19 gennaio 2020 - II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

 

 

Pinturicchio: Predica di san Giovanni (1504-1505)

 

 

PRIMA LETTURA (Isaia 49,3.5-6)

Il Signore mi ha detto:
«Mio servo tu sei, Israele,
sul quale manifesterò la mia gloria».
Ora ha parlato il Signore,
che mi ha plasmato suo servo dal seno materno
per ricondurre a lui Giacobbe
e a lui riunire Israele
– poiché ero stato onorato dal Signore
e Dio era stato la mia forza –
e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo
per restaurare le tribù di Giacobbe
e ricondurre i superstiti d’Israele.
Io ti renderò luce delle nazioni,
perché porti la mia salvezza
fino all’estremità della terra».


SALMO RESPONSORIALE (Salmo 39)


Rit. Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà.

 

Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio.

Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: «Ecco, io vengo».

«Nel rotolo del libro su di me è scritto
di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero;
la tua legge è nel mio intimo».

Ho annunciato la tua giustizia
nella grande assemblea;
vedi: non tengo chiuse le labbra,
Signore, tu lo sai.

 

SECONDA LETTURA (1Corinzi 1,1-3)


Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, alla Chiesa di Dio che è a Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!

 

 

VANGELO (Giovanni 1,29-34)

In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».
Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».


In altre parole…

Certamente il “Verbo di Dio fatto carne” è la maniera estrema in cui la Parola di Dio risuona e si rivela nel mondo. Ma la sua “nascita” umana ha una lunga gestazione nei secoli e si prolunga nella storia attraverso quanti “credono nel suo nome”. È una trasmissione di vita e di luce – “e la vita era la luce degli uomini” – che passa per  la “Chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose” (Ef 1,22-23). Questo almeno nei piani di Dio che attraversano i secoli!

Forse siamo ancora troppo preoccupati di stabilire un nostro rapporto di fede o di devozione con una figura ben definita di Cristo, quella di Gesù, senza considerare abbastanza il suo rapporto di Verbo di Dio con la creazione, con l’umanità tutta, con la storia e con la fine dei tempi. Siamo prigionieri di una visione religiosa ristretta, che ci impedisce di cogliere i riflessi della “luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,8-9). La nostra fede è a misura delle nostre vedute invece di aprirci e di proiettarci alla visione stessa di Dio, a cui peraltro diciamo di essere destinati e che del resto è nel desiderio di tutte le cose, fino a quando “Dio sia tutto in tutti” (1Cor 15,28).

L’attenzione a ciò che dobbiamo fare noi – come insegnamento e come comportamento – di fatto oscura quanto la Parola di Dio opera “per noi e per la nostra salvezza”! Si potrebbe dire che rispetto alla Parola di Dio, noi siamo interessati a sapere di dove viene e dove vada, mentre bisognerebbe prima di tutto ascoltarne la voce. Dice Gesù a Nicodemo: “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito” (Gv 3,8). Il modo e la forma in cui viene recepita diventa il suo significato, mentre essa vuole rivelarci compiendola l’opera di Dio, a cui affidarsi. Ed è a fare questo passaggio che l’ascolto può e deve portarci, relativizzando il nostro stesso modo di intenderla o di interpretarla, il nostro modo di adattarla e piegarla a noi fino a svuotarla.

Il profeta Isaia ascolta questa voce e se ne fa interprete, per dirci che il Signore guarda al suo Servo per manifestare la sua gloria, per ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele: per realizzare il suo disegno e la promessa di salvezza del suo Popolo. Ma questo non basta, se davvero la gloria deve manifestarsi del Signore per quello che è: questo Servo di Dio infatti deve diventare luce delle nazioni e portare salvezza fino all'estremità della terra. Queste parole non possono rimanere pura utopia: se sono l’anima e il motore di tutta la storia della salvezza, non possono mancare una loro realizzazione, sempre avendo presente che “i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie - oracolo del Signore” (Is 55,8).

Ed è quello che rimane da vedere al momento in cui questa figura di Servo di Dio prende corpo e prende forma tra gli uomini e tra i peccatori in Gesù di Nazaret. Possiamo ripensare al Battesimo nel Giordano e ascoltare la dichiarazione di Giovanni: ”Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele”. È qui in fondo che la gloria del Signore si manifesta nel suo Servo, tanto che l’evangelista afferma: “E noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14). Ed è con questa manifestazione che noi dobbiamo in qualche modo fare i conti: se davvero troviamo e vediamo in lui la gloria, l’immagine di Dio, che nessuno ha mai visto ma di cui egli è narrazione vivente.

La difficoltà comincia non appena il Battista lo presenta al popolo in questi termini: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!”. È sempre quel Servo di Dio di cui Isaia aveva profetizzato: “Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca” (Is 53,7). Che la gloria di Dio dovesse manifestarsi proprio in questa maniera non era facile accettarlo, ma sarà questo lo scandalo della croce! Basti ricordare queste parole di Gesù: “Padre, è giunta l'ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te” (Gv 17,1)

Ed è qui che la testimonianza di Giovanni il battezzatore è preziosa per noi e dobbiamo farne tesoro: egli ha visto lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui, e in questo riscontra quanto gli era stato preconizzato come segno, tanto che arriva a dire: “E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio”. È quello che succederà e dovrà succedere di continuo per ciascuno, non come convenzione religiosa di appartenenza, ma come prolungamento di una fede, che prima d’essere risorsa personale è potenziale di salvezza dell’intero Popolo di Dio,  qualcosa da cui attingere ed in cui immergersi.

Prima che adesione dottrinale, appartenenza istituzionale, solidarietà assembleare, impegno umanitario, la fede è coinvolgimento nella corrente ininterrotta di questa testimonianza alla verità. Gesù dice di Giovanni che “egli ha reso testimonianza alla verità” (Gv 5,33), mentre di se stesso afferma: “Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce” (Gv 18,37). E se “noi abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi” (1Gv 4,16), forse possiamo pensare la fede come un “compiacersi della verità” (1Cor 13,6). Ciò che ci immette in tutt’altra storia segnata e sognata nel mondo dal Servo e Agnello di Dio Cristo Gesù. È il punto di forza e di appoggio per sollevare il mondo!

Prima che fatto religioso, spirituale, culturale, istituzionale, confessionale, sociale o altro, credere è quell’intima unione con Dio che appunto Gesù di Nazaret è venuto a riattivare per ogni uomo, qualcosa che potremmo evocare col nome di “santità”: una realtà, che va al di là della morale, della devozione, della propria giustizia e onorabilità, per farci ritrovare simili a Dio ed essere “perfetti come è perfetto il Padre celeste” (Mt 5,48), nel disinteresse, nella gratuità, nella generosità, nell’altruismo, nella solidarietà, nella liberalità e nella libertà dei figli di Dio. È insomma quanto Gesù ha dimostrato e insegnato, lui che è “l'Amen, il Testimone fedele e verace, il Principio della creazione di Dio” (Ap 3,14).

Le poche parole di saluto che Paolo indirizza alla comunità di Corinto sono un altro anello nella ininterrotta catena di testimoni, in quanto egli è “chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio”: e si rivolge “a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata”, e cioè  a quanti sono stati oggetto di un’opera di Dio che li ha trasferiti  in un altro ordine di realtà nella comunione di Cristo Gesù e che li mette in comunione con “tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro”. Ed in questo vengono a noi quella grazie e pace, che sono i doni messianici del Servo di Dio!

Viene solo da chiedersi se è questo l’orizzonte mentale e il contesto ecclesiale in cui viviamo la nostra fede come comunità di credenti in questo mondo, lo sfondo di verità in cui diventare a nostra volta testimoni e ministri della parola (cfr. Lc 1,2) Quando parliamo di testimonianza, stiamo attenti a non svilirla a buon esempio e ad osservanza esemplare, più a nostro vanto che a gloria di Dio, per non meritare il rimprovero di Gesù: “E come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo?” (Gv 5,44)- (ABS)


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