16 aprile 2023 - II DOMENICA DI PASQUA o
della Divina Misericordia (ANNO A)
Andrea del Verrocchio: Incredulità di san Tommaso (1466/67-1483)
Firenze, Museo di Orsanmichele
PRIMA LETTURA (Atti
degli Apostoli 2,42-47)
[Quelli che erano stati battezzati] erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere.
Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli.
Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno.
Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo.
Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati.
SALMO RESPONSORIALE (Salmo 117)
Rit. Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sempre.
Dica
Israele:
«Il suo amore è per sempre».
Dica la casa di Aronne:
«Il suo amore è per sempre».
Dicano quelli che temono il Signore:
«Il suo amore è per sempre».
Mi avevano spinto con forza per farmi cadere,
ma il Signore è stato il mio aiuto.
Mia forza e mio canto è il Signore,
egli è stato la mia salvezza.
Grida di giubilo e di vittoria
nelle tende dei giusti:
la destra del Signore ha fatto prodezze.
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.
Questo è il giorno che ha fatto il Signore:
rallegriamoci in esso ed esultiamo!
SECONDA LETTURA (1Pietro 1,3-9)
Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, in vista della salvezza che sta per essere rivelata nell’ultimo tempo.
Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco –, torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime.
VANGELO (Giovanni 20,19-31)
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
In altre parole…
Anche se la tradizionale Domenica in albis passa ormai come ”Domenica della misericordia”, in omaggio a nuove devozioni, l’enfasi e la retorica spiritualistica della tradizione troveranno ugualmente motivo di esprimersi in tema di nuova nascita, di “bambini appena nati”: e questo sempre in prospettiva moralistica, e cioè come condotta di “buoni cristiani”. Dimentichiamo facilmente che se qualcosa di veramente nuovo, di cambiamento di rotta doveva avvenire, questo è in atto ed è irreversibile: il Cristo risorto, per il quale e nel quale cambia la scena di questo mondo. Il fatto è che noi preferiamo rimanere confinati nel nostro limbo cultuale, celebrativo ed emozionale: ormai nostra dimora abituale e luogo in cui costruirsi le tende, pensando e lasciando pensare di essere già entrati là dove è entrato Cristo “sacerdote di beni futuri, attraverso una Tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano di uomo, cioè non appartenente a questa creazione” (Eb 9.11-12).
La spinta ad entrare in questa nuova “era” del mondo e della storia - perché di questo si tratta e non di “accidenti” di percorso - di fatto si trasforma in boomerang, in quanto la verità del “mistero” creduto viene materializzata in simboli e in apparati liturgici e linguistici sacri, magari pensati per avvicinare a noi e rendere accessibile la verità della fede, quando invece non fanno che creare estraneità: si riporta a ruolo di “figura” quanto invece attraverso “figure” e segni dovrebbe essere raggiunto come “res” o realtà. Una realtà che dovrebbe incarnarsi prima di tutto nei soggetti viventi della fede, che invece si ritrovano inglobati come in una bolla in una soggettività indotta di suggestione e “infantile”, priva di senso critico e chiusa in se stessa: priva di giusta maturità e libertà!
Si verifica insomma una sorta di involuzione, per cui la ricomposizione di un quadro liturgico tradizionale diventa contenitore e orizzonte unico in cui anche le grandi verità della fede vengono come svuotate invece di essere esse stesse l’orizzonte nuovo in cui far rinascere dal vivo segni e figure, e cioè i modi espressivi. Ma anche se questo stile di vita ecclesiale “celebrativo” si impone come l’unico possibile ed esclusivo, c’è motivo di affrancarsene e andare “per questa via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne” (Eb 10,20). Non si tratta di una liberazione tutta da vivere?
Ed è proprio di qui che bisogna ripartire - dal Cristo risorto Pasqua vivente - per una militanza di rinascita globale e organica, spirituale e strutturale, dove il rinnovamento va inteso e attuato in maniera complessiva e non settoriale: che sia di fede e storico allo stesso tempo, né solo interiore né solo di forme! Diciamoci pure che per fare questo è necessario vincere la forza di gravità di un sistema tolemaico di ritorno, così come non basta più rimanere satelliti di una chiesa ridotta a pura dimensione cultuale per un verso e a servizio umanitario dall’altro. Ma si richiede anche di mettersi in cammino e non contentarsi di stare alla finestra: in questo caso non ci sono soggetti controfigura che ci possano sostituire e c’è da metterci la faccia. È la nostra sfida del momento.
