18 dicembre 2022 - IV DOMENICA DI AVVENTO (ANNO A)

 

Giovanni Battista Caracciolo (detto il Battistello): San Giuseppe e Gesù Bambino (1620 - 1630)

Venezia, Collezione privata

 

 

PRIMA LETTURA (Isaia 7,10-14)

In quei giorni, il Signore parlò ad Acaz: «Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto».

Ma Àcaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore».

Allora Isaìa disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele».



SALMO RESPONSORIALE (Salmo 23)


Rit. Ecco, viene il Signore, re della gloria.

 

Del Signore è la terra e quanto contiene:
il mondo, con i suoi abitanti.
È lui che l’ha fondato sui mari
e sui fiumi l’ha stabilito.

Chi potrà salire il monte del Signore?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non si rivolge agli idoli.

Egli otterrà benedizione dal Signore,
giustizia da Dio sua salvezza.
Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe.

 

SECONDA LETTURA (Romani 1,1-7)

Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio – che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore; per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome, e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo –, a tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo!

 

VANGELO (Matteo 1,18-24)

Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.

Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».

Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”.

Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

 

 

In altre parole

 

Si stenta a prendere atto che Natale è sempre più – e sembra definitivamente – una pratica che si sta svuotando anche in senso sociologico e umanitario, mentre religiosamente rimane pratica obbligata quasi priva del tutto di soggetti e interpreti.  In questo clima di insignificanza, tentiamo di far rivivere in noi la perenne speranza messianica, che si è affacciata ai primordi del tempo con le parole di Genesi 3,15: “Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno”. Ed è su questo conflitto permanente e carsico che si sviluppa la narrazione biblica, in cui il passo del profeta Isaia segna uno di quei momenti in cui questa speranza è messa alla prova e fa il suo corso. Ed è quanto ci interessa cogliere per poter partecipare a questo inarrestabile processo come Popolo messianico ai nostri giorni.

Il re di Giuda, Achaz, sotto aggressione di popoli nemici è invitato dal Profeta a fare attenzione e a stare tranquillo: a non temere e a non  abbattersi, perché “così dice il Signore Dio: Ciò non avverrà e non sarà!” (Is 7,7). Ed è allora che Isaia pronuncia le parole tanto decisive - “Ma se non crederete, non avrete stabilità” (ib.9) - che mettono alla prova Acaz, tentato di cercare aiuto in popoli amici, ma che fissano un criterio di vita più che mai valido. Dove si dimostra che la necessità del credere per rimanere saldi e sicuri, non è qualcosa di avulso da contesti storici ed esistenziali, ma attraversa le nostre situazioni come motivo di stabilità e di salvezza. Ma quanto questo principio è presente nella stessa coscienza di una “comunità di credenti”, che vive di una fede indotta e convenzionale, e non invece in prima persona?

Acaz non se la sente di fidarsi delle rassicurazioni di Isaia, e quando il Signore per bocca del profeta lo invita a chiedere un segno, egli non fa altro che mascherarsi  ipocritamente dietro un falso rispetto di lui, da non tentare. Ma è qui che scatta la sfida del Signore al re e a tutto il suo popolo, rinnovando in maniera inaspettata la sua inesaurita volontà di intervenire e dare salvezza, dando un segno che sfida i secoli e che troverà compimento in questi precisi termini: “Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele”.

Ma anche quando questo avverrà sarà un momento di prova e si riproporrà la sfida del credere: di vivere grazie alla Parola di Dio e non più di vita propria! È il momento in cui la sfida ad Acaz per bocca del profeta prende corpo e la speranza messianica trova compimento. E questo avviene non solo per la totale docilità di Maria che si presta al farsi carne della Parola, ma insieme per la silenziosa disponibilità di Giuseppe suo sposo nel fare come gli aveva ordinato l’angelo e prendendo con sé la sua sposa. Non possiamo limitarci al semplice racconto fattuale, ma dobbiamo cercare di cogliere il mistero di questo “uomo giusto” attraverso cui si attua il disegno di Dio nella storia, come già attraverso Abramo.

