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dicembre 2023 - II DOMENICA DI AVVENTO (ANNO B)
Francesco del Cossa: San Giovanni Battista (1472-73)
Milano, Pinacoteca di Brera
PRIMA LETTURA (Isaia
40,1-5.9-11)
SALMO RESPONSORIALE (Salmo 84)
Rit. Mostraci,
Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza.
Ascolterò
che cosa dice Dio, il Signore:
egli annuncia la pace
per il suo popolo, per i suoi fedeli.
Sì, la sua salvezza è vicina a chi lo teme,
perché la sua gloria abiti la nostra terra.
Amore e verità s’incontreranno,
giustizia e pace si baceranno.
Verità germoglierà dalla terra
e giustizia si affaccerà dal cielo.
Certo, il Signore donerà il suo bene
e la nostra terra darà il suo frutto;
giustizia camminerà davanti a lui:
i suoi passi tracceranno il cammino.
SECONDA LETTURA (2 Pietro
3,8-14)
Una cosa non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al Signore un solo giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno. Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza. Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi.
Il giorno del Signore verrà come un
ladro; allora i cieli spariranno in un grande boato, gli elementi,
consumati dal calore, si dissolveranno e la terra, con tutte le
sue opere, sarà distrutta.
Dato che tutte queste cose dovranno finire in questo modo, quale
deve essere la vostra vita nella santità della condotta e nelle
preghiere, mentre aspettate e affrettate la venuta del giorno di
Dio, nel quale i cieli in fiamme si dissolveranno e gli elementi
incendiati fonderanno! Noi infatti, secondo la sua promessa,
aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la
giustizia.
Perciò, carissimi, nell’attesa di questi eventi, fate di tutto perché Dio vi trovi in pace, senza colpa e senza macchia.
VANGELO (Marco 1,1-8)
Inizio
del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.
Come sta scritto nel profeta Isaìa:
«Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero:
egli preparerà la tua via.
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri»,
vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un
battesimo di conversione per il perdono dei peccati.
Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
In altre parole…
Non si può non rimanere sconcertati nel costatare e misurare la distanza tra le parole della Scrittura e questo nostro mondo che ne è il primo destinatario, se davvero vuole salvarsi in qualche modo. Non basta che una chiesa, che è il “sacramento di salvezza”, sia anche il solo terminale del proprio annuncio a suo uso e consumo: la salvezza è del mondo o non è! Sarebbe come se Isaia, Paolo e Giovanni il Battista rivolgessero a se stessi i loro forti messaggi.
Questa tensione al di là di se stessi non dovrebbe mai mancare, e non è da pensare che uno “spirito missionario” possa essere un fatto opzionale o accessorio, sopratutto per chi si è sentito dire: “Andate in tutto il mondo”! È il mondo della sua totalità, sapendo che la salvezza per un singolo è la stessa per tutti. In questa prospettiva non si saprebbe dire se è più rilevante l’iniziativa e l’opera del Signore Dio che salva o quanto si richiede di corrispondenza e di partecipazione da parte nostra: le cose non sono a senso unico solamente in chiave cultuale o di osservanza, altrimenti saremmo come quel fariseo che si fa avanti nel tempio o che butta il superfluo nella cassetta delle elemosine per sentirsi a posto.
Ricordiamo sempre che all’origine c’è un Padre-pastore che “fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna”. Questa non è solo una rassicurazione protettiva, ma volontà di portare tutti alla gloria e radunarci nel suo ovile. Infatti: “Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno, perché la bocca del Signore ha parlato”. Certamente ci sono state ragioni storiche per Isaia per parlare così “al cuore di Gerusalemme”. Ma non mancano motivi oggi per doverle ripetere nel loro valore messianico di liberazione, e quanto sarebbe bello poter gridare proprio a Gerusalemme, per quel che significa di pace, che la sua “tribolazione è compiuta”. Ma realisticamente, non possiamo dimenticare il pianto di Gesù sulla Città santa: ”Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto!” (Mt 23,37).
È questo il dramma che si perpetua, perché si tratta di una liberazione e di un ritorno: e un Popolo di Dio che si vuole profetico non può non raccogliere l’invito che viene dall’alto - nel Giordano prima e sul Tabor poi - ad ascoltare il Figlio, e a farsi voce che grida come Giovanni: “Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio”. Da parte nostra c’è da ascoltare e raccogliere questa voce e prepararci al nuovo esodo per strade diritte e spianate. Il fatto è che noi riusciamo a spiritualizzare tutto e a relegare i ripetuti inviti alla “conversione” nel nostro universo “religioso”, mondo a sé. Altrimenti, che senso avrebbe il ricorso a Giovanni e fare la sua memoria?
Davvero ci vorrebbe un “ritorno di Elia” che in lui è reale, e forse proprio il nostro è il tempo di Giovanni il Battista, così come esattamente Giovanni XXIII si presentò al mondo e per chiedere una riconversione radicale dentro la Chiesa, perché sia credibile nel suo annuncio al mondo. La gente che accorreva al Giordano per farsi battezzare trovava un Giovanni che proclamava sì “un battesimo di conversione per il perdono dei peccati” - in segno di desiderio, di ricerca e invocazione di salvezza - ma lo vedeva “vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico”. Mentre però precisava che se lui battezzava con acqua, appunto per un battesimo di penitenza, chi veniva immediatamente dopo di lui avrebbe battezzato “in Spirito Santo”, presentandolo secondo la sua visione: “Egli ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula, la brucerà con fuoco inestinguibile”. Veramente noi, quando ci diciamo queste cose, scherziamo col fuoco!
Sappiamo bene come Giovanni materializza in maniera radicale il suo messaggio, ma non per questo si sente lui il portatore della salvezza, che viene dallo Spirito. Ma i tempi stringono e dopo di lui viene uno più forte di lui, per questo è urgente fare “opere degne della conversione”, senza presentare credenziali di appartenenza o di osservanza in nome di Abramo (cfr. Lc 3,8).
Sì, ci vogliono le opere, che non siano però “opere morte” ma “della fede in Dio” (cfr. Eb 9,14): che nascano cioè “dal di dentro, cioè dal cuore degli uomini” (Mc 7,21). Le opere devono essere la dimostrazione della fede, non la sua dispensa o alternativa: ”Ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede” (Gc 2,18).
I tempi di Dio non sono i nostri e sono imprevedibili, ma bisogna viverli nella sola certezza che “egli è magnanimo, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi”. Anche qui, quello che conta è il portato dei tempi più che il loro evolversi. Per cui, nell’attesa della “venuta del giorno di Dio”, quando questa “terra, con tutte le sue opere, sarà distrutta”, noi dobbiamo solo preoccuparci di “quale deve essere la nostra vita nella santità della condotta e nelle preghiere”. C’è stato un tempo in cui è stato necessario recuperare giustamente e valorizzare le “cose penultime”, ma forse è arrivato il momento di guardare in modo nuovo alle “cose ultime”, anche ad evitare che aumentino quanti ne fanno un dominio di sacralità, invece che una fonte di santità!
Ancora una volta le parole di Pietro vorrebbero farci capire quale possa essere la ripercussione sul nostro presente di una sana visione escatologica, che ci viene riproposta secondo la promessa ricevuta, e che ci proietta verso il Regno di Dio compiuto, nuovo mondo per noi. Infatti, noi “aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia”. Ma quale incidenza in effetti questo ha sulla spiritualità ecclesiale di oggi? Quando invece dovrebbe essere il motore che ci porta a fare “di tutto perché Dio ci trovi in pace”. (ABS)