5 marzo 2023 - II
DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO A)
Lorenzo Lotto: Trasfigurazione (1510-1512)
Recanati, Museo civico di Villa Colloredo Mels
PRIMA LETTURA (Genesi 12,1-4)
In
quei giorni, il Signore disse ad Abram:
«Vàttene dalla tua terra,
dalla tua parentela
e dalla casa di tuo padre,
verso la terra che io ti indicherò.
Farò di te una grande nazione
e ti benedirò,
renderò grande il tuo nome
e possa tu essere una benedizione.
Benedirò coloro che ti benediranno
e coloro che ti malediranno maledirò,
e in te si diranno benedette
tutte le famiglie della terra».
Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore.
SALMO RESPONSORIALE (Salmo 32)
Rit. Donaci,
Signore, il tuo amore: in te speriamo.
Retta
è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
Egli ama la giustizia e il diritto;
dell’amore del Signore è piena la terra.
Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.
L’anima nostra attende il Signore:
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
Su di noi sia il tuo amore, Signore,
come da te noi speriamo.
SECONDA LETTURA (2Timoteo 1,8b-10)
Figlio mio, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo. Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia. Questa ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità, ma è stata rivelata ora, con la manifestazione del salvatore nostro Cristo Gesù. Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo.
VANGELO (Matteo 17,1-9)
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».
All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».
In altre parole…
Nel deserto delle tentazioni Gesù viene portato da satana su un alto monte, perché vedesse quanto gli avrebbe concesso nel caso si fosse prostrato a lui: se cioè avesse scelto mammona invece che il Regno di Dio. Ora è Gesù stesso a portare tre dei suoi in disparte su un alto monte, dopo aver fatto presente ai discepoli il suo itinerario di passione verso Gerusalemme, e dopo aver dovuto vincere un’altra tentazione, questa volta da parte di Pietro apostrofato come “satana”. Sul monte, mentre si manifesta nella sua luce di Figlio amato, e quando il suo volto brillerà di gloria come quello di Mosè nel Sinai, egli converserà con i due testimoni dell’antico Patto - Mosè con Elia - su quanto aveva poco prima fatto presente ai discepoli a proprio riguardo: quella che chiamiamo la sua trasfigurazione non è altro che un passo avanti nella linea del suo Battesimo nel Giordano e nella prospettiva del Battesimo che si aspetta di ricevere in maniera definitiva sul Calvario. A cui egli guarda e a cui vuole preparare anche i suoi.
Ecco perché è al tempo stesso un passo avanti nella iniziazione dei discepoli al credere come coinvolgimento alla sua stessa vicenda e al suo “mistero”, che ancora una volta la voce dalla nube luminosa rivela. Per la verità, a fare questa esperienza sono solo tre discepoli, che peraltro sono invitati a tacere su questa loro visione; ma questo non impedirà che la testimonianza faccia poi il suo corso e questo fatto abbia tutto il suo rilievo nella economia della comunità dei credenti, quanto alla maturazione della loro fede, prima ancora che alla glorificazione di Gesù. Nel suo sbigottimento e nel suo facile entusiasmo, Pietro propone di fissare quel momento e di consumare lì la tradizionale festa delle capanne, ispirandosi quindi al passato. L’invito però è a guardare in avanti e a non avere paura, e sarà poi proprio Pietro a dirci quale secondo lui è stato il frutto di quella esperienza, che pertanto è significativa anche nel nostro itinerario di fede.
Ecco come nella sua prima lettera (1,16-19) Pietro fa tesoro di questa singolare esperienza, che ripropone anche a noi per un avanzamento nella nostra sequela di Cristo: “Infatti, non per essere andati dietro a favole artificiosamente inventate vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. Egli ricevette infatti onore e gloria da Dio Padre quando dalla maestosa gloria gli fu rivolta questa voce: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto». Questa voce noi l'abbiamo udita scendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte. E così abbiamo conferma migliore della parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l'attenzione, come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori”. Se vogliamo un esempio e una linea di conversione, queste parole ci prospettano una via luminosa da seguire: fare attenzione alla voce che viene dal cielo, e che è la conferma migliore della parola dei profeti! Dove un passaggio di testimone da Mosè ed Elia al Figlio prediletto è ben evidenziato e rimane sempre da ripetere.
Ma sappiamo che tutto ha inizio da Abramo, nel quale e grazie al quale avviene questo salto di qualità della fede di cui egli è Padre. Prima di ogni altra considerazione, prendiamo atto di quanti si riconoscano oggi come suoi figli (che poi lo si sia in realtà è da vedere), e come la promessa ricevuta di essere benedizione per tutte le famiglie della terra non fa che avvalorare il fatto che egli “partì, come gli aveva ordinato il Signore”: era stato raggiunto dall’ordine di andarsene dalla sua terra e dalla casa di suo padre, verso una terra sconosciuta che gli sarebbe stata indicata a suo tempo. È la cellula viva della fede che si riproduce nel tempo e che apre ad un sempre nuovo futuro: e di cui Gesù è “autore e perfezionatore” (Eb 12,2).
In un tempo in cui la parola “sinodo” evoca ai quattro venti il “cammino comune” prima che il “camminare insieme”, viene da chiedersi se il “cammino sinodale” (una ripetizione implicita), sia quello originario ed originale del credere nella sua sostanza (qualcosa che è di un soggetto e di soggetti, e non di concezioni e teorie varie), e quanto invece si tratti di percorsi paralleli di aggiustamento e di insediamento in nuovi assetti mentali e comportamentali di comunità cristiane costituite e immodificabili nel loro intimo, là dove invece dovrebbe avvenire il primo sganciamento per uscire di continuo verso il futuro che viene messianicamente incontro, più che essere proiezione del presente. Proprio in questo un Popolo di Dio dovrebbe essere capocordata per l’umanità, così come continua ad esserlo simbolicamente Abramo. Non deve succedere che la fede diventi solo il presupposto, teorico o pratico, per tutt’altre operazioni a carattere religioso od umanitario: essa deve mantenere e far valere tutta la sua peculiarità, senza nulla togliere alla sua fecondità.
Quello che Paolo dice a Timoteo vale come consegna anche per noi, se vogliamo muoverci in questo orizzonte di fede, che deve illuminare tutto il cammino e tutto del cammino: “Figlio mio, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo”. Anche qui non possiamo non ripensare ad Abramo quando sempre Paolo ci dice che “egli ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa… secondo il suo progetto e la sua grazia”. Ma davvero le nostre celebrazioni religiose si muovono sul difficile crinale di questa vocazione santa di grazia o di fede, o non sono spesso gratificazioni spirituali e devozionali, che non vibrano delle tensioni del credere e del credere insieme? Anche nelle sue paure, incertezze, esitazioni, ma pur sempre nella obbedienza del credere.
In forza di questa comune fede, dovremmo sentirci inseriti nell’eterno progetto di grazia, che si rivela e si attua per noi “con la manifestazione del salvatore nostro Cristo Gesù”, di cui la trasfigurazione è appunto irradiazione, ciò a cui guardare a nostro conforto in tutta la sua potenza di maestosa gloria . E se “egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo”, anche il nostro offrirsi e patire per il vangelo non può non avere lo stesso obiettivo e lo stesso intento. C’è da stare attenti a non dare noi significati riduttivi e di comodo al vangelo, che è in primo luogo il messaggio della vittoria sulla morte, verso cui siamo incamminati nel cammino quaresimale. (ABS)