17 gennaio 2021 - II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)
John Singleton Copley: Il profeta Samuele (1780)
PRIMA LETTURA (1Samuele
3,3-10.19)
In quei giorni, Samuèle dormiva nel tempio del Signore, dove si trovava l’arca di Dio.
Allora il Signore chiamò: «Samuèle!» ed egli rispose: «Eccomi», poi corse da Eli e gli disse: «Mi hai chiamato, eccomi!». Egli rispose: «Non ti ho chiamato, torna a dormire!». Tornò e si mise a dormire.
Ma il Signore chiamò di nuovo: «Samuèle!»; Samuèle si alzò e corse da Eli dicendo: «Mi hai chiamato, eccomi!». Ma quello rispose di nuovo: «Non ti ho chiamato, figlio mio, torna a dormire!». In realtà Samuèle fino allora non aveva ancora conosciuto il Signore, né gli era stata ancora rivelata la parola del Signore.
Il Signore tornò a chiamare: «Samuèle!» per la terza volta; questi si alzò nuovamente e corse da Eli dicendo: «Mi hai chiamato, eccomi!». Allora Eli comprese che il Signore chiamava il giovane. Eli disse a Samuèle: «Vattene a dormire e, se ti chiamerà, dirai: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”». Samuèle andò a dormire al suo posto.
Venne il Signore, stette accanto a lui e lo chiamò come le altre volte: «Samuéle, Samuéle!». Samuèle rispose subito: «Parla, perché il tuo servo ti ascolta».
Samuèle crebbe e il Signore fu con lui, né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole.
SALMO RESPONSORIALE (Salmo 39)
Rit. Ecco, Signore,
io vengo per fare la tua volontà.
Ho
sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio.
Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: «Ecco, io vengo».
«Nel rotolo del libro su di me è scritto
di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero;
la tua legge è nel mio intimo».
Ho annunciato la tua giustizia
nella grande assemblea;
vedi: non tengo chiuse le labbra,
Signore, tu lo sai.
SECONDA LETTURA (1Corinzi
6,13-15.17-20)
Fratelli, il corpo non è per l’impurità, ma per il Signore, e il
Signore è per il corpo. Dio, che ha risuscitato il Signore,
risusciterà anche noi con la sua potenza.
Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito. State lontani dall’impurità! Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all’impurità, pecca contro il proprio corpo.
Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi? Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi stessi. Infatti siete stati comprati a caro prezzo: glorificate dunque Dio nel vostro corpo!
VANGELO (Giovanni
1,35-42)
In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.
Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chidiamato Cefa» – che significa Pietro.
In altre parole…
L’immagine di John Colpey potrebbe diventare l’icona della trasmissione della fede di generazione in generazione, mentre quella tradizionale del piccolo Samuele, gettonata per prime comunioni, è piuttosto il simbolo di una religione infantile che finisce lì! Ma essa si presta inoltre per ricordarci che tutto avviene nella vicinanza, nel contatto e nella fisicità, attraverso cui passa la grazia. In effetti, stando ai testi di oggi, assistiamo a tutto un intreccio di incontri, di rapporti, di scambi, e quindi di corporeità e di sensibilità, tutta una sfera esperienziale e interpersonale nella comunicazione della fede.
Questa sfera sensoriale ed emotiva di una vita di fede è più presente e attiva di quanto non si creda, e va presa in attenta considerazione: perché se da una parte è dominante e risolve tutto in devozionismo e sentimentalismo appagante, dall’altra per reazione viene neutralizzata, a favore di uno spiritualismo puro e un intellettualismo di maniera, a danno della semplicità e della concretezza del credere. Abbiamo già visto che la prima Lettera di Giovanni ci rimette sulla buona strada, quando afferma insistentemente: “Quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello le nostre mani toccarono del Verbo della vita noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi” (1Gv 1-3). Ci dice in altre parole che quanto cade sotto i nostri sensi è il punto di partenza per arrivare alla contemplazione del “Verbo della vita” e portarci alla comunione che ci trascende.
Del resto, quando ci viene detto che il Padre vuole adoratori in spirito e verità (cfr Gv 4,23-24), noi andiamo subito a “spirito e verità”, ma sottovalutiamo il fatto che si tratta di adoratori e di adorazione, quindi di un atteggiamento anche corporeo, come siamo soliti rappresentarci l’adorazione dei Magi! Ecco allora il piccolo Samuele muoversi tra il suo giaciglio e il vecchio sacerdote Eli, chiamato da una voce tanto percettibile quanto uscita dall’alto, qualcosa che li mette in contatto tra loro, ma che li impegna al discernimento per essere intesa nella sua provenienza e natura. Così come del resto verrà intesa, tanto da provocare la giusta risposta di Samuele al Signore: “Parla, perché il tuo servo ti ascolta”. La voce lo lega alla Parola, tanto che da allora in poi non lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole. Non è fuori luogo vedervi un’anticipazione dell’annuncio dell’angelo a Maria, costretta anche lei a fare il salto di qualità dalla visione e dalla voce alla Parola. È quanto siamo chiamati a fare di continuo nel nostro cammino di ascolto e di fede, sia singolarmente che come comunità di credenti. Bisogna stare molto attenti a non banalizzare o formalizzare troppo l’ascolto!
