Koinonia Aprile 2016
STUPIRSI PER UNA TORTA
COME LA RELIGIONE ARRICCHISCE IL SAPERE
«Se vuoi creare una torta di mele dal nulla, prima devi inventare l’universo». L’astronomo Carl Sagan riassumeva così la verità ultima cui lo aveva portato una vita passata a collegare fatti ed elaborare teorie. Era necessaria una condizione fondamentale perché le cose quotidiane potessero essere come le conosciamo. Andava inventato l’universo perché la nostra vita fosse possibile; non un universo qualsiasi, ma questo, esattamente questo, con le sue costanti di base, con carbonio, ossigeno e azoto. Senza l’universo, senza questo universo, non ci sarebbero gli esseri umani. E le mele. Per Sagan, la scienza è modo di pensare, esercizio continuo di equilibrio tra fatti e ipotesi: «La scienza ci esorta ad accogliere i fatti», scriveva ancora lo scienziato americano, «anche quando essi non si conciliano con i nostri preconcetti; ci consiglia di lasciare spazio nella nostra testa per ipotesi alternative e di vedere quali sono quelle che con i fatti hanno una migliore corrispondenza».
Quando nel 1990, dopo dieci anni di navigazione, la sonda Voyager raggiunse Saturno e cominciò a trasmettere foto del pianeta, Sagan propose che si ruotasse la fotocamera e che si fotografasse la Terra da una distanza di circa sei miliardi di chilometri. Ci furono resistenze, ma la Nasa accolse la proposta. La foto del puntino azzurro avvolto nel grande buio cosmico commosse l’umanità. Quella «lontana immagine del nostro minuscolo mondo», come la definì Sagan, mise la Terra in prospettiva.
La torta di mele e il «minuscolo mondo» di Sagan sono un inno alla scienza e alla capacità dello scienziato di scoprire, di ragionare e di spiegare. Per tanti, la scienza è così efficace da apparire come l’unica risposta alle domande profonde dell’uomo; di certo, credono molti, la scienza è la migliore alternativa a una religione in nome della quale gli uomini si stanno massacrando. Per un professore di Oxford, Alister McGrath, non è affatto così. Per McGrath la torta di mele e il «minuscolo mondo» di Sagan sono un invito ad amare la scienza, ma anche ad andare oltre di essa, a rifiutare la contrapposizione tra scienza e fede. Alla meraviglia per l’universo e per la Terra, suscitata dal pensiero sulla torta di mele e dall’immagine del puntino azzurro, McGrath reagisce prendendo in mano la Bibbia. Recita il Salmo: «Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?».
McGrath è scienziato e teologo. Ha una laurea in Chimica, una in Teologia e un dottorato in Biofisica molecolare a Oxford. Nel libro La grande domanda (Bollati Boringhieri) il professore di Scienza e religione invita a non rassegnarsi alla narrazione dominante, in cui scienza e fede si combattono, e a scoprire invece quanto le due dimensioni possano essere complementari. Il viaggio dell’autore è anzitutto autobiografico. A più riprese McGrath ricorda il proprio ateismo giovanile e la convinzione con cui si dedicò alla scienza quale unico modo plausibile di conoscere la realtà. La conversione al cristianesimo, ricorda l’autore, rispose al bisogno di «una narrazione più ricca, più profonda rispetto a quella offerta dalla scienza».
McGrath racconta di essersi convertito con lo stesso spirito con cui confessò la propria fede C.S. Lewis: «Io credo nel cristianesimo allo stesso modo in cui credo che il sole sia sorto: non solo perché io lo vedo, ma perché attraverso di esso io posso vedere tutte le altre cose». Dopodiché, lo scienziato divenne teologo, fu ordinato sacerdote nella Chiesa d’Inghilterra ed è oggi un appassionato alfiere dell’alleanza tra scienza e religione. Molte pagine del volume sono dedicate a confutare l’imperialismo scientifico del neo-ateismo incarnato da autori anglosassoni come Dawkins, Dennett, Harris e Hitchens. Al contrario di costoro, che ritengono l’esperienza religiosa un pericoloso autoinganno, McGrath crede che l’idea di Dio e addirittura il bisogno di Dio «siano in un certo senso cablati all’interno della nostra architettura mentale». Sulla scorta della scienza cognitiva della religione, l’autore afferma che la fede in Dio, e il fenomeno stesso della religione, siano naturali. Lo stesso vale per la nostra propensione alla scienza. Ci viene naturale. Per questo, come recita il sottotitolo, «non possiamo fare a meno di parlare di scienza, di fede e di Dio». Siamo destinati a questo «così come siamo destinati a mangiare e bere per sopravvivere».
Va superato dunque il paradigma del conflitto tra scienza e religione, in favore di un dialogo Entrambe, scienza e religione, possono commettere errori, entrambe possono degenerare in fondamentalismi. Di entrambe vanno compresi i limiti e vanno evitati gli sconfinamenti. McGrath propone una «narrazione di arricchimento» per la quale la distinzione tra le due dimensioni conduce a capirne e a praticarne la compatibilità. Piace all’autore l’umiltà di Isaac Newton, il modello dello scienziato consapevole di doversi arrestare sulla riva di una verità più grande: «Mi sembra di essere stato solo un ragazzo che gioca sulla spiaggia», scrisse Newton, «e trova qua e là una pietra più liscia o una conchiglia più bella del solito, mentre il grande oceano della verità giace sconosciuto davanti a me». Se la scienza arricchisce la religione, fornendo scoperte che invitano alla meraviglia verso la creazione e alla fede nel creatore, in tre modi, secondo McGrath, la religione può arricchire la scienza: rassicurando l’uomo che «la realtà è un tutto coerente», rispondendo a «ciò che sul piano scientifico non può trovare risposta» ed evitando uno sguardo «eccessivamente intellettuale e razionalizzante sulla natura».
Vari punti del libro lasciano perplessi. I termini religione e cristianesimo sono spesso usati come sinonimi. Nella contrapposizione tra ateismo e teismo, s’ignorano le tante facce ibride della spiritualità contemporanea. Si critica l’ambizione della scienza di farsi religione, ma, creazionismo a parte, non si critica la religione che si fa scienza, come in Scientology. La proposta centrale del libro, tuttavia, coglie nel segno. L’opposizione tra scienza e religione appartiene al passato. Il dialogo tra le due è il futuro. Il punto di partenza, hanno ragione Sagan che coniò l’immagine e McGrath che la cita, è la torta di mele. «L’esistenza apparentemente scontata di mele e umani è in realtà un fatto strabiliante», scrive McGrath. Prima di tutto «devi inventare l’universo». È questo il titolo originale del libro, purtroppo sacrificato dall’editore italiano, Inventing the Universe .Ricominciano a dialogare da qui scienza e religione. Perché potessimo preparare la nostra torta di mele, l’universo andava inventato. O creato?
Marco Ventura
in “la Lettura” - Corriere della Sera del 28 febbraio 2016