19 marzo 2023 - IV DOMENICA DI
QUARESIMA - LAETARE (ANNO A)
Angelo Trevisani: La guarigione del cieco nato (1715-1720)
Venezia, Chiesa di San Francesco della Vigna (Capella Badoer-Surian)
PRIMA LETTURA (1
Samuele 16,1.4.6-7.10-13)
In quei giorni, il Signore disse a Samuele: «Riempi d’olio il tuo corno e parti. Ti mando da Iesse il Betlemmita, perché mi sono scelto tra i suoi figli un re». Samuele fece quello che il Signore gli aveva comandato. Quando fu entrato, egli vide Eliàb e disse: «Certo, davanti al Signore sta il suo consacrato!». Il Signore replicò a Samuele: «Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore». Iesse fece passare davanti a Samuele i suoi sette figli e Samuele ripeté a Iesse: «Il Signore non ha scelto nessuno di questi». Samuele chiese a Iesse: «Sono qui tutti i giovani?». Rispose Iesse: «Rimane ancora il più piccolo, che ora sta a pascolare il gregge». Samuele disse a Iesse: «Manda a prenderlo, perché non ci metteremo a tavola prima che egli sia venuto qui». Lo mandò a chiamare e lo fece venire. Era fulvo, con begli occhi e bello di aspetto.
Disse il Signore: «Àlzati e ungilo: è lui!». Samuele prese il corno dell’olio e lo unse in mezzo ai suoi fratelli, e lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi.
SALMO RESPONSORIALE (Salmo 22)
Rit. Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.
Il
Signore
è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.
Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.
Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.
SECONDA LETTURA (Efesìni
5,8-14)
Fratelli, un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità.
Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente. Di quanto viene fatto in segreto da [coloro che disobbediscono a Dio] è vergognoso perfino parlare, mentre tutte le cose apertamente condannate sono rivelate dalla luce: tutto quello che si manifesta è luce. Per questo è detto:
«Svégliati, tu che dormi,
risorgi dai morti
e Cristo ti illuminerà».
VANGELO (Giovanni 9,1-41)
In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i
suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i
suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha
peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate
le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi
ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può
agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto
questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il
fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella
piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e
tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto
prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che
stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»;
altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva:
«Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati
aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha
fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: “Va’
a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato
la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo
so».Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un
sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva
aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo
come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo
del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni
dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non
osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore
compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro.
Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal
momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un
profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco
e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori
di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È
questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai
ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è
nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo
sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo.
Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i
suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei
avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il
Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori
dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».
Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».
In altre parole…
Questa nostra “Liturgia della Parola”, vissuta nell'esistenza quotidiana più che in ambito celebrativo, non guarda alla spiegazione esegetica dei testi, né si limita a cogliere qualche versetto per applicazioni spirituali o discussioni di attualità ecclesiale. Siamo semplicemente in ascolto e in comunicazione di quanto le letture proposte hanno voluto dire in tempi diversi e possono suggerirci anche oggi per il cammino di Popolo di Dio ai nostri giorni. Ed è con questo obiettivo che bisogna misurarsi!
Forse solo se ci sentiamo e ritroviamo incamminati in una ricerca ed esperienza di fede personale ed ecclesiale, queste “altre parole” possono esserci di aiuto: solo se siamo orientati e sintonizzati in questo senso, possiamo comunicare in spirito e verità e dare vita ad un “corpo spirituale” di cui sentirsi membra! Ma deve essere chiaro per tutti che a questo scopo non si richiede un aumento di conoscenza in quanto tale (che è sempre un mezzo), quanto piuttosto una maturazione di coscienza e crescita di personalità come credenti, senza altre qualifiche confessionali, spirituali o di appartenenza! Davanti ai nostri occhi deve rimanere sempre “l'uomo Cristo Gesù” (1Tm 2,5) nella sua interezza.
Attraverso la narrazione del libro di Samuele ci viene fatto comprendere come e dove avvengono le scelte messianiche di Dio per portarci alla salvezza, perché egli non guarda all’aspetto e alla statura, “perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore”. Magari portando alla luce quanto sfugge ai più o quanto è scartato in partenza da valutazioni convenzionali. Diciamoci francamente se questo modo di guardare non sarebbe necessario anche per i nostri giorni, e se una scelta di Dio per il suo Popolo non sia in atto là dove il nostro sguardo non arriva, e là dove noi magari guardiamo ad altro.
Anche la lunga e dettagliata narrazione evangelica ci riporta all’opera di Dio dentro le nostre vicende umane: un racconto estremamente emblematico e rivelativo di cui possiamo senz’altro farci interpreti diretti nel quadro della situazione attuale della chiesa e del mondo, e cioè della fede nella storia. Siamo anche noi in strada alla sequela di Gesù (anche senza far parte di gruppi sinodali!), lontani da preoccupazioni religiose e teologiche di maniera, con il nostro bagaglio umano e di speranza: è lui, quel Gesù che seguiamo, a notare un “cieco nato”, simbolo di tutte le carenze fisiche e inferiori di cui soffriamo. Uno sguardo compassionevole, il suo, che è occasione propizia per i discepoli di avanzare la questione della correlazione male-peccato, intesa tradizionalmente come segno di un Dio guardiano e punitivo, da cui nascondersi e di cui aver paura come nell’Eden. Questione sempre aperta, che ha dato adito ad una specifica riflessione filosofico-teologica detta “teodicea”.
