13 marzo 2022 -  II DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C)

 

Giovanni Bellini: Trasfigurazione di Cristo (1478-1479)

Napoli, Galleria Nazionale di Capodimonte

 

 

PRIMA LETTURA (Genesi 15,5-12.17-18)

In quei giorni, Dio condusse fuori Abram e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.
E gli disse: «Io sono il Signore, che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questa terra». Rispose: «Signore Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?». Gli disse: «Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un colombo».
Andò a prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte all’altra; non divise però gli uccelli. Gli uccelli rapaci calarono su quei cadaveri, ma Abram li scacciò.
Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco terrore e grande oscurità lo assalirono.
Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un braciere fumante e una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi. In quel giorno il Signore concluse quest’alleanza con Abram:
«Alla tua discendenza
io do questa terra,
dal fiume d’Egitto
al grande fiume, il fiume Eufrate».


SALMO RESPONSORIALE (Salmo 26)


Rit. Il Signore è mia luce e mia salvezza.

 

Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura?

Ascolta, Signore, la mia voce.
Io grido: abbi pietà di me, rispondimi!
Il mio cuore ripete il tuo invito:
«Cercate il mio volto!».
Il tuo volto, Signore, io cerco.

Non nascondermi il tuo volto,
non respingere con ira il tuo servo.
Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi,
non abbandonarmi, Dio della mia salvezza.

Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte,
si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore.

 

SECONDA LETTURA (Filippesi 3,17- 4,1)

Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi. Perché molti – ve l’ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto – si comportano da nemici della croce di Cristo. La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra.
La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose.
Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete in questo modo saldi nel Signore, carissimi!

VANGELO (Luca 9,28-36)


In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.

Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.

Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva.
Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».
Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

 


In altre parole…

 

Mentre si parla ormai di “cammino sinodale”, abbiamo intrapreso il tradizionale ”cammino quaresimale” all’insegna dell’invito “convertitevi e credete al vangelo”. Comunque lo si voglia definire o presentare nelle sue varie versioni, non possiamo nasconderci che fondamentalmente si tratta del cammino della fede, anche per non rimanere vittime di visioni settoriali o distorte della vita cristiana ed ecclesiale.

 

Quali che siano le variazioni e divagazioni spirituali in proposito, è una rinnovata esperienza e rinascita della fede e nella fede che la chiesa è chiamata a fare dentro un mondo non più religioso e non più cristiano, anzi disumano. E se questo è il problema, è bene dirci francamente che è inutile girarci intorno con discorsi ed iniziative accattivanti. Bisognerebbe che la sostanza della fede tornasse ad essere al centro, sostanza di vita, rispetto a suoi derivati e corollari! E per questo è necessario ritrovare le  origini della nostra fede.

 

Siamo figli della discendenza “che deriva dalla fede di Abramo, il quale è padre di tutti noi” (Rm 4,16). Dopo che era stato indotto ad uscire dalla sua terra, Abramo è ora sollecitato a portarsi fuori a guardare il cielo, nel caso riuscisse a contare le stelle, per sentirsi dire: “Io ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare” (Gn 22,17). Questa promessa non è decaduta o revocata. Ed è in forza di essa che possiamo ritrovare la nostra giustizia davanti a Dio ed essere giusti con gli uomini: ritrovare quella gloria per la quale siamo stati creati e della quale ci siamo spogliati.

Infatti “tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” (Rm 3,23). Ed è di questa gloria che andiamo alla ricerca e della quale rivestirsi di nuovo, anche senza saperlo e volerlo! Ma c’è da dire che la riconquista di questa gloria - che è sempre prerogativa e dono di Dio perché somiglianza a lui – non è indolore, e richiede da noi una partecipazione attiva alla riconquista. Davanti alla promessa di avere in possesso la terra, Abramo chiede: “Signore Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?”.

Ed è qui che scatta il ricorso al rito dell’alleanza con gli animali divisi in due parti, da attraversare in segno di quanto accadrebbe a chi non avesse rispettato il patto, mentre ci sono uccelli rapaci da scacciare via. Torpore, terrore e grande oscurità cadono su Abramo, così come si impossesserebbero di chiunque volesse ritrovare l’alleanza col proprio Dio alla sua maniera. Ma tutto è figura delle cose future, e in qualche modo c’è qui un indizio di come la nuova alleanza si sarebbe avverata. E a noi è dato ora di fare memoria di Cristo “mediatore di una nuova alleanza” (Eb 9,15; 12,24). E se la nostra è “speranza della gloria di Dio” (Rm 5,2), essa in realtà è “Cristo, speranza della gloria” (Col 1,27). Qualcosa che non va barattato con autoglorificazioni e autogratificazioni neanche con spirito di corpo ecclesiale, ma va riconquistato lasciandosi riscattare a caro prezzo: partecipando al cammino del Figlio dell’uomo alla sua sequela, che è il cammino di sempre. Che è quanto rimane difficile comprendere e accettare per quegli uomini di Galilea, messi davanti ad un Messia perdente, ma che non possiamo dare per acquisito da parte nostra.