Il passo del vangelo di Giovanni ci dà un quadro di incontri e comunicazioni tra vari personaggi che devono superare se stessi e ritrovarsi poi coinvolti in un’unica avventura di fede. A cominciare dal Battista, che fissa lo sguardo su Gesù, quasi a voler scrutare il suo mistero, ed arriva ad individuarlo sotto l’immagine del Servo di Dio di cui parla Isaia e lo indica ai suoi due discepoli come “Agnello di Dio”, quindi con una visione di fede veramente rivelativa. Entrano in scena i due discepoli, che spinti da curiosità e interesse si incamminano dietro a quel Gesù. Qui continua il gioco degli sguardi, e Gesù voltandosi e osservando che lo seguivano, prende lui l’iniziativa, chiedendo cosa cercassero. Essi non sanno cosa rispondere e per uscire d’imbarazzo chiedono la cosa più banale che si potesse dire, dove abitava. Per Gesù è l’occasione per dimostrarsi pescatore di uomini e li invita ad andare con lui e rendersene conto personalmente.
Evidentemente, restano conquistati non si sa di preciso da che, ma non appena si presenta l’occasione uno dei due, Andrea, comunica a suo fratello Pietro addirittura di aver trovato il Messia, e lo conduce a Gesù. Anche questi due discepoli hanno fatto dunque il salto di qualità arrivando ad una loro conclusione di fede, come del resto Pietro farà a Cesarea. Ma qui tutto appare anticipato e rovesciato, in quanto è Gesù a fissare lo sguardo su Pietro e a cambiargli connotati dandogli il nome di “Cefa” o di “pietra”, sappiamo a quale scopo e per quale missione.
Non possiamo rimanere legati a questioni di autorità, di magistero, di dogmi definiti, ma c’è da rendersi conto di come nasce e si trasmette la fede nella imprevedibilità e precarietà degli eventi: nelle situazioni, nella esperienza e nelle relazioni della vita, che però vanno vissute con interesse e attenzione agli impercettibili richiami della grazia che contengono e che trasmettono. Perché potremmo essere di quelli che “vedendo, non vedono; e udendo, non odono né comprendono” (Mt 13,13).
Che i corpi in quanto sede e fonte di relazioni siano luogo e strumento di grazia lo dimostra il fatto che essi costituiscono la base di tutti i sacramenti, oltre che essere al centro di tutte le vicende umane liete e tristi. E forse è il caso di fare presente che nel Cantico delle Creature, Francesco guarda sì al creato, ma non evita di lodare il Signore “per quelli ke perdonano per lo Tuo amore, / et sostengono infirmitate et tribulatione./ Beati quelli ke 'l sosterrano in pace”: quelli cioè che risanano le relazioni umane e sono provati nel corpo e nello spirito.
Non è ammissibile che sul piano della vita di fede e della mentalità religiosa dominante il corpo non goda di una giusta visione e valutazione, a cui dovremo essere ricondotti. Infatti, o viene strumentalmente deprezzato dagli “spirituali” per farne l’uso che credono, uniformandosi in questo a quanti lo elevano a ragione di vita in maniera unilaterale (pensiamo al fenomeno pedofilia anche in ambito ecclesiale); o viene posto a misura ultima di moralità e di religiosità, magari usato come arma in questioni di genere, di sessualità, di violenza, o in senso o nell’altro.
Per educarci ad una visione più vera, ci vengono incontro i pochi versetti di Paolo della lettera ai Corinti, in un contesto di immoralità e di corruzione esistente in quella comunità. In una situazione incresciosa e di scandalo, egli non interviene con condanne e sanzioni morali che risolvessero il singolo caso di grave incesto, ma poi lasciassero immutato il clima. Si preoccupa di far derivare la riprovazione generale e soprattutto la correzione da una visione teologica del corpo, inteso come integrità della persona umana. E questo sia perché il giudizio nascesse dalla coscienza di tutti, e sia per ritrovare il giusto risanamento dei problemi nella fede, prima che in altri interventi di denuncia e di rimozione.
Anche in questo caso Paolo ci fa fare un salto di qualità dalla condizione esistenziale del corpo alla sua dimensione creaturale ed escatologica, quanto alla sua origine e destinazione, in senso perfino trinitario, per cui il corpo si rivela tabernacolo o tenda della presenza di Dio. Esso infatti è per il Signore e il Signore è per il corpo, e Dio che ha risuscitato Gesù risusciterà anche noi nei nostri corpi con la sua potenza. E questo perché siamo e sono membra del Cristo! In genere ci riteniamo “corpo di Cristo” nella nostra interiorità e non teniamo conto che lo siamo con i nostri stessi corpi, nella totalità di noi stessi. E come tali, proprio come corpi siamo tempio dello Spirito santo, al punto da non poterne fare proprietà esclusiva di noi stessi, per farne invece dono agli altri, così come noi siamo stati ricomprati a caro prezzo col corpo di Cristo dato per noi e per tutti. Non è qui il “mistero della fede”?
Di qui l’esortazione o l’imperativo a glorificare Dio nei nostri corpi, nella concretezza e completezza di noi stessi, senza separatismi spiritualistici, ma facendone motivo e oggetto del proprio culto spirituale in spirito e verità: ““Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; questo è il vostro culto spirituale (Rm 12,1). A quale rivoluzione mentale e cultuale non si arriverebbe se entrassimo in questa prospettiva, per dare corpo ad un Popolo di Dio veramente incarnato? (ABS)