Certamente non riusciremmo a calcolare le immagini di maternità di Maria col bambino, mentre è una rarità l’immagine di paternità di Giuseppe come riportata sopra, non meno significativa ma complementare nel prestare fede all’azione unitaria dello Spirito in lui e nella sua sposa Maria: perché conosciamo solo la vergine Maria e meno la sposa Maria, come se fosse un dettaglio accessorio? Magari consideriamo Giuseppe modello di nascondimento e di umiltà, ma difficilmente lo vediamo inserito nel quadro del disegno messianico di salvezza come sposo di Maria e padre di Gesù, che peraltro era a lui sottomesso in quanto tale.

A parte assicurare per via dinastica la discendenza davidica col ritorno a Betlemme, non possiamo ignorare la prova di quest’uomo che per strane ragioni si vede interrotto il sogno di promesso sposo di Maria, e questo senza ribellione e senza ritorsioni da parte sua, ma defilandosi e lasciando aperte tutte le possibilità: dove un forte sentimento umano viene a confliggere con piani divini tutti da verificare. A lui è negato anche un confronto diretto come per Maria con l’angelo con la possibilità di pronunciarsi. Il suo dramma si scioglie nella ulteriore incertezza di un sogno, in cui viene rassicurato nel suo intento di prendere Maria come sua sposa, perché effettivamente il “bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo” e a lui è affidata la responsabilità di dare un nome al figlio che ella darà alla luce. A lui tutta la facoltà di chiamarlo Gesù, perché “egli salverà il suo popolo dai suoi peccati”, il mistero in cui è pienamente coinvolto.

Egli è intimamente partecipe nella nascita di questo figlio, con un ruolo non di semplice copertura ma di paternità a tutti gli effetti: alla stessa maniera in cui in tutta consapevolezza e non solo in apparenza decide di prendere con sé la sua sposa, per condividere in tutto e per tutto con lei una esistenza di fede messa costantemente alla prova. È questa la sua risposta silenziosa di uomo giusto, che rivela una qualità e dimensione di fede a cui bisognerebbe saper tornare, per ritrovare il senso messianico del nostro cammino di Popolo di Dio nella storia, perché sbaglieremmo a pensare che si tratti di prerogative personali di Giuseppe e non invece di un passaggio rivelativo di come vivere l’avvento del Messia Gesù: se il Verbo di Dio si fa carne attraverso Maria, si può dire che egli abita tra noi e fa parte della umana famiglia grazie a Giuseppe!

Non basta cioè fare di lui un modello di virtù a sfondo personale, se non diventa motivo di conversione: e come riconosciamo Abramo “nostro Padre” nella fede, forse dovremmo dire anche di Giuseppe “nostro padre” nel credere, e nel prestarsi incondizionatamente al disegno di Dio in atto sugli uomini. Non a caso lo consideriamo “Patriarca”. Ma è incredibile come eventi così decisivi ed emblematici della storia della salvezza, veri drammi di vita e di fede, siano ormai sbiaditi stereotipi o immagini oleografiche di devozione. Non sarebbe male disinserire il Patriarca Giuseppe dal contesto ecclesiale e di spiritualità in cui lo abbiamo collocato, per farne invece un punto di riferimento e di forza  per una chiesa meno sacrale e cultuale e più umana e storica: una chiesa della fede prima che una fede della chiesa!

Se poi vogliamo i parametri per un simile tipo di chiesa - per gli uomini o dei Gentili prima che per se stessa – ecco l’esordio della lettera ai Romani ad indicarceli in maniera inequivocabile: è il vangelo di Dio che riguarda il Figlio suo, “nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità”. E in questa linea davidica non possiamo non ritrovare Giuseppe e la sua grandezza! Ed è ancora “la grazia di essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti”.

Non si vede quale altra ambizione potremmo avere come chiesa storica, se non quella di riportare in primo piano e rimettere al centro questa vocazione apostolica, sospesa tra l’annuncio del vangelo di Dio e il suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti. Sì, formalmente è quello che si dice, ma sembra che gli obiettivi e gli interessi siano poi di altro genere. E per riportare le cose alle loro giuste proporzioni non ci dovrebbe essere bisogno di operazioni aggiuntive ad hoc, ma basterebbe operare in tal senso all’interno della propria esperienza di fede e nell’ambito della Liturgia della Parola e quindi della Liturgia eucaristica. Abbiamo mai pensato a come e dove Maria e Giuseppe hanno vissuto la loro obbedienza di fede alla Parola? (ABS)


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