 

Abbiamo la possibilità di riconoscerci in Pietro, Giacomo e Giovanni portati sul monte a pregare: là dove sembra sollevarsi un velo sulla preghiera di Gesù, che ritroviamo come immerso nel mondo della sua gloria. Per effetto di questa preghiera, egli cambia di aspetto in volto e nelle vesti, e conversa con Mosè ed Elia, anch’essi apparsi nella gloria, quasi per avere ispirazione e conforto nel suo esodo verso Gerusalemme da parte di chi aveva già vissuto altri esodi. Quindi qualche raggio o barlume di gloria in cui anche i tre discepoli sono coinvolti, perché comprendano anche loro il senso di questo esodo del Figlio verso il Calvario.

 

Tutto questo mentre Pietro, Giovanni e Giacomo – quasi a ripetere l’esperienza di Abramo, ma soprattutto come avverrà poi al Getsemani - si trovano oppressi dal sonno, fino a quando al risveglio sono attratti da quella luce e vedono quella scena. Con la istintiva reazione di Pietro, che non perde l’occasione di dimostrare quanto fosse lontano o al di fuori di quanto stava accadendo, fino all’ingenuità delle tre capanne. Ciò non impedisce che le cose facciano il loro corso, e questi tre uomini prescelti si ritrovano avvolti da una nube, e sia pure nella paura ancora una volta, come già al Giordano al momento del battesimo, sentono la voce ripetere: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!”. Qualcosa che li riduce al silenzio e a tener per sé questo segreto che li superava.

 

Ma come abbiamo vissuto le tentazioni nel deserto, così va rivissuto questo evento, al di là di ogni coreografia o semplice enunciazione del “mistero”: se la nostra preghiera è associata a quella di Gesù, c’è da imparare come compenetrarci in essa, sapendo dove ci vuol portare. Dopo tanto riserbo, Pietro ci darà questa preziosa testimonianza diretta: “Questa voce noi l'abbiamo udita scendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte. E così abbiamo conferma migliore della parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l'attenzione, come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori” (2Pt 1,18-19).

 

La nostra attenzione è richiamata a questa “lampada che brilla in luogo oscuro”, qualcosa che fa pensare a Giovanni 1,5: “La luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l'hanno sopraffatta”. Così come in questo passaggio storico possiamo riandare alle prime parole del libro della Genesi: “La terra era informe e vuota, le tenebre coprivano la faccia dell'abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque” (Gn 1,2).

Per ricordare anche che quel giorno sul Calvario “da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra” (Mt 27,45; ma anche Marco e Luca). Come pure queste tremende parole che Gesù rivolge “ai capi dei sacerdoti, ai capitani del tempio e agli anziani” che avevano accompagnato Giuda nell’orto degli ulivi: “Ma questa è la vostra ora, è l'impero delle tenebre” (Lc 22,53).

 

Si capisce allora il duro linguaggio di Paolo, che con le lacrime agli occhi dice che già nelle prima comunità cristiane “molti si comportano da nemici della croce di Cristo”. Perché solo quando e alla condizione di riconoscere che nella croce di Cristo le tenebre sono vinte, possiamo dire che “la nostra cittadinanza è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo”, che con la sua potenza trasfigurerà anche il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso: renderci partecipi della sua trasfigurazione. Diciamo che abbiamo qui la cartina di tornasole della nostra fede, non solo di quella personale, ma della comunità storica dei credenti, come poteva essere la comunità di Filippi! Come faro per il nostro cammino potremmo prendere fin da ora le parole che nella veglia pasquale saranno pronunciate all’accensione del cero dal fuoco nuovo: “La luce di Cristo che risorge glorioso, disperda le tenebre del cuore e dello spirito”. Sia questa la nostra preghiera con Cristo sul monte in un momento così buio! (ABS)   


.