La risposta che Gesù ci dà - perché è sempre questa la visione dominante – non è nella linea della tradizione, ma semplicemente il fatto che nel caso specifico del cieco nato si “siano manifestate le opere di Dio” e le sue scelte. Ed eccolo allora intervenire nel tempo propizio a ridare la luce degli occhi al cieco, non senza aver presentato se stesso come “la luce del mondo”, la vera realtà rispetto ai segni. Per cui, a partire dalle controversie pubbliche più o meno sincere o strumentali intorno ad un evento del tutto insolito – un cieco dalla nascita che comincia a vederci - si passa all’eterno interrogativo e confronto sulla persona stessa di Gesù: da colui che compie le opere per le quali è stato mandato, a chi ha piena coscienza di essere l’assoluta ed esclusiva opera di Dio a cui credere: la nuova ed eterna presenza di Dio nel mondo attraverso il suo Popolo.
A contrapporsi a questa realtà sono quanti hanno sì il dono della vista fin dalla nascita, ma al tempo stesso presumono di vedere tutto e devono difendere le loro sicurezze e il loro potere disconoscendo e mettendo sotto accusa chi dice di operare prodigi in nome di Dio, magari per difendere il “sabato” e ogni sistema religioso. Quando si è in malafede, il dibattito si espone al ridicolo e all’ironia. Ma dobbiamo anche dirci che un dibattito non solo è consentito, ma sarebbe necessario, anche per uscire dalle sabbie mobili di una fede fantasma e senza corpo, esposta al dileggio dei benpensanti: una fede che appare come facile credulità invece che come capacità di scrutare l’invisibile aperti alla possibile opera di Dio: quando al cieco viene detto di andare a lavarsi nella piscina di Siloe, non è perché sia lì la fonte del miracolo, ma è solo per saggiare la sua disponibilità all’opera di Dio a suo favore!
Il necessario salto di qualità da fare, per passare dalle azioni singole di Gesù a lui in persona come “opera di Dio” per la salvezza di tutti, è anche in questo caso come in quello della samaritana al pozzo, quando questa donna si sente dire: il Messia che dovrà insegnare ogni cosa “sono io che ti parlo”. Questa volta, quando Gesù incontra di nuovo il cieco cacciato fuori dal Tempio non lascia tempo in mezzo e lo interpella personalmente: “Tu, credi nel Figlio dell’uomo?”. Sulla falsariga della Samaritana, anche lui chiede: “E chi è, Signore, perché io creda in lui?”. Per sentirsi rispondere: “Lo hai visto: è colui che parla con te”. “Lo hai visto”: il passaggio dalla luce degli occhi alla luce della fede si ripropone in perfetta continuità. Siamo soliti ripetere che la fede è un dono, lasciando pensare a qualche irruzione interiore: sì, è un dono, ma come lo è l’amicizia, che nasce sul terreno della nostra esistenza e che ci trasferisce ad un ordine di rapporti esistenziali diversi, magari attraverso inevitabili prove di coerenza e di fedeltà!
In questo senso siamo tutti ciechi nati, e non sarebbe male se colui che è inviato alla piscina di Siloe diventasse il nostro modello di credente, cacciato fuori dal Tempio, ma arrivato all’incontro faccia a faccia e di fede col Figlio dell’uomo: “«Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui”. Le conseguenze di questa storia è Gesù stesso a tirarle, quando dice che è per un giudizio che egli è venuto in questo mondo: è per essere lui stesso motivo di “crisi” e di decisione in quanto “segno di contraddizione”, qualcosa che non si esaurisce in un semplice esame di coscienza individuale, ma postula una radicale ristrutturazione della coscienza cristiana, dove lui in persona sia segno e garanzia dell’opera di Dio, che è “credere in colui che egli ha mandato” (Gv 6,29).
Tutto sulla base di questo drastico criterio di sovvertimento, “perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi”: perché ai ciechi per nascita sia dato di vedere, mentre quanti presumono di vedere di luce propria si ritroveranno di fatto ciechi. Sorte che tocca ai farisei che sono sempre intorno a lui indotti a chiedersi se siano da ritenersi ciechi anche loro. La sentenza di Gesù a loro riguardo non può essere più tagliente: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane”. Non dovremmo preoccuparci tanto del fatto di essere ciechi, quanto piuttosto della sicurezza di vederci, sia in senso laico che religioso. Diventa più chiara la risposta di Gesù alla domanda dei discepoli sul rapporto male-peccato: “Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio”.
In questo senso, sta a ciascuno cogliere dalle parole di Paolo agli Efesini quanto è costitutivo della identità e personalità cristiana, quando dice che un tempo eravamo tenebra, ma ora luce nel Signore: c’è un invito a compiere il passaggio dalle figure alla realtà profonda dell’esistenza di fede – “nel Signore” – al di là dei “segni”. Qualcosa di cui dobbiamo assolutamente diventare consapevoli è che ci difetta una capacità e volontà di “giudizio” e di verità che vada oltre le apparenze e ci faccia guardare al cuore, mentre rimaniamo chiusi e appagati entro il perimetro dell’immaginario, dell’immediato, del sensazionale, dell'emotività, dell’estetismo, dello spiritualismo e del pietismo. Dal punto di vista storico si deve dire che mentre si è ricostituita la “scena” ecclesiale di sempre sul piano delle forme e della visibilità, abbiamo in realtà una chiesa sempre meno significativa e incisiva in termini di luce per l’umanità e per il mondo: una chiesa velleitaria, ripiegata su se stessa e nel proprio autocompiacimento! (ABS)