24 gennaio 2021 -   III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

 

Giorgio Vasari: Vocazione di Pietro e Andrea (1563)

 

PRIMA LETTURA (Giona 3,1-5.10)

Fu rivolta a Giona questa parola del Signore: «Àlzati, va’ a Nìnive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico». Giona si alzò e andò a Nìnive secondo la parola del Signore.

Nìnive era una città molto grande, larga tre giornate di cammino. Giona cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: «Ancora quaranta giorni e Nìnive sarà distrutta».

I cittadini di Nìnive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli.

Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece.



SALMO RESPONSORIALE (Salmo 24)


Rit. Fammi conoscere, Signore, le tue vie.

 

Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza.

Ricòrdati, Signore, della tua misericordia
e del tuo amore, che è da sempre.
Ricòrdati di me nella tua misericordia,
per la tua bontà, Signore.

Buono e retto è il Signore,
indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia,
insegna ai poveri la sua via.

 

 

SECONDA LETTURA (1Corinzi 7,29-31)

Questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo!

 

VANGELO (Marco 1,14-20)

Dopo che Giovanni fu messo in prigione, Gesù si recò in Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono.

Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.


 

In altre parole…

 

Bisognerebbe che la reazione a catena nata al passaggio di Gesù, quando fu indicato ai due discepoli come “Agnello di Dio” e successivamente identificato da uno di loro come il Messia, avvenisse alla stessa maniera anche per noi oggi! Ma forse il nostro incontro con Gesù non è con chi ci fa fare un salto di qualità, semmai serve a rassicurarci e inchiodarci all’esistente: è sempre meno un rapporto con chi ci fa conoscere Dio e rende testimonianza alla verità, e sempre più con chi è motivo di potere, di culto e di pietà. Il nostro è per lo più un Gesù della tradizione religiosa, convenzionale e di comodo. Il nostro rapporto con lui non si incontra col suo nei nostri confronti!

 

Quel salto di qualità che dobbiamo fare soggettivamente nei suoi confronti, in realtà non è che la nostra risposta a quanto ci viene incontro attraverso di lui: il compimento della speranza messianica nella pienezza dei tempi, diventa attesa dell’avvento definitivo del Regno di Dio nella consumazione dei tempi, oltre la storia! La presenza di Gesù nel mondo imprime una dimensione escatologica alla storia e dà origine ad un’esistenza escatologica a quanti si rifanno a lui, sospesi tra il “già e non ancora”!

 

Quando si parla di dimensione escatologica dell’esistenza cristiana non c’è da spaventarsi, perché si tratta della sua stessa natura di esistenza nel mondo e non del mondo, vissuta in spirito e verità e non solo in questa o quella celebrazione liturgica. Noi abbiamo una mentalità cristiana formata sul catechismo dei “novissimi”, gli eventi decisivi in ordine alla vita eterna, come fatto accessorio e conclusivo. Non sarebbe male se una visione escatologica della vita – e cioè delle cose ultime dentro le penultime – diventasse modo di sentire e di vedere comune, sulla base di quanto la Scrittura  ispira e insegna per formarci.

 

Le poche parole del libro di Giona ci riportano a questa situazione da ultima spiaggia di Ninive, la grande città simbolo di corruzione; ma anche alla determinazione di un Dio che guarda alla miseria del suo popolo, e dà mandato a Giona di predicare il ravvedimento. C’è una volontà di salvezza che si impone sul rifiuto, sulla fuga e sulle recriminazioni di questo inviato riluttante, davanti ad un compito che egli ritiene inutile, ingiusto e discriminatorio rispetto al proprio popolo, come se  non si trattasse  più del Dio di Israele ma di tutti i popoli, un Dio che arriva perfino a ravvedersi e offrire salvezza a quanti credono di poterla ricevere da lui. Giona non vuole prestarsi a questa operazione, fino a quando non vi sarà costretto!

 

Di questo dono di salvezza c’è prima di tutto da considerare la volontà di un Dio che chiede mano libera per poterla operare; possiamo considerare anche il comportamento degli abitanti di Ninive nei confronti della predicazione di Giona; ma dobbiamo tener conto anche delle resistenze e proteste di Giona, per interrogarci sia sulla nostra condizione di “salvati” e sia sulla nostra disponibilità all’opera di salvezza della “grande città” che è il nostro mondo.