È quanto ci aiutano a fare le letture proposte: a ritrovare e rivivere una sequela post-resurrezione (“vi precederò in Galilea” - Mt 26,32), dopo che era fallita la sequela che portava alla croce: non si tratta più soltanto di ascoltare e imitare Gesù ma di credere nel Cristo Signore, di immedesimarsi in lui e di impersonarlo. Se i vangeli sinottici, partendo anch’essi dalla resurrezione, ci offrono una retrospettiva della sua esistenza nel mondo, il vangelo di Giovanni ci proietta in avanti verso un cammino di con-risurrezione. E dopo che abbiamo visto Pietro e Giovanni correre al sepolcro e comprendere le Scritture, ora tocca ai discepoli rinnovare l’incontro con Gesù: questa volta però non attraverso indizi, come il sepolcro vuoto, il sudario e le bende o per annunci di angeli, ma con chi si presenta in mezzo a loro a porte chiuse e li rassicura dicendo “Pace a voi”, liberandoli delle loro paure.
Questo saluto non è di semplice cortesia per rompere il ghiaccio, ma è il nuovo elemento base di vita per ristabilire rapporti e coinvolgere ancora una volta quegli uomini di Galilea in un'avventura imprevedibile, tra timore e gioia. Infatti, dopo averli riportati a fare memoria della Passione mostrando il suo corpo piagato, non fa che ripetere il saluto, ma al tempo stesso impegnandoli senza mezzi termini nella sua stessa missione di pace: “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Non si può essere più chiari ed incisivi, ma è evidente che a questo scopo anche il suo spirito deve passare su di loro e metterli in grado di perdonare i peccati e portare la sua pace.
L’assenza e la diffidenza di Tommaso sono provvidenziali ai fini di questa ripresa di contatto e di impegno: vuol dire che anche la nostra incredulità rispetto a testimonianze di seconda mano è prevista, fino al rifiuto e alla provocazione, salvo rimanere aperti a vie di comunicazione impreviste. Ed in effetti, Gesù si ripresenta alla stessa maniera e va incontro alle attese di Tommaso, senza risparmiargli un chiaro avvertimento riguardo al rapporto tra vedere e credere: anche se Giovanni aveva detto di sé che “vide e credette”, il “credere” però non è causato dal “vedere”, anche se può accadere in occasione e concomitanza di esso!
Ed ecco allora Giovanni approfittarne per riproporci il motivo guida del suo messaggio: i segni sperimentati e tramandati dai discepoli non sono che incentivo al credere, appunto “perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome”. Ciò che conta non sono le mediazioni, che pure ci vogliono, ma è che ciascuno raggiunga una relazione diretta con Gesù il Cristo, il Figlio di Dio, principio nuovo di vita, e si costituisca in suo corpo.
Edificarsi in “corpo di Cristo” è un processo vitale sempre aperto, ed ormai siamo soliti prendere a modello la presentazione della prima comunità ecclesiale degli Atti degli Apostoli 2,42-47, che trova un suo completamento in 4,32-37, dove si evidenziano lo spezzare il pane, la preghiera e la condivisione dei beni, la vita ecclesiale nella sua visibilità. È uno schema ideale che usiamo come calco da applicare nelle condizioni materiali più diverse, lasciando però le cose come stanno. Si ritaglia e si presenta questa immagine ideale, in cui ci si rifugia senza considerare da dove nasca o dove voglia portare, cosa che invece dobbiamo fare se non vogliamo che la nostra bella vita comunitaria sia sterile.
E allora c’è da ricordare la perseveranza nell’insegnamento e nella predicazione degli Apostoli, che consente un “venire alla fede” con un cuor solo e un’anima sola. Ciò che dovrebbe assicurare il favore di tutto il popolo, mentre il Signore stesso “ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati”. Tanto per essere chiari e non lasciarsi abbagliare da sogni comunitari di prestigio, diciamoci che una comunità ecclesiale o nasce missionaria o non lo diventerà mai: o è chiesa “fuori” o non sarà mai “in uscita”. Tommaso che non era con loro quando venne Gesù, bloccati per timore dei Giudei, forse non è l’eccezione ma la regola, libero di muoversi, ma liberissimo di credere come coinvolgimento personale e non solo per sentito dire: “Mio Signore e mio Dio!”!
Come vivere questa condizione di “rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva” ce lo fa intuire la lettera di Pietro, che ci esorta ad essere ricolmi di gioia anche dentro le varie prove che saggiano la fede che ci porta alla salvezza. È la condizione di chi ama Gesù Cristo pur senza averlo visto e crede in lui pur senza vederlo: non sarebbe qui il DNA della vita cristiana, e cioè di una vita “in Cristo”? Purtroppo succede che mentre da una parte simili parole sono oggetto di approfondimenti spirituali in circoli addetti, dall’altra ci si affanna a cercare altrove stili di vita cristiana accattivanti e di facile consenso. La sfida per noi è che la fede vissuta nel Cristo risorto rimane il principio attivo di rinascita e di riforma globale dell’intera chiesa: una chiesa chiamata a rigenerare il suo incontro col Cristo risorto e ad esserne annuncio vivente! Qualcosa che non è mai un dato di fatto! (ABS)