2 gennaio 2022 - II DOMENICA DOPO
NATALE
Virginio Muzio – Ernesto Paleni: Allegoria della sapienza (1889)
da Inventario dei beni storici e artistici della diocesi di Bergamo
PRIMA
LETTURA (Siracide
24,1-4.12-16)
La
sapienza
fa il proprio elogio,
in Dio trova il proprio vanto,
in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria.
Nell’assemblea dell’Altissimo apre la bocca,
dinanzi alle sue schiere proclama la sua gloria,
in mezzo al suo popolo viene esaltata,
nella santa assemblea viene ammirata,
nella moltitudine degli eletti trova la sua lode
e tra i benedetti è benedetta, mentre dice:
«Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine,
colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda
e mi disse: “Fissa la tenda in Giacobbe
e prendi eredità in Israele,
affonda le tue radici tra i miei eletti” .
Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato,
per tutta l’eternità non verrò meno.
Nella tenda santa davanti a lui ho officiato
e così mi sono stabilita in Sion.
Nella città che egli ama mi ha fatto abitare
e in Gerusalemme è il mio potere.
Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso,
nella porzione del Signore è la mia eredità,
nell’assemblea dei santi ho preso dimora».
SALMO RESPONSORIALE (Salmo 147)
Rit. Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora in
mezzo a noi.
Celebra
il
Signore, Gerusalemme,
loda il tuo Dio, Sion,
perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte,
in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli.
Egli mette pace nei tuoi confini
e ti sazia con fiore di frumento.
Manda sulla terra il suo messaggio:
la sua parola corre veloce.
Annuncia a Giacobbe la sua parola,
i suoi decreti e i suoi giudizi a Israele.
Così non ha fatto con nessun’altra nazione,
non ha fatto conoscere loro i suoi giudizi.
SECONDA
LETTURA (Efesini 1,3-6.15-18)
Benedetto
Dio,
Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in
Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo
per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo,
secondo il disegno d’amore della sua volontà,
a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
Perciò anch’io [Paolo], avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi.
VANGELO
(
Giovanni 1,1-18)
In
principio
era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.
In altre parole…
Questo primo contatto d’inizio anno lo possiamo aprire con le parole di augurio di Paolo: “Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui”. Ciò di cui abbiamo estremo bisogno è questo “spirito di sapienza e di rivelazione”, di cui però forse non sentiamo l’esigenza. In effetti, se volessimo stabilire una scala di valori secondo la sensibilità cristiana corrente, è facile immaginare che la parola “sapienza” sarebbe in fondo alla graduatoria, ammesso che vi figuri. La sapienza è una merce rara, ritenuta appannaggio di qualche saggio, ma non patrimonio collettivo, anche se ci definiamo “Popolo di Dio profetico”.
E questo al momento in cui, a parte i sondaggi, è palese che questa sapienza - intesa come sensibilità di fede, come mentalità, come attitudine al discernimento, come senso critico, come capacità di leggere i segni dei tempi, e quindi come fede adulta e matura – risiede in cultori e in ambienti appositi, ma difetta nella coscienza dei credenti, dove dovrebbe abitare come appetito e gusto della Parola di Dio. È da dire che la carenza di saggezza tra i credenti è anche il risultato di una pedagogia della fede a sfondo religiosistico e incentrata sulla coscienza individuale all’interno di una struttura massificante e spersonalizzante: per cui il senso del mistero e della “cattolicità” non risultano interni alla coscienza del Popolo di Dio, ma vengono assicurati da sovrastrutture organizzative ed associative esterne. Altro che comunione e sinodalità!
La prospettiva individualistica - o anche personalistica- del rapporto pastorale dà adito ad una concezione della fede in senso intimista, gerarchico, dottrinale, morale, cultuale ecc., con in più attività sociali od opere umanitarie annesse. Mentre invece una visione unitaria della fede in termini di “verità” non può non ispirarsi ad uno “spirito di sapienza e di rivelazione”, di comunicazione tra soggetti nella loro totalità e non solo con atti esterni: la relazione di fede Dio-Uomo non è un insieme di opere sia pure religiose, ma interazione tra soggetto e soggetto!