 

È questo lo sfondo da tener presente quando potremmo  sentirci  dire: “Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini”, qualcosa tutt’altro che simbolico. Giovanni messo in prigione fa pensare alla Ninive sempre presente tra noi, mentre Gesù che proclama il vangelo del Regno altro non è che espressione della volontà del Padre “il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità” (1Tm 2,4). Ma al tempo stesso non possiamo dimenticare che Gesù stesso si presenta sotto le vesti di Giona come portatore di salvezza: “Infatti come Giona fu un segno per i Niniviti, così anche il Figlio dell'uomo lo sarà per questa generazione” (Lc 11,30). Lo è per i “tre giorni e tre notti” passati da Giona “nel ventre del pesce” e dal  Figlio dell’uomo “nel cuore della terra” (Mt 12,40), ma lo è prima di tutto per la sua proclamazione del vangelo di Dio al mondo, ciò che determina i tempi nuovi della salvezza!

 

E quando, ”passando lungo il mare di Galilea”, dice a Simone e ad Andrea di andargli dietro senza altre spiegazioni, è per associarli alla missione prefigurata da Giona ma  fatta definitivamente sua, e cioè predicare a Ninive e al mondo per  avvertirci di questo: “Nel giorno del giudizio i Niniviti si alzeranno con questa generazione e la condanneranno; perché essi si ravvidero alla predicazione di Giona; ed ecco qui c'è più di Giona” (Lc 11,32). Il fatto che ai poveri è annunciata la buona novella è la prova che il Regno di Dio è tra di noi per poterci convertire ad esso ed entrarvi. Bisogna riscoprire la “stoltezza della predicazione”, la predicazione del vangelo come parola viva ed efficace, e non solo come accessoria ad un sistema sacramentale o spirituale predeterminato.

 

“E subito lasciarono le reti e lo seguirono”… “lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui”: nasce tutto di qui, dal fatto che da semplici pescatori, questi primi seguaci sono trasformati in “pescatori di uomini”, promossi o condannati alla stessa esistenza del Figlio dell’uomo nel mondo: da un’esistenza vissuta tutta al presente sono portati ad un’esistenza escatologica, tutta proiettata al Regno di Dio e alla sua giustizia, un’esistenza messianica, quale è quella di un Popolo di Dio. E questo senza porre tempo in mezzo e senza contrattazioni preliminari, ma “subito”. Non bisognerebbe ripartire di qui? Non sono questi i momenti e i motivi fondanti della sequela di Cristo, senza dilazioni, tergiversazioni, patteggiamenti e aggiustamenti vari?

Quando Paolo dice “il tempo si è fatto breve” non è per una scadenza cronologica, né per un avvertimento moralistico di disprezzo del mondo. È semplicemente per evidenziare il nuovo rapporto dei credenti con la loro condizione umana, che non viene per questo sottovalutata o sminuita, ma inquadrata diversamente in ordine ad una esistenza vissuta alla maniera di Cristo, in questo senso escatologica o messianica. In fondo le parole della lettera ai Corinti non sono che una parafrasi delle Beatitudini e una esemplificazione del Padre nostro nei suoi riflessi esistenziali, perché “passa infatti la figura di questo mondo”! Altro naturalmente è saperlo e ripetercelo come fatto estraneo, altro averne coscienza e farne una misura interiore nel nostro modo di stare al mondo.

 

Forse il senso immediato e praticabile di questa mutazione interna alla nostra condizione umana lo possiamo cogliere in queste note lapidarie parole: “Ma quando tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra quel che fa la destra” (Mt 6,3). E questo succede quando il distacco da qualcosa, e perfino da se stessi, non è per motivi ascetici di auto-perfezionamento, ma nasce dalla ricerca senza riserve del Regno di Dio e della sua giustizia come imperativo primario.

 

I discepoli in barca presentati dal Vasari stanno lì a dimostrarcelo, se evitiamo di guardare a questi testimoni col senno di poi nella loro consacrazione storica, ma ne riviviamo tutto il dramma umano di fede nella sequela! È quello che Paolo ci fa capire quando dice: “Infatti per me il vivere è Cristo e il morire guadagno” (Fil 1,21). Bisognerebbe smettere di pensare tutto questo come riservato a qualcuno e non invece come prerogativa di ogni credente e contrassegno dell’intero Popolo di Dio. Non è qui che nasce la spinta al cambiamento radicale? (ABS)


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