto che Dio voglia essere l’unico padrone supremo di tutto, ad esclusione dell’uomo. La precisazione della donna dice che no, possono mangiare dei frutti degli alberi del giardino, senza però disporne in assoluto come unici proprietari, pena morirne!

 

Ma anche qui c’è spazio per l’autoinganno davanti al frutto proibito, perché sembra che voglia essere impedito loro di essere al pari di Dio, che è la vera ambizione e tentazione, perché Dio sa - ecco l’insinuazione - che “il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male”. Di fatto c’è questa conoscenza del bene e del male, ma solo come vittime e non come dominatori. È quando il dono di Dio è inteso e recepito come limite alla propria libertà, pronta a lanciare la sfida della disobbedienza alla sua parola, per ritrovarsi appunto nudi e alla ricerca di qualche copertura e giustificazione, che restano però foglie di fico!

 

C’è un qualche rimedio a questa condizione originaria dell’uomo, che non siano solo foglie di fico? Necessariamente, il rapporto dell’uomo con Dio consente un linguaggio simbolico e mitico: il guaio è che per noi sia diventata simbolica e mitica la realtà che esso biblicamente rivela, tant’è che parlare di paradiso terrestre, di peccato originale, di salvezza o altro non fa che evocare un immaginario catechistico senza senso. È il pericolo che corre anche la narrazione evangelica delle tentazioni di Gesù, che viene riproposta appunto in parallelo e come antidoto alla caduta di Adamo ed Eva: vuole darci il senso dell’opera messianica di Gesù di rimettere l’uomo in piedi davanti a Dio, ma poi scade ad insegnamento moralistico.

 

Quel deserto in cui fu condotto dallo Spirito per essere tentato dal diavolo e quei quaranta giorni di digiuno non sono altro che tutta la sua esistenza di lotta contro l’inganno religioso in cui l’uomo si trova, magari nel fraintendimento della Parola di Dio. A ben guardare, il tentatore si avvale della Scrittura per farlo recedere dal messianismo perdente da “servo di Dio” e renderlo attore di un messianismo vincente da dominatore, riportando all’assoluta Signoria di Dio rispetto al suo asservimento per ragioni di autoaffermazione.

 

Una volta stabilito questo – che è lo scopo della sua esistenza – poi possiamo anche pensare al deserto, al digiuno e a tutte le altre pratiche per sconfiggere il tentatore di ogni giorno, a cui possiamo pensare quando diciamo “liberaci dal male”. Un’annotazione a margine di questa narrazione la possiamo fare riguardo alle modalità di attacco alla sua coscienza di “Figlio di Dio”: in primo luogo come sfida a questa sua dignità, come provocazione a servirsi di Dio; poi  portandolo “nella città santa, sul punto più alto del tempio“ come presunzione di asservimento spettacolare di Dio; infine situandolo su “un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria” – precisamente il suo regno – offrendo tutto in cambio dell’adorazione verso di lui. È l’invito a tradurre in potere temporale il suo compito messianico, invito respinto regolarmente al mittente, mentre al Regno di Dio e alla sua giustizia è rivendicato il primo posto.

 

Queste tentazioni non sono fatti episodici o esemplificazioni da imitare, ma sono la struttura stessa del Popolo messianico di Dio e quindi di ogni chiesa nel mondo: e se all’origine c’era un margine di caduta e di condanna, peraltro non evitata dall’uomo di terra Adamo - “figura di colui che doveva venire” – nell’“uomo Gesù Cristo” c’è un “dono di grazia”, “dono della giustizia”, “giustificazione, che dà vita”: nuovo rapporto di rinnovata amicizia tra  Dio e l’uomo, nuovo ordine di cose nella storia della salvezza. 

 

Più che spiegarlo, dobbiamo leggere e rileggere il testo di Paolo per entrare in questo mistero salvifico, che possiamo racchiudere nelle parole di chiusura: “Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti”. In gioco c’è l’obbedienza nell’ascolto di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio: “obbedienza alla fede” (Rm 1,5), “obbedienza e accettazione del vangelo di Cristo” (2Cor 9,13), “rendendo ogni intelligenza soggetta all'obbedienza al Cristo” (2Cor 10,5).

 

Quanto sarebbe necessario riportare l’esistenza cristiana e la vita delle chiese su questi binari, uscendo dalle sabbie mobili dell’approssimazione, dalle abitudini mentali, da pragmatismi pastorali che forse ci mettono al riparo da tentazioni forti, ma che ci lasciano nel ristagno.  Deve servire ad altro una quaresima? (ABS)


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