In questo senso possiamo ascoltare ed interpretare l’elogio che la sapienza fa di se stessa, in quanto trova in Dio il suo vanto e in mezzo al suo popolo la sua gloria: in quanto attiva e comunicativa tra Dio e il suo popolo, fino a fissare la sua tenda in Giacobbe e ad affondare le sue radici tra i suoi eletti. Essa è prima di tutto il linguaggio ad intra nel mistero eterno di Dio, ma anche comunicazione ad extra: “Nella città che egli ama mi ha fatto abitare e in Gerusalemme è il mio potere”.
L’apertura del vangelo di Giovanni sembra ricalcare le orme e i movimenti di questa sapienza personificata che fa il proprio elogio, con la differenza che in questo caso essa prende forma e corpo come “il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, (ed) è lui che lo ha rivelato”. Se il Verbo è la Parola che Dio dice a se stesso nella sua intima comunicazione, ora si fa principio e origine di tutte le cose, manifestazione di vita che diventa la luce degli uomini
Ma è qui, in questo ingresso nella stori del Verbo di Dio, che il rapporto diventa conflittuale, in quanto la luce è in lotta con le tenebre, ed anche se le tenebre non l’hanno vinta, “gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie” (Gv 3,19). E il vero dramma di sempre è che “venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto”. Mentre la vera chance per tutti sta nel fatto che a quanti lo accolgono ha dato potere di diventare figli di Dio: “a quelli che credono nel suo nome”. Dove appunto una pre-incarnazione della Parola avviene mediante l’apertura alla luce e alla verità.
Ma se tutto questo sembra molto improbabile e aleatorio, ecco la sfida estrema e il dono supremo di Dio agli uomini, quando “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”, fino a rendere visibile e tangibile la sua gloria o il suo essere uguale a Dio, e fino a farsi fonte di verità e di grazia, dalla cui pienezza tutti possiamo attingere.
Ma qui ritornano gli interrogativi iniziali: se questo patrimonio di grazia e verità sia recepito nella sua realtà di rivelazione e comunicazione del Padre nel Figlio, “il quale per opera di Dio è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione” (1Cor 1,30). Mentre nel linguaggio cristiano e spirituale, come anche nei testi liturgici, si parla di santificazione e redenzione, meno di giustizia e quasi per niente del fatto che Cristo Gesù è diventato per noi sapienza: e cioè di esistenza cristiana nel mondo pienamente laica, ma totalmente altra dal mondo, in quanto “figli di Dio: i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati”. Non possiamo prescindere da questa alterità se vogliamo essere significativi anche per il mondo!
Lo stesso vangelo, senza una reale dimensione sapienziale o di verità totale, rischia di diventare sale che ha perso il sapore, per essere accettato solo in termini di insegnamento etico e spirituale, di dottrina morale, di utopia umanitaria… E anche le parole della lettera agli Efesini di Paolo sarebbero pura retorica senza il necessario coefficiente di sapienza: l’inno di lode e di benedizione con cui si aprono, altro non è che risposta corale alla rivelazione del “disegno di amore della sua volontà”, nel quale le azioni salvifiche di Dio si manifestano nella elezione e nella predestinazione, nella concessone della grazia o remissione dei peccati, nella iniziazione al mistero. È l’orizzonte più ampio possibile in cui la nostra vicenda umana si inscrive!
Qualcosa che rimane nell’ordine della comunicazione di Dio agli uomini, e che richiede apertura e consapevolezza da parte nostra. Si tratta del sostrato o sostanza della nostra fede, che se viene a mancare lascia il posto ad involucri religiosi, che “a null'altro servono che ad essere gettati via e calpestati dagli uomini” (Mt 5,13). Qualcosa che dovrebbe sostanziare la vita liturgica appunto come vita e non pura celebrazione indotta, quando invece parole come queste vengono lette ed ascoltate e lasciate cadere come difficili da comprendere e da esporre.
Ma chiediamoci francamente: non comincia proprio di qui - da questa afasia sulla sua sostanza - la innegabile e lamentata crisi della fede? E si pensa di risolverla solo a tavolino? San Paolo ci dimostra che è proprio da questo spirito di sapienza e di rivelazione che deve scaturire un’azione pastorale di comunicazione e trasmissione della fede in maniera convergente e coinvolgente: “Perciò anch’io [Paolo], avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere”. Che ci sia dato di imitarlo! (